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venerdì 26 dicembre 2014

Rifiuto illegittimo della banca a ricevere l’assegno del correntista–risarcimento del danno del cliente

Può la banca rifiutarsi di ricevere un assegno postdatato da parte del cliente e provvedere all'incasso?  e nel caso in cui tale rifiuto sia illegittimo, quali possono essere le conseguenze a carico dell'intermediario bancario che si sia reso responsabile di tale condotta? può essere chiamato a risarcire i danni subiti dal correntista?

Questi argomenti sono stati trattati dall'Arbitro bancario finanziario con la decisione n. 468/2013 resa nel 2013 e che potete leggere in questo post.

All'Arbitro bancario si era rivolto un correntista che si era visto rifiutare l'incasso di un assegno da parte della banca, in quanto recava al suo interno come data il 30 giugno 2019, in luogo del 30 giugno 2011.

La banca non solo non aveva provveduto al pagamento dell'assegno, ma aveva altresì avviato la procedura di protesto, con segnalazione del titolo di credito.

Il correntista, rivolgendosi all'ABF, contestava la decisione assunta dall'istituto di credito, considerando irrilevante sotto il profilo della validità dell'assegno la data (ed anzi sostenendo che la data era il 30 giugno 2011), e quindi illegittimo il rifiuto della banca trattaria di provvedere al pagamento del proprio titolo di credito.

La banca, per contro, insisteva nel ritenere del tutto legittima la propria condotta, sostenendo che non vi era possibilità alcuna di procedere all'incasso del titolo di credito. 

A.- Rifiuto illegittimo
L'ABF, presa visione dei documenti prodotti dalle parti, ha considerato non legittimo il rifiuto opposto dalla banca al cliente alla richiesta di pagamento dell'assegno bancario, non ritenendo sussistere i presupposti, per tali motivi "Ora, anche ammesso (e non concesso) che la data di emissione dell’assegno fosse il 30/06/2019, deve chiedersi se sia stato legittimo il rifiuto della banca trattaria di provvedere al pagamento per l’asserita “irregolarità” della data di emissione. In verità, l’emissione di un assegno post-datato al di fuori dell’ipotesi prevista dall’art. 121 del R.D. 1736/1933 non dà luogo alla nullità del titolo di credito, ma soltanto del patto di postdatazione in quanto in frode alla legge, che conferisce all’assegno funzione di mezzo di pagamento e non di credito

Ne consegue che l’assegno postdatato, non diversamente da quello regolarmente datato, deve considerarsi venuto ad esistenza come titolo di credito e mezzo di pagamento nel momento stesso della sua emissione, coincidente con il distacco dalla sfera giuridica del traente e con il passaggio nella disponibilità del prenditore (Cass., 3 marzo 2010, n. 5069, Cass., 6 giugno 2006, n. 13259, Cass., 31 gennaio 2006, n. 2160; Cass., 25 maggio 2001, n. 7135, Cass., 30 maggio 1996, n. 5039, Cass., 11 maggio 1991, n. 5278 nonché, tra le pronunce dell’ABF, Collegio di Napoli, decisione n. 2269 del 24 ottobre 2011). È quindi espressamente consentita la presentazione immediata dell’assegno post-datato per il pagamento a vista (ex art. 31, 2° comma, R.D. 1736/1933), residuando delle implicazioni di natura fiscale (applicazione all’assegno dell’imposta prevista per le cambiali) e sull’efficacia di titolo esecutivo (in prevalenza negata anche a seguito di regolarizzazione nel bollo), che però non impediscono alla banca trattaria di provvedere al pagamento o, in caso di mancanza di fondi, di inviare il titolo al protesto ed avviare la procedura per l' iscrizione del nominativo nella Centrale di Allarme Interbancaria (CAI)."

Il giudice sostiene, in buona sostanza, che l'indicazione di una data posteriore, seppur estremamente lontana, non invalida l'assegno che deve essere considerato come venuto ad esistenza, e quindi accettato per l'incasso da parte dell'intermediario bancario che lo riceve.

B.- Conseguenze del rifiuto illegittimo
Quali sono le conseguenze nel caso in cui la banca si rifiuti illegittimamente di incassare l'assegno per conto del correntista? può rispondere dei danni subiti da quest'ultimo?

E' interessante, sotto tale profilo, l'intervento dell'ABF, il quale determina un potenziale danno che il cliente può aver sofferto dalla condotta illegittima tenuta dall'intermediario bancario, così argomentando la propria decisione 
"Accertata l’illegittimità del rifiuto della banca trattaria resistente, il Collegio ritiene, in sintonia con la giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis, Cass., S.U., 26 giugno 2007, n. 14712), che l’obbligo posto a carico del banchiere dall’art. 31 del R.D. 1736/1933 costituisca un’obbligazione ex lege, riconducibile, in base all’art. 1173 c.c., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico, alla cui violazione consegue il diritto al risarcimento a favore del danneggiato. 

Tale conclusione non è posta in discussione, peraltro, dall’obiezione sollevata dalla banca trattaria, ad avviso della quale la mancata levata del protesto ed apertura della pratica CAI non sarebbe idonea a pregiudicare l’esercizio dei diritti da parte del prenditore nei confronti del traente, secondo quanto previsto dall’art. 45 del R.D. 1736/1933 (cfr. fra le ultime le decisioni n. 2791/11,1635/11) protesto al solo fine di legittimare le azioni cartolari di regresso contro gli ulteriori giratari e che la mancata levata non importi decadenza dall’azione di regresso contro altrettanto certo che la funzione del protesto non è soltanto quella di impedire la decadenza dalle azioni di regresso eventualmente esperibili, ben potendo esso venir rilevato, del tutto legittimamente, anche al solo scopo di far attestare,ad indurre l’insolvente a far fronte alla propria obbligazione per evitare il segnale socioeconomico negativo che il protesto rappresenta. 

A ciò deve aggiungersi il fatto, non trascurabile, che il rifiuto della banca trattaria di eseguire l’ordine impartito dal traente dell’assegno adducendo l’irregolarità della data di emissione ha impedito anche l’avvio della procedura di segnalazione in CAI, che notoriamente ha l’analogo effetto di spingere il traente verso un sollecito pagamento dell’assegno, al fine di evitare la corresponsione degli interessi e della penale prevista in caso di adempimento tardivo o, in mancanza, la revoca di sistema delle convenzioni di assegno. Infine, la condotta illegittima della banca trattaria ha frustrato il vincolo di destinazione della provvista sorto nei confronti del traente con l’emissione dell’assegno, che, a seguito della circolazione e della presentazione alla banca trattaria, assume un rilievo che non può più essere limitato alle parti contraenti ma si estende anche nei confronti del prenditore, che ha ricevuto l’assegno nel presupposto dell’esistenza dell’ordine di pagamento impartito dal traente alla banca e del suo adempimento. 

