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sabato 30 novembre 2024

Trading on line truffa: i suggerimenti della Polizia postale

Fonte: Comunicato stampa
30 ottobre 2024
Falso trading online, la truffa informatica sulle attività di compravendita di azioni e titoli finanziari in rete, è un fenomeno criminale in espansione che produce un guadagno illecito di milioni di euro, rappresentando, nel panorama delle frodi online, la truffa che genera il profitto più cospicuo, alimentando peraltro l’interesse della criminalità organizzata.

Nel 2023 la Polizia Postale ha ricevuto oltre 3400 denunce di truffe legate alle false proposte di investimenti online, con un incremento del 12% rispetto all'anno precedente, per un valore complessivo dei fondi sottratti di oltre 111 milioni di euro.

I falsi investimenti finanziari vengono pubblicizzati con messaggi creati ad hoc, capaci di indurre gli utenti del web a fidarsi di proposte ingannevoli, grazie all’uso illecito di marchi e loghi di importanti aziende. Le potenzialità offerte dall’intelligenza artificiale rappresentano un prezioso strumento nelle mani dei cybercriminali: l’utilizzo di semplici software consente loro di realizzare video promozionali che riproducono voce e aspetto di amministratori delegati, politici, personalità amate dal pubblico, a cui vengono attribuite parole mai dette al fine di promuovere l’offerta.

La vittima dell’inganno viene “agganciata” al telefono, su social e siti d’incontri, indotta a comunicare i propri dati e infine persuasa a investire online, affidandosi ai consigli di un truffatore che si finge broker professionista con il versamento di una piccola somma iniziale. In un secondo momento, viene convinta a investire altro denaro, perché crede che il suo rendimento stia crescendo velocemente. L’ultima fase della truffa consiste nella richiesta del versamento di presunti “costi di sblocco” per recuperare il capitale investito, ma in nessun caso il denaro versato tornerà nella disponibilità della vittima.

L’arma più efficace per contrastare questo fenomeno criminale è la prevenzione. La realtà non è sempre quella che appare sulla Rete:

  • Non credere alla promessa di guadagni fuori mercato
  • Non condividere dati personali, bancari, credenziali di accesso con presunti agenti finanziari;
  • Verifica l’attendibilità chi ti propone l’investimento, visitando i siti della Consob e della Banca D’Italia;
  • Utilizza esclusivamente piattaforme ufficiali evitando di cliccare su banner pubblicitari;
  • La richiesta di un pagamento ulteriore, con il pretesto di sbloccare il capitale investito, è la modalità utilizzata dai cybercriminali per estorcere altro denaro che non verrà comunque restituito. 

Se ti riconosci in questa tipologia di truffa, fai subito denuncia: la tempestività è fondamentale per attivare gli accertamenti volti all’identificazione degli autori e al possibile recupero delle somme.

Per informazioni e segnalazioni rivolgiti alla Polizia Postale tramite il sito ufficiale www.commissariatodips.it.

Qualunque cosa accada, hai diritto ad essere tutelato.

domenica 6 ottobre 2024

L'azione collettiva e clausole abusive - i limiti indicati dal giudice europeo

Può una azione collettiva ottenere la dichiarazione di nullità/inefficacia di una clausola contrattuale in quanto abusiva, magari redatta in modelli distanti anni l'uno dall'altro?

La questione è stata sottoposta all'attenzione della Corte di giustizia dell'Unione europea, la quale si è espressa con provvedimento che trovate di seguito.

Un giudice nazionale si era rivolto al giudice comunitario, rivolgendo due questioni pregiudiziali di non secondaria importanza:

a) Con una azione collettiva è possibile accertare delle clausole abusive a possibilità di accertare la presenza di clausole abusive nei modelli contrattuali predisposti dal professionista.

b) Come deve essere considerata il carattere abusivo della clausola, riferita al “consumatore medio” dell'azione collettiva, laddove i contratti sono stati conclusi in periodi diversi.

Il giudice comunitario ha così dato riscontro alle richieste formulate dal giudice nazionale: 

Sul punto (a):1) L’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che: consentono a un giudice nazionale di procedere al controllo della trasparenza di una clausola contrattuale nell’ambito di un’azione collettiva diretta contro numerosi professionisti dello stesso settore economico e riguardante un numero molto elevato di contratti, purché tali contratti contengano la medesima clausola o clausole simili.".

Sul punto (b): "2) L’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che: consentono a un giudice nazionale, investito di un’azione collettiva diretta contro numerosi professionisti del medesimo settore economico e avente ad oggetto un numero molto elevato di contratti, di procedere al controllo della trasparenza di una clausola contrattuale basandosi sulla percezione del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, quando tali contratti si rivolgono a categorie specifiche di consumatori e tale clausola è stata utilizzata per un periodo molto lungo. Tuttavia, se, durante tale periodo, la percezione globale del consumatore medio riguardo a detta clausola è stata modificata dall’intervento di un evento oggettivo o di un fatto notorio, la direttiva 93/13 non osta a che il giudice nazionale proceda a tale controllo tenendo conto dell’evoluzione della percezione di tale consumatore, fermo restando che la percezione pertinente è quella esistente al momento della conclusione di un contratto di mutuo ipotecario.».".