Se è vero che il Collegio non ha elementi circa l’esistenza di sufficienti fondi disponibili alla data della presentazione dell’assegno per il pagamento, è indubbio che, anche ammesso il caso contrario, il comportamento della banca trattaria abbia quanto meno impedito alla società ricorrente di accertare tempestivamente la presenza o meno di detti fondi ed assumere le iniziative più opportune per il recupero del proprio credito o per l’interruzione di eventuali ulteriori forniture di merci. 

Ne consegue che, pur non avendo pregiudicato, in astratto, i diritti della società ricorrente, la condotta della banca trattaria resistente ha comunque sensibilmente ridotto le chances di recupero del credito portato dal titolo (in questo senso v. anche la decisione di questo Collegio n. 2791 del 21 dicembre 2011). La misura del pregiudizio subito dalla ricorrente non può ricondursi al valore facciale del titolo non onorato, dato che, in primo luogo, ai sensi dell’art. 4 del R.D. 1736/1933, l’assegno bancario non può essere accettato dalla banca trattaria convenuta. In ogni modo, la perdita di un’opportunità è fatto la cui capacità lesiva – soprattutto laddove non vi è la prova, come nel caso di cui si discute, che il comportamento dell’intermediario sia stato doloso o collusivo con gli interessi del traente – va valutata in ragione delle concrete utilità che il suo sfruttamento avrebbe potuto assicurare e che non può tradursi nel mero accollo, sul soggetto responsabile, dell’intero pregiudizio economico subito dal danneggiato. 

Tenuto conto di quanto sopra, il Collegio stima in via equitativa il danno da perdita di chance connesso alla condotta illegittima della banca trattaria resistente nella misura del dieci per cento del valore facciale dell’assegno contestato, ossia euro 5.040. [...]".

Di seguito, il testo integrale della decisione n. 468/2013 dell'ABF.

giovedì 18 dicembre 2014

Debito. Quel terrore (infondato) da default

Beppe Scienza
17/09/2014
Per piazzare fondi comuni e simili, impiegati di banche, di sim e promotori finanziari non esitano a raccontarne di tutti i colori. Ad esempio che i titoli di Stato italiani non sono più sicuri, perché il Tesoro potrebbe ridurre gli interessi, sospendere i rimborsi ecc. Il motivo sarebbero le clausole di azione collettiva (cac), introdotte a partire dall'anno scorso nei regolamenti delle emissioni di durata superiore all'anno.

giovedì 4 dicembre 2014

Lehman Brothers: la banca non deve avvertire il cliente del mutamento del rischio di investimento

Le sentenze in materia di acquisto di titoli Lehman Brothers si continuano ad alternare, e si può notare come non esista un orientamento in merito alla responsabilità delle banche per i danni subiti dai clienti per aver acquistato prodotti finanziari altamente rischiosi. 

Non si può negare che la giurisprudenza di merito maggioritaria ha ritenuto di escludere la responsabilità dell'istituto di credito per non aver segnalato al cliente l'elevato grado di rischio dei titoli Lehman, in quanto solo negli ultimi mesi era emerso il reale grado (basso) di affidamento dei bond emessi dalla banca americana. 

Molti giudici, quindi, hanno sostenuto che la stessa banca che ha intermediato i titoli con i propri clienti non si trovava nella posizione di poter accertare l'elevata rischiosità di tali bond, avvisando il cliente del possibile rischio default

In alcune sentenze si legge, peraltro, che non esisterebbe alcun obbligo da parte della banca di informare il cliente, successivamente all'acquisto dei bond Lehman, in merito al mutamento del rischio di investimento, laddove alcuni parametri avevano reso chiaro che la società bancaria americana non avrebbe onorato il proprio debito. 

Il Tribunale di Roma, nella sentenza che potete leggere di seguito, non ha individuato una specifica responsabilità della banca verso il proprio cliente, per non averlo tempestivamente informato in merito al peggioramento della situazione di Lehman successivamente all'acquisto del titolo da parte del risparmiatore. Nel caso di specie, come si evince dalla sentenza, nell'ordine di acquisto del titolo Lehman la banca specificava che "il titolo fa parte dell'elenco delle obbligazioni a basso rischio - rendimento Patti Chiari emesso alla data dell'ordine. In base agli andamenti di mercato il titolo potrà uscire dall'elenco successivamente alla data dell'ordine. Il cliente sarà tempestivamente informato nel caso di una variazione significativa del livello di rischio". 

Il giudice romano ritiene infondata la domanda dell'attore, premettendo che anche se era notorio già dall'inizio del 2008 che i titoli Lehman stavano peggiorando, e che la situazione finanziaria della banca d'affari americana difficilmente sarebbe peggiorata, tale evento si è verificato in modo improvviso in data 15 settembre 2008 e neppure le banche potevano immaginare tale repentina ed imprevista evoluzione. 

Non esiste, secondo il giudice romano, alcun obbligo di informazione di mutamento del livello di rischio del titolo Lehman da parte dell'intermediario bancario nei confronti del cliente, anche se nell'ordine viene indicato un livello di rischio che in seguito muta a causa delle difficoltà attraversate dal soggetto emittente.
Di seguito, la sentenza n. 489 del giorno 11 gennaio 2013.

lunedì 1 dicembre 2014

Deflazione. Non dimentichiamo i dati del 2009

Fonte
Il Fatto quotidiano
3 settembre 2014
Si legge che il Paese sta invecchiando. Dev'esserci del vero, perché ricordare bene le cose remote, ma non quelle recenti, è tipico degli anziani. Così si è letto dappertutto, a partire dall'Ansa, che bisogna risalire di oltre mezzo secolo e precisamente al 1959, per trovare in Italia inflazione negativa come nello scorso mese di agosto (-0,1%). 

In realtà basta risalire al luglio 2009, quando fu ugualmente del meno 0,1% e vicinissima a zero anche i mesi seguenti: +0,2%, +0,1% ecc. Fuori luogo quindi i riferimenti al boom economico. L'inflazione negativa o bassissima del 2009 era uno dei prodotti malsani della crisi finanziario-economica scatenata dal crac della Lehman Brothers, da cui quella attuale non appare del tutto scollegata.

Prevedere il futuro è difficile, ricordare il passato doveroso.

sabato 29 novembre 2014

Titoli Parmalat - senza contratto, l'investimento è nullo

Torniamo ad affrontare un argomento caldo di questo blog, ossia il rapporto tra intermediario finanziario ed investitore, con particolare riferimento alla vicenda bond Parmalat.

Il Tribunale di Torino, con una recente sentenza, ha ribadito il principio secondo il quale la banca può operare in favore del cliente/risparmiatore, solo in presenza di un contratto quadro sottoscritto da quest'ultimo, con il quale viene conferito mandato all'intermediario di poter acquistare/vendere valori mobiliari.

L'art. 23 del Testo Unico della Finanza dispone che la banca può agire per conto del cliente, acquistando titoli mobiliari, solo nel caso in cui vi sia uno specifico consenso impartito dall'investitore, ossia la firma del contratto dove vengono indicate le modalità di operatività dell'intermediario, i limiti, le comunicazioni periodiche etc.

In assenza di valido contratto quadro, la banca non può agire in favore del cliente, così come ribadito dal Tribunale di Torino, il quale è stato chiamato ad accertare la regolarità degli investimenti in titoli Parmalat operati da una correntista del capoluogo piemontese.

Il giudice, dopo aver accertato che tra le parti non era stato formalizzato in alcun modo il rapporto bancario e che la banca non aveva ricevuto alcun mandato ad operare nel mercato finanziario per conto del correntista, ha dichiarato la nullità degli investimenti in titoli Parmalat, ordinando alla banca di restituire alla risparmiatrice i soldi investiti nei corporate bond agli inizi del 2000.

Di seguito, potete leggere la sentenza

mercoledì 19 novembre 2014

Tagliadebito. Abracadabra, la proposta Carrai

Fonte
Il Fatto quotidiano
3 settembre 2014
C'è chi è convinto di aver la bacchetta magica. Solo così si può pensare di abbattere in modo indolore la montagna del debito pubblico italiano. Da circa tre anni circolano progetti fantasiosi, tutti inutili perché irrealizzabili. In questo gioco a spararla grossa s'è inserito ultimamente anche un finanziere vicino al presidente del consiglio.

La favola inizia nel 2011 con una proposta di Andrea Monorchio, e Guido Salerno Aletta, rispettivamente già ragioniere generale dello Stato e segretario generale di Palazzo Chigi. Le famiglie italiane avrebbero dovuto ipotecare le loro case per il 10% del loro valore, coi soldi ottenuti sottoscrivere 450 miliardi di euro di titoli pubblici all'1,5%, poi lo Stato avrebbe cartolarizzato tali mutui e così fantasticando. Un'idea strampalata, logicamente presto abbandonata.

martedì 4 novembre 2014

Ok dell’antitrust alla nuova procedura di chiusura del conto corrente postale

Fonte:: AGCM
19 agosto 2014
Niente più ostacoli o ritardi per le richieste dei consumatori di estinguere i rapporti di conto corrente. L’Antitrust ha accettato gli impegni presentati da Poste Italiane S.p.A. ritenendoli idonei a rendere effettiva la possibilità di risolvere il contratto di conto corrente in tempi rapidi.

Si chiude così l’istruttoria avviata a novembre dello scorso anno per verificare eventuali comportamenti scorretti sulla chiusura dei C/C. Secondo l’Autorità, gli impegni presentati da Poste Italiane S.p.A. sono idonei a sanare i possibili profili di illegittimità della pratica commerciale in quanto consentono di accelerare il processo di estinzione dei conti correnti e favoriscono la mobilità della clientela. 

sabato 1 novembre 2014

E' nullo il piano di ammortamento alla francese del mutuo se la clausola è generica

Il Tribunale di Isernia interviene nel dibattito giurisprudenziale sviluppatosi in materia di legittimità del sistema di ammortamento alla francese che viene utilizzato dalle banche per i contratti di mutuo proposti ai clienti. 

Il “piano di ammortamento alla francese” (anche definito “a rata costante”) consiste, o così dovrebbe intendersi, come un piano ove viene stabilito che il cliente è tenuto al rimborso dell'importo ricevuto a prestito dall'istituto di credito con rate costanti nel tempo.  Tale ipotesi si realizza nell'ipotesi di mutuo a tasso fisso, ma si verifica anche per i mutui a tasso variabile, ove la banca prevede un piano di ammortamento (alla francese) ove il tasso di interesse viene calcolato al momento di stipula del contratto, stabilendo, per ciascuna rata, la parte della rata destinata al rimborso del capitale ( quota capitale) e quella destinata a versare gli interessi (quota interessi). 

La quota relativa agli interessi, però, tenderà periodicamente a variare, in base al tasso variabile, producendo i cambiamenti degli interessi dovuti dal cliente solo sul capitale residuo rimasto (ossia ridotto della quota capitale pagata dal cliente con le precedenti rate). In linea teorica, l'ammortamento alla francese non dovrebbe produrre alcun effetto di anatocismo occulto, in quanto, come sostiene parte della dottrina e della giurisprudenza, le rate comprendo sia il capitale che gli interessi e sono costanti, con una restituzione della quota capitale che cresce in modo progressivo e quella relativa agli interessi (calcolati sul capitale residuo) che, per contro, tende a diminuire, esaurendosi nella fase finale del piano di ammortamento. 

Il Tribunale di Isernia, nel caso sottoposto alla propria attenzione, non prende posizione sul punto, ma si sofferma su un altro aspetto fondamentale, ossia se vi sia stato tra le parti un apposito accordo in merito a tale modalità di ammortamento e se il cliente sia venuto a conoscenza degli effetti connessi al piano di ammortamento alla francese. 