Corte di giustizia Unione europea - Sez. IV^ sentenza C - 450/2022. (visibile con browser Opera - VPN attivo)

sabato 14 settembre 2024

Mutuo indicizzato - Milano in favore dei consumatori

Nuovo capitolo nella vicenda mutui indicizzati che ha riguardato molti consumatori italiani, convinti di poter ottenere un mutuo versando pochi interessi alla banca e successivamente strangolati dalla conversione euro/franco svizzero e costretti a versare rate estremamente esose.

Questo blog ha trattato la questione in più occasione, contestando la validità dei contratti conclusi da Barclays Bank, come riconosciuto anche dall'Arbitro Bancario (vedi qui).

Il Tribunale di Milano ha affrontato, ancora una volta, la vicenda ed è stato chiamato a valutare la validità delle condizioni contrattuali contenute in un contratto concluso tra dei consumatori e Barclays.

I) le clausole incriminate del contratto di Barclays Bank

Il Tribunale di Milano ha giudicato il carattere abusivo delle clausole di mutuo indicizzato di Barclays, in particolare l'art. 4 disciplina il tasso di interesse applicato dalla banca mutuante ed in particolare il cambio tra euro/franco svizzero, presupposto per il calcolo degli interessi da applicare al cliente.

Il successivo art. 4 bis del contratto di mutuo prevede l'apertura di un deposito a nome della banca sul quale vengono accreditati eventuali accrediti o addebiti derivanti dal cambio applicato al contratto di mutuo.

L'art. 7 dispone, infine, l'ipotesi di estinzione anticipata del contratto di mutuo indicizzato, il quale prevede l'obbligo di ricalcolo della posizione, con versamento delle somme previste in favore della banca, altresì precisando: "In caso di estinzione parziale, la somma restituita dalla parte mutuataria alla banca determina la quota di capitale estinto. Sulla base della quota di capitale estinto viene calcolata la quota di capitale residuo.

Questo capitale residuo è la base di ricalcolo del piano di ammortamento per la durata rimanente del mutuo. Il tasso utilizzato per il ricalcolo sarà quello applicato al contratto di mutuo alla data di estinzione.".

Ma come avviene il calcolo degli interessi per questo contratto indicizzato? l'art. 7 bis del contratto di Barclays chiarisce il sistema di calcolo, attraverso la possibilità di conversione del tasso riferito franco svizzero a quello dell'euro con uno di quelli previsti per i prodotti offerti dalla banca.

Questo sistema, molto complesso e non molto trasparente, ha portato il cliente a dover versare alla banca un importo, a titolo di interessi, notevolmente elevato e non adeguato al prestito ottenuto.

II) Tribunale di Milano - clausole abusive e nulle

Il giudice milanese è stato chiamato a giudicare il carattere vessatorio ed abusivo delle clausole 4, 4bis e 7 del mutuo di Barclays e, quindi, l'eventuale contrasto delle stesse rispetto all'art. 4 della Direttiva comunitaria n. 93/13.

E il ragionamento seguito dal giudice si è fondato sull'orientamento indicato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, la quale ha puntualizzato che: "nell'ambito di un contratto di mutuo espresso in valuta estera, il requisito di trasparenza delle clausole di tale contratto che prevedono che la valuta estera sia la moneta di conto e che l'euro sia la moneta di pagamento e che hanno l'effetto di far gravare il rischio di cambio sul mutuatario, è soddisfatto quando il professionista ha fornito al consumatore informazioni sufficienti ed esatte che consentano a un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, di comprendere il funzionamento concreto del meccanismo finanziario in discussione e di valutare quindi il rischio delle conseguenze economiche negative, potenzialmente gravi, di clausole del genere sui suoi obblighi finanziari nel corso dell'intera durata del contratto medesimo" (Corte di giustizia UE C - 776/2021).

Correttamente, a parere di chi scrive, il Tribunale di Milano richiama i principi generali che devono regolare i rapporti tra professionista e consumatore, e ciò sul presupposto che in questo tipo di rapporti esiste una disparità che deve essere ovviata dal professionista fornendo alla controparte svantaggiata, attraverso la redazione di un contratto con clausole trasparenti e comprensibili (Corte di giustizia UE  3 marzo 2020 C‑125/2018 Marc Gómez del Moral Guasch contro Bankia SA).

Nella vicenda tasso indicizzato, il contratto Barclays contiene informazioni trasparenti e comprensibili per i clienti?

"Nel caso in esame, peraltro, la banca proponendo a consumatori interessati a contrarre un mutuo per l’acquisto della prima casa che in apparenza era un mutuo fondiario a rata fissa e interesse variabile con garanzia ipotecaria e, quindi, un tipico contratto di finanziamento, aveva obblighi informativi ancora più stringenti in quanto avrebbe dovuto rendere edotti i contraenti del complesso meccanismo della determinazione dei tassi di interesse, della doppia indicizzazione e del funzionamento del deposito fruttifero anche mediante esemplificazioni di ipotesi di estinzione anticipata dopo due/cinque/ dieci anni considerata la durata particolarmente lunga di tali contratti, considerato, peraltro, che come ha ammesso la banca, fino al 2010 questa tipologia di mutuo era “un prodotto molto vantaggioso per i mutuatari” e la banca ha cessato di stipulare tale tipologia di mutuo all’inizio del 2011. L’obbligo di informazione mediante esemplificazioni e chiarimenti rientra