E' chiaro, sul punto, il giudice "l’esame dell’adito Tribunale va incentrato anche sulla sussistenza di quest’ultima violazione non prima di aver dato risposta al quesito se parte attrice avrebbe potuto avere cognizione, mediante l’analisi del piano di ammortamento allegato alla parte letterale del contratto, del maggiore esborso cui sarebbe andata incontro. La risposta a tale quesito, esaminati gli atti di causa non può che essere negativa , in quanto il piano allegato agli atti è solo parzialmente sviluppato. Solo operando un confronto con ulteriori analisi di calcolo sarebbe stato possibile riscontrare i maggiori oneri sostenuti. Tale confronto, assente nella CTU, è reso possibile dall’analisi della CTP, che consente di cogliere i discostamenti, a parità di tasso applicato alle quote capitale, ora costante, ora crescente, della porzione di interessi effettivamente sostenuta quale costo del mutuo. Nell’accordo, per usare la parole della giurisprudenza beneventana richiamata, vero è che “le parti hanno inserito in contratto la somma oggetto di mutuo, il tasso di interessi e il numero delle rate” e vero è che con la predisposizione del piano “non è più possibile alcun intervento successivo del mutuante, il quale non ha la possibilità di suddividere la rata fra quota capitale e quota interessi, poiché tale suddivisione è già contenuta nella definizione di una rata costante di quel determinato importo”, e soprattutto vero è che “la misura della rata discende matematicamente dagli indicati elementi contrattuali”, ma tale misura non è affatto percepibile da parte del mutuatario. Sussiste una certa indeterminatezza, che nell’immediato non è percepita, poiché il tasso indicato contrattualmente è di certo rispettato, e di certo è rispettato il piano di ammortamento. Ma l’applicazione del tasso così individuato ad un piano di ammortamento con quote di interesse decrescenti e di capitale crescente genera un maggiore esborso del costo complessivo del mutuo. E dunque, se il tasso di interesse “è” il costo del mutuo, tale costo non è chiaramente delineato nel contratto, perché con un piano di ammortamento alla francese, il tasso pattuito e quello effettivamente applicato sono fisiologicamente discostati, ma patologicamente non percepiti dal contraente, poiché nel contratto è allegato solo un piano parzialmente sviluppato non in grado di far cogliere al cliente il maggior onere a cui dovrà sottostare.". 

L'elemento determinate, ai fini della valutazione operata dal Tribunale di Isernia, è la determinatezza della clausola relativa al calcolo degli interessi (piano di ammortamento alla francese), tale da rendere nulla la pattuizione che contrasti con l'art. 1284 c.c. e l'art. 117 TUB. 

Il Giudice è corretto sul punto, laddove afferma che "[...] di certo è possibile affermare che si è ingenerata una indeterminatezza e una incertezza circa uno degli elementi dell’accordo: se il contratto nella sua parte letterale richiama l’applicazione di un tasso, che poi sviluppato (rectius, applicato) nel piano di ammortamento si estrinseca in misura superiore (e ciò è emerso nella CTP di parte attrice), si genera la contemporanea presenza di due tassi inseriti nel rapporto contrattuale, uno apparente ed uno effettivo, e dei due solo il primo è percepibile dal mutuatario. Sussistendo dunque quella che possiamo definire incertezza o indeterminatezza del tasso sussiste una violazione dell’art. 1284 c.c., nonché dell’art. 117 TUB, commi 4 e 6, e di conseguenza, occorre procedere, mediante la c.d. sostituzione automatica di clausole, ad applicazione del tasso di interesse legalmente determinato, per effetto del combinato disposto ex art. 1418, 1346, 1284 c.c.".

Di seguito, la sentenza del Tribunale di Isernia

venerdì 31 ottobre 2014

Fondi comuni, 30 anni di flop: viva i Bot-people!

Fonte
Il Fatto quotidiano
30 luglio 2014
Anche quest'anno è uscita, in piena estate, l'Indagine sui fondi e sicav italiani (1984-2013). Una ponderosa pubblicazione dell'ufficio studi di Mediobanca che dal 1992 sviscera l'universo dei fondi comuni aperti e chiusi, fondi pensione ecc. e delle poche sicav (simili ai fondi) di diritto italiano. E pure quest'anno ne ha certificato il generale fallimento. La ricerca è frutto dell'iniziativa e dell'impegno di Fulvio Coltorti. 

Un economista indipendente? Nient'affatto, perché al contrario era dipendente del gruppo Mediobanca, per decenni responsabile dell'area studi. Ma era ed è onesto e competente, che è ciò che conta. Viceversa l'etichetta di indipendenza in Italia vale nell'ambito economico-finanziario meno che la denominazione di origine controllata (doc) per i vini, cioè nulla (ci furono vini doc avvelenati dal metanolo e ci sono grandi vini da 100 e passa euro la bottiglia senza la doc).

giovedì 9 ottobre 2014

Bene la Cassazione in favore dei clienti nei rapporti bancari

Siamo lieti di segnalarvi un nuovo intervento della Cassazione in favore dei consumatori, nei rapporti bancari. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4518 del 26 febbraio 2014, ha stabilito il principio secondo il quale il singolo versamento eseguito dal cliente sul conto corrente, durante il rapporto bancario, ha normalmente funzione ripristinatoria della provvista, non determinando alcun spostamento patrimoniale nel rapporto tra banca e privato (spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens). 

In generale, afferma la Corte, lo schema contrattuale del contratto di conto corrente prevede continui spostamenti contabili tra le parti, senza però che a tali mutamenti segua un effettivo spostamento patrimoniale. E’ onere della banca che intenda sostenere la prescrizione delle singole annotazioni, quello di dimostrare che ad ogni operazione bancaria sia seguito uno spostamento del patrimonio tra le parti. 

Tale orientamento del giudice di legittimità risulta estremamente utile al fine di limitare la prescrizione dei rapporti bancari esistenti tra cliente e istituto di credito, consentendo al singolo soggetto di poter agire per la ripetizione degli interessi illegittimamente pagati anche per periodi superiori ai dieci anni. In secondo luogo, la Cassazione ha osservato che la Commissione di Massimo Scoperto ha funzione non dissimile da quella degli interessi anatocistici, essendo entrambi destinati a remunerare la banca dei finanziamenti erogati, e quindi anche per la CMS deve ritenersi applicabile il stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 24428/2010, e quindi anche per l’azione di ripetizione delle somme versate a titolo di tale commissione deve essere applicata la prescrizione non dai singoli versamenti, ma dalla data di chiusura del rapporto bancario.

venerdì 12 settembre 2014

Nuovo commissariamento di una banca

La Banca d’Italia interviene nel mondo bancario, formalizzando la crisi di un altro pezzo del credito cooperativo del nord est. Con decreto dello scorso 29 luglio, Bankitalia ha commissariato il Credito Trevigiano – Banca di Credito Cooperativo, disponendo lo scioglimento del consiglio di amministrazione e di tutti gli organi di controllo nominati qualche mese prima. 

L’intervento è stato reso necessario dal debito – pare superiore ai quaranta milioni – accumulato dal Credito Trevigiano nel solo anno 2013. Il grave dissesto finanziario accusato da questa piccola realtà del credito ha suggerito la Banca d’Italia ad intervenire, nominando un Commissario straordinario, nonché un Comitato di sorveglianza. 

Occorre osservare che non sempre il commissariamento di una banca rappresenta l’anticamera della sua chiusura, ed anzi può rappresentare una buona notizia per i risparmiatori, i piccoli azionisti ed i titolari di un conto corrente presso il Credito Trevigiano, così come accaduto di recente (vedi). Ricordiamo, a tal proposito, che i rischi per i possessori di conto corrente presso la banca sono limitati, come chiarito anche in questo blog di recente (vedi).

Di seguito, il comunicato stampa del Credito Trevigiano.

domenica 31 agosto 2014

COVIP Che belli i fondi pensione per l'authority

Fatto quotidiano
5 luglio 2014
La prima stortura della previdenza integrata italiana è nella stessa legge istitutiva, che la dà in appannaggio al risparmio gestito. Ma anche l'organo di vigilanza, la Covip, ci mette del suo, contribuendo a ridurne la trasparenza e aumentarne i costi, dilettandosi anche a travalicare il proprio ruolo. 
Cominciamo da quest'ultimo punto: a essa non compete spingere le vendite. Invece recentemente ha diffuso una pubblicità di otto pagine, ridondante di affermazioni tendenziose, se non false: "Previdenza complementare: 8 passi verso il futuro"

lunedì 11 agosto 2014

Argentina: default "selettivo" per 29 miliardi di euro

L’Argentina è stata dichiarata inadempiente per la seconda volta in tredici anni e il suo debito estero è caduto in “default”. Questa è la novità sostanziale che riguarda il paese sudamericano, il quale rivive l’incubo del dicembre 2001. 

La situazione critica era nota da tempo, ma il nuovo disastro argentino è divenuto inevitabile, a seguito del taglio del rating, operato prima da Standard & Poor’s seguito dalle altre principali agenzie di rating internazionali. 

Motivo principale del declassamento? l’Argentina non ha onorato il pagamento di 539 milioni di dollari di interessi su titoli emessi con scadenza 2033, violando l’accordo di concambio sottoscritto con alcuni fondi comuni americani.  

Invero, secondo quanto si legge da fonti sudamericane, l’Argentina ha depositato su un conto corrente di un istituto di credito americano l’importo previsto, ossia i 539 milioni di interessi (per i bond scadenza 2033), ma tale importo sarebbe stato congelato dal Giudice di New York Thomas Griesa, il quale ha agito per conto di alcuni hedge fund americani che pretendono il rimborso integrale dei bond in loro possesso, pari a 1,3 miliardi. 

Da più parti viene sostenuto che il default dichiarato dallo Stato Argentina nasconderebbe il vero contrasto in atto tra il governo sudamericano ed i grandi investitori americani, interessati a recuperare (e lucrare?) gli investimenti operati in Argentina.

L'Argentina, pur disponendo dei denari per adempire ai propri obblighi verso i debitori, sta portando avanti ogni iniziativa volta a "svincolarsi" dalla presa aggressiva dei fondi avvoltoio, ridiscutendo il proprio debito a condizioni più favorevoli.

Al momento la situazione appare alquanto fluida e per i risparmiatori italiani che avessero accettato le proposte di concambio, le prospettive di ottenere le somme dovute si riducono sensibilmente.

venerdì 1 agosto 2014

Giungla del risparmio. Ecco come salvarsi

Fonte
Il fatto quotidiano
GESTIONE O FAI DA TE? I risparmiatori italiani sono in balia di promotori, banche e consulenti che impongono fondi e piani previdenziali. 
Perché e come evitarli. I fondi comuni d'investimento, il grande successo degli anni '80 e '90, hanno molto pregi. Permettono infatti di portare via tanti soldi ai risparmiatori, in modo leciti e illeciti. Limitandosi ai primi, abbiamo le commissioni di ingresso, di uscita, di passaggio da un prodotto all'altro, di gestione, di incentivo ecc.

domenica 20 luglio 2014

Il Garante Privacy “limita” la richiesta da parte del cliente dei documenti bancari

Di recente si è sviluppata una vivace discussione in merito al diritto di accesso ai dati personali che spetta, ex art. 7 del Codice Privacy, e la possibilità di esercitare tale facoltà da parte del cliente verso il proprio istituto di credito. Il Garante ha ritenuto di intervenire in tale discussione, interpretando la norma in parola, ed ha chiarito – con la newsletter del 15 luglio scorso – i limiti di applicazione. Il cliente non può, a mente dell’art. 7, ottenere qualsiasi documento, ed in particolare gli estratti di conto corrente, il contratto quadro, le comunicazioni provenienti dalla banca.

 Tali documenti, pare di intuire dall'intervento del Garante, non rivestono quel carattere di riservatezza tale da consentire al correntista di invocare l’art. 7. Questi può chiederne l’invio, in forza dell’art. 119, comma 4 TUB, versando l’importo corrispettivo previsto, ed entro il limite di dieci anni previsto dalla normativa di settore.

Di seguito, l’estratto della Newsletter del Garante.

giovedì 19 giugno 2014

POS. Aiuto alle banche in nome della legalità

Fonte
Il Fatto quotidiano
12 giugno 2014
C'é una furbizia cui ricorrono spesso le banche per ottenere dal governo ciò che gli conviene. Lo spacciano come utile per combattere l'evasione fiscale, onde tacitare ogni obiezione.  L'ultimo esempio è l'obbligo (o il non obbligo, come vedremo) del cosiddetto Pos per negozi, artigiani ecc. ma pure tutti i professionisti. 

Dove l'abbreviazione Pos, a rigore point of sale, si riferisce alla macchinetta che permette di ricevere pagamenti tramite carte bancomat, di credito ecc. 

Partendo da un decreto legge del 2012 si arriva col DM 24-1-2014 all'imposizione, almeno nell'interpretazione iniziale prevalente, di dotarsi di tale congegno entro fine giugno. 

domenica 18 maggio 2014

Usura bancaria: il tasso di mora non deve essere sommato a quello convenzionale

L'usura bancaria è uno degli argomenti più trattati in siti web e blog tra consumatori ed esperti del settore, dove è possibile trovare ogni forma di interpretazione delle norme in materia di calcolo del tasso usurario.

La sentenza n. 350 della Corte di Cassazione ha avviato un lungo dibattito in merito al calcolo degli interessi effettivamente applicati dalla banca al cliente per il mutuo, applicando in modo puntuale e completo l'art. 644 c.p., il quale statuisce che ai fini dell'usura bancaria devono essere considerati tutti i costi e gli oneri pattuiti e promessi dall'intermediario bancario al cliente per il finanziamento concesso.

In buona sostanza, nel calcolo del tasso di interesse effettivo applicato dalla banca al mutuatario devono essere ricompresi anche gli interessi di mora, i quali rientrano nel calcolo usura secondo i parametri stabiliti con la legge n. 108/1996 (vedasi Tribunale di Rovereto).

Questa tesi non è stata seguita da molti tribunali, ed anzi occorre richiamare alcune recenti sentenze con le quali è stato sostenuto che i tassi moratori non vanno sommati a quelli corrispettivi, in quanto all'esito di tale somma verrebbe creato un "tasso creativo" (e virtuale) che non rientrerebbe nei parametri previsti dalla legge antiusura.

Tale principio è stato sostenuto, di recente, dal Tribunale di Verona, il quale ha risolto la controversia inerente un mutuo stipulato tra un cliente ed una banca, negando l'esistenza di interessi oltre soglia usura.

Il Tribunale di Verona ha fatto proprio un orientamento, formatosi tra i tribunali di Torino e Napoli, secondo il quale devono entrare nel calcolo dell'indicatore sintetico di costo del mutuo solo i costi effettivi addebitati al cliente per il denaro prestato dalla banca.

sabato 10 maggio 2014

Forex. Il pericoloso casinò dei tassi di cambio

Fonte: Il Fatto quotidiano
2 aprile 2014
Questa volta non è una trappola architettata dalle banche o dai venditori porta a porta. L'insidia è on line ed è la possibilità di operare, ma è meglio dire di speculare tramite computer o smartphone sul mercato delle valute, il cosiddetto Forex. 
Un'attività che rientra a pieno titolo nel trading on line ed è, a ben vedere, più simile al poker on line che agli investimenti. Diverse piattaforme - si chiamano così tali servizi su Internet - permettono infatti di cambiare una divisa in un'altra. Nel caso più semplice per esempio di comprare 138.000 dollari vendendo 100.000 euro. 

lunedì 21 aprile 2014

La Cassazione “riapre” la partita del diritto di ripensamento per gli investimenti fuori sede

La sentenza n. 7776/2014 pronunciata dalla Suprema Corte di Cassazione lo scorso 3 aprile 2014 potrebbe riaprire il forte contrasto creatosi tra banca e cliente per gli acquisti di strumenti finanziari avvenuti fuori dai locali dell’istituto di credito. 

La Cassazione pare voler tutelare i risparmiatori, prevedendo la possibilità per questi ultimi di poter contestare alla banca la violazione delle norme in materia di diritto di ripensamento per tutti gli investimenti effettuati prima del 1° settembre 2013.

a.- Il diritto di ripensamento per l’acquisto di titoli finanziari
La questione affrontata dalla Cassazione riguarda una particolare modalità di acquisto dei prodotti finanziari: l’acquisto fuori dai locali commerciali, come ad esempio nel caso del promotore finanziario che si presenta presso l'abitazione del cliente, offrendogli prodotti finanziari della propria banca. 

L’art. art. 30 del d. lgs. n. 58/1998 (Testo Unico della Finanza) stabilisce " L'efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede è sospesa per la durata di sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell'investitore. Entro detto termine l'investitore può comunicare il proprio recesso senza spese né corrispettivo al promotore finanziario o al soggetto abilitato; tale facoltà è indicata nei moduli o formulari consegnati all'investitore. La medesima disciplina si applica alle proposte contrattuali effettuate fuori sede". 

L’art. 30 comma 7 dispone che l'omessa indicazione del diritto di recesso nel contratto di borsa sottoscritto dall'investitore comporta la nullità dell'operazione di investimento" L'omessa indicazione della facoltà di recesso nei moduli o formulari comporta la nullità dei relativi contratti, che può essere fatta valere solo dal cliente" (vedi).

b.- Quando si applica il diritto di ripensamento? le Sezioni Unite chiamate a ricomporre il contrasto giurisprudenziale
Negli ultimi anni si era sviluppato un contrasto in merito alI’ambito di applicazione della norma appena richiamata, in quanto si erano formati due diversi orientamenti.

- Orientamento restrittivo: l'art. 30 TUF si applica solo al servizio di collocamento di strumenti finanziari
Un primo orientamento - maggioritario nella giurisprudenza di merito e seguito da una parte della Cassazione - ha sostenuto che la disciplina prevista ex art. 30 del TUF è circoscritta per i soli contratti di collocamento o di gestione di portafogli individuale, ove esiste uno specifico rapporto tra cliente e soggetto offerente (Cass. n. 2065/2012). 


In termini più semplici, la disciplina di cui all'art. 30 del TUF troverebbe applicazione solo in ipotesi marginali, ove l'intermediario finanziario offra uno specifico servizio finanziario in favore dell'investitore.

- Orientamento estensivo: il diritto di recesso dal contratto si applica per ogni servizio di investimento finanziario previsto ex art. 1, comma 5 del TUF
Un diverso orientamento ha, al contrario, sostenuto l'applicazione estensiva dell'art. 30 del TUF e quindi la previsione del diritto di recesso per ogni servizio di intermediazione finanziaria offerta in favore del piccolo investitore. 

Coloro che hanno seguito tale orientamento, hanno richiamato anche l'art. 36  del Reg. Conosb 11522/98, il quale prevedeva che: “Nell’ attività di offerta fuori sede di strumenti finanziari, di servizi di investimento e di prodotti finanziari disciplinati dall’art. 30 del Testo Unico, gli intermediari autorizzati si avvalgono dei promotori finanziari al fine di: la facoltà prevista dall’art. 30, comma 6, del Testo Unico;". Tale norma è rimasta pressoché invariata anche con il nuovo Regolamento Consob n. 17690/2007. 

Il diritto di ripensamento, quindi, non riguarderebbe il solo servizio di collocamento, ma tutte le attività di intermediazione finanziaria realizzate dalla banca fuori dai locali commerciali. In tutti questi casi, l'intermediario deve rendere noto al cliente dell'esistenza del diritto di ripensamento (jus poenitendi) e l'ordine di borsa deve rimanere sospeso per i 7 giorni successivi, in attesa di un eventuale disdetta da parte dell'investitore. Il contrasto veniva devoluto alle Sezioni Unite della Cassazione, chiamate a chiarire quando la norma dovesse trovare applicazione (vedi).

c.- La Cassazione si esprime in favore del consumatore/investitore
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse lo scorso mese di luglio 2013, con sentenza n. 13095, facendo proprio l’orientamento estensivo sopra richiamato, e quindi sostenendo che il diritto di ripensamento ex art. 30 TUF debba trovare applicazione per ogni ordine di investimento disposto fuori dai locali dell’intermediario finanziario (vedi).

d.- Il Governo si esprime in favore delle banche
L’effetto innovativo, e negativo per il sistema bancario, ha suggerito un intervento legislativo “correttivo” da parte del Governo, il quale ha ben pensato di annullare ogni effetto della sentenza n. 1305/2013, prevedendo, all’art. 56 quater, che l’obbligo di informativa del diritto di ripensamento trovi applicazione solo a partire dal 1° settembre 2013Ferma restando l'applicazione della disciplina di cui al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettere c), c-bis) e d), per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 la medesima disciplina si applica anche ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a)”. 

Era evidente che la finalità di tale norma era quella di “bloccare” ogni effetto retroattivo della sentenza pronunciata dalle Sezioni Unite della Cassazione, e, attraverso una norma di interpretazione autentica, evitare l’aumento del contenzioso civile su tale punto (vedi).

e.- La Cassazione “riabilita” il diritto di ripensamento anche per i casi anteriori al 1° settembre 2013?
La partita sembrava chiusa con l’intervento del Governo, salvo interventi della Consulta, e quindi pacifico che non vi sarebbe stato ulteriore conflitto giurisprudenziale sul punto, in particolar modo per tutte le vicende anteriori al 1° settembre 2013. 

Ed invece la recente sentenza della Corte di Cassazione, che potete leggere di seguito, ha riaperto la problematica, negando qualsiasi valore retroattivo alla norma introdotta con il Decreto del Fare. La Cassazione Civile, Terza Sezione Civile si è pronunciata con sentenza n. 7776/2014, affermando che il citato art. 56-quater del d. l. 21 giugno 2013, n. 69 (decreto del fare), convertito in legge 9 agosto 2013, n. 98, non sarebbe norma di interpretazione autentica, e perciò non sanerebbe alcuna nullità dei contratti di negoziazione di strumenti finanziari sottoscritti fuori dai locali commerciali prima del settembre 2013, e privi dell’avviso del recesso accordato all’investitore. 

La Corte spiega, a tal proposito, che “il presupposto che legittima l’intervento del legislatore attraverso una norma di interpretazione autentica è la situazione di incertezza che il legislatore intende eliminare. Nel nostro ordinamento questa situazione di incertezza non solo non esisteva, ma anzi era stata esclusa proprio dall’intervento delle Sezioni Unite, cui l’art. 65 dell’Ordinamento giudiziario attribuisce il compito di rimuoverle, le incertezze e non crearle. Né, ovviamente, potrebbe spacciarsi per “incertezza del diritto” l’eventuale malumore ingenerato da una decisione della Corte di cassazione confliggente con (pur legittimi) interessi od aspettative privati. Dunque l’art. 56 quater d.l. 69/2013 non può ritenersi una norma interpretativa perché dell’interpretazione autentica mancava il primo e principale presupposto, ovvero la possibilità di letture contrastanti”. Dalla lettura della sentenza, di cui questa Associazione ne condivide integralmente l’iter argomentativo con il quale la Cassazione è giunta a negare il valore di norma di interpretazione autentica, i giudici di legittimità hanno analizzato anche tutto il percorso parlamentare con il quale si è giunti all'approvazione della norma sopra richiamata. 

Nella sentenza viene evidenziato, in particolare, che nemmeno dalla discussione parlamentare sia mai emerso alcun contrasto che la norma era tesa a superare, o alcuna finalità interpretativa volta a superare l’incertezza di diritto creatasi.

giovedì 20 febbraio 2014

Usura & mutuo: anche a Rovereto viene condannata la banca

Un nuovo intervento giurisprudenziale conferma la teoria dell'usura bancaria nei mutui, dimostrando che le banche hanno applicato condizioni contrattuali capestro nei confronti dei clienti, traendo ingiusti vantaggi.

Il Tribunale di Rovereto, con provvedimento dello scorso 30 dicembre 2013, ha accertato la natura usuraria dei contratti di mutuo sottoscritti dal cliente con la Cassa Rurale di Brentonico, riconoscendo la violazione della legge usura (l. 108/1996).

Nel caso di specie, un cliente della banca non era riuscito a versare tutte le rate del mutuo, tant'è che l'istituto di credito aveva deciso di applicare il tasso di mora, intimando il mutuatario a versare gli importi delle rate rimaste insolute.

In seguito,Cassa Rurale aveva convenuto in giudizio il mutuatario al fine di chiedere il pagamento del capitale dato a prestito, maggiorato degli interessi convenzionali e quelli di mora, maturati in seguito al ritardo nel versamento delle varie rate.

Il cliente si era opposto alla richiesta giudiziale avanzata dalla banca, eccependo la nullità della clausola contrattuale inerente gli interessi convenzionali e di mora, in quanto contraria al limite usura stabilito con la legge n. 108/1996.

Il cliente aveva evidenziato, in particolare, che da un controllo dei contratti di mutuo risultava che il tasso di interesse convenzionale applicato dalla banca nei contratti di mutuo, maggiorato con quello di mora, aveva superato il limite usura stabilito periodicamente dal Ministero dell'Economia e dalla Banca d'Italia.

Il Tribunale di Rovereto ha accolto l'eccezione sollevata dal risparmiatore, evidenziando che "in ordine agli interessi applicati dalla Banca sussista effettivamente un dubbio non prontamente risolvibile: in realtà, dai conteggi effettuati dall'opponente il tasso soglia - considerando solo interessi convenzionali e moratori - parrebbe senz'altro essere stato sforato nel secondo contratto, mentre nel primo contratto parrebbe essersi rimasti sotto la soglia, salva l'ulteriore valutazione di tutti gli altri importi - diversi da imposte e tasse - incamerati dalla Banca in relazione del mutuo".

Il Giudice trentino, applicando l'orientamento dettato dalla Cassazione con la sentenza n. 350/2013, ha ritenuto che parte della pretesa avanzata dalla banca, quella relativa agli interessi, non sia fondata e quindi meritevole di accoglimento, ritenendo possibile la violazione della normativa usura da parte della Cassa Rurale di Brentonico.

Anche in seguito a questa sentenza vi consigliamo di operare un controllo del vostro mutuo, al fine di verificare una eventuale violazione della normativa usura da parte della banca.

Per maggiori informazioni, usura@consumatoreinformato.it.

Qui il provvedimento del Tribunale di Rovereto.

Dividendi. La tosatura silenziosa dell'azionista

Fonte:
 Il fatto quotidiano
8 gennaio 2014
Prof. Beppe Scienza.
Con l'inizio del 2014 sono dieci anni esatti dalla soppressione del credito d'imposta sui dividendi. Un istituto di equità fiscale che si sono ben guardati dal ripristinare i governi da allora succedutisi, di destra, sinistra o più o meno di larghe intese. 
Il principio a monte di tale opzione è semplice: permettere al piccolo azionista di essere tassato sugli utili distribuiti dalla società in base al suo reddito. E in particolare di meno, se questo è basso.
Il che è del tutto coerente col criterio di progressività tributaria enunciato nell'art. 53 della Costituzione

mercoledì 29 gennaio 2014

Obbligazioni. È tutta una questione di taglio

 Nell’ ambito degli investimenti circola un luogo comune, messo in giro ad arte,ossia che con i grossi capitali si avrebbe accesso a soluzioni migliori.
La cosa non è quasi mai vera.

I fondi hedge, che richiedono un minimo di 500 mila euro, sono stati campioni nel far perdere barche di soldi. Non parliamo poi dei cosiddetti family office, specializzati nel blandire e adulare facoltosi eredi incompetenti, cui vengono appioppati prodotti molto spesso peggiori di quelli piazzati dalle banche.

martedì 14 gennaio 2014

La legge di stabilità 2014 manda in archivio l’anatocismo bancario

Alla fine anche il legislatore, preso atto dei ripetuti interventi della giurisprudenza, ha deciso di cancellare il fenomeno anatocismo bancario, come risulta dalla legge di stabilità 2014 appena pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. 

In termini molto semplici, nei rapporti bancari gli interessi non producono più interessi, né a favore re della banca che del cliente. Il comma 629 della legge di stabilità ha modificato, come potete leggere di seguito, l’art. 120 del d. lgs. n. 385/1993, prevedendo che nel settore creditizio gli interessi maturati nel rapporto bancario, sia attivi che passivi, non possano produrre ulteriori interessi. 

Ne discende che nel periodo successivo, in aderenza con l'Ordinanza emessa di recente dalla Cassazione (vedi), gli interessi devono essere calcolati solo sulla sorte capitale, rimanendo esclusi gli interessi precedentemente addebitati. 

Il nuovo art. 120 del TUB attribuisce al Comitato interministeriale credito e risparmio (Cicr), il compito di determinare il criterio di produzione degli interessi nelle operazioni, di qualsiasi segno, nel rapporto bancario, ma introduce alcuni limiti, quali: 

a) nelle operazioni in conto corrente deve essere assicurata la medesima periodicità di conteggio; 
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre altri interessi e che, nelle operazioni contabili successive, gli interessi sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale. 

Mentre la lettera a) è una mera modifica della norma precedente, il divieto di anatocismo, previsto alla lettera b), è una novità assoluta che cancella una prassi bancaria entrata in crisi negli ultimi anni. L’intervento legislativo, inoltre, riafferma la centralità dell’art. 1283 c.c., stabilendo che, in mancanza d usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale, o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza. 

La norma dovrebbe incidere anche nel calcolo delle rate dei contratti di mutuo e nei finanziamenti, specialmente per quelle non regolarmente versate dal cliente. Di seguito la norma della legge di stabilità 2014 che ha modificato l’art. 120 del d. lgs. n. 385/1983. 

mercoledì 8 gennaio 2014

JP Morgan multata per la vicenda Madoff

La banca statunitense JP Morgan Chase ha accettato di pagare una maxi multa attorno ai 1,7 miliardi di dollari al fine di evitare il giudizio nella vicenda Madoff. 

La banca d’affari era accusata di aver assecondato la truffa “a piramide” portata avanti da Madoff, ignorando le prove che avrebbero consentito l’interruzione della condotta truffaldina portata avanti da quest’ultimo. Il pagamento di quest’ultima multa fa salire a venti miliardi di dollari l’ammontare delle sanzioni pagate da JP Morgan negli ultimi 12 mesi.

giovedì 2 gennaio 2014

Mutuo e interessi oltre usura: la Corte d'Appello di Venezia condanna la banca usuraria

L'usura bancaria nel contratto di mutuo è stato uno degli argomenti più "ricercati" nel nostro blog e tra i nostri associati nell'anno che si sta concludendo, e non solo per alcuni interventi televisivi (vedasi "Le Iene").

La recente giurisprudenza formatasi in materia ha messo in discussione le modalità di calcolo degli interessi stabilita dalle banche nei confronti dei clienti, denunciando l'esistenza di una prassi del settore poco trasparente e, a detta dei tribunali, non del tutto legale.

Questo orientamento è stato seguito anche dalla recente sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello di Venezia, e che vi proponiamo di seguito, ove il giudice di secondo grado è stato chiamato a decidere una controversia tra banca e cliente.

La Corte d'Appello doveva accertare se gli interessi complessivi pattuiti/promessi con il cliente superassero la soglia usura stabilita con legge n. 108 del 7 marzo 1996, e quindi se l'intermediario bancario avesse applicato al consumatore interessi oltre la soglia usura (art. 2, comma IV).

Nella sentenza si comprende facilmente che il giudice, dopo aver richiamato l'art. 1815, comma 2 del Codice Civile ("se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla è non sono dovuti interessi"), ha chiaramente stabilito che in tutti i casi ove la soglia usura sia superata vi sia la "conversione forzosa del mutuo usurario in mutuo gratuito, in ossequio all'esigenza di maggiore tutela del debitore e ad una visione unitaria della fattispecie connotata dall'abbandono del presupposto soggettivo dello stato di bisogno del debitore, a favore del limite oggettivo della "soglia" di cui all'art. 2, IV comma, della stessa Legge n. 108/1996" (Corte d'Appello di Venezia - sentenza n. 342/2013).

Il giudice evidenzia che in tale calcolo devono essere inclusi anche gli interessi pattuiti a titolo di mora, e cioè quelli che il mutuatario deve versare nel caso di ritardo nel versamento della singola rata.

Applicando tale criterio, la Corte d'Appello di Venezia ha accertato che gli interessi pattuiti tra le parti superavano il limite usura, in violazione delle citate norme di settore.

La Corte d'Appello di Venezia ha sentenziato che, accertata la nullità della clausola relativa agli interessi, il mutuo deve essere considerato gratuito, così come stabilito anche dalla Corte di Cassazione (vedi).

Evidenziamo che anche in questa circostanza, la vicenda oggetto di decisione riguarda un contratto di mutuo acceso in periodo antecedente all'entrata in vigore della legge contro l'usura, ma ciò non diminuisce l'importanza del ragionamento proposto con la sentenza.

Alla luce di questo ulteriore intervento dei giudici, il consumatore può, ove vi siano i presupposti sopra richiamati, chiedere alla banca:

- la restituzione degli interessi versati;
- chiedere di non dover più versare interessi per il mutuo in futuro;
- rinegoziare il contratto di mutuo (sia l'importo totale che le rate mensili da versare);
- se il mutuo è estinto, chiedere il rimborso dei maggiori interessi versati negli anni;

Qui la sentenza n. 342/2013 della Corte d'Appello di Venezia

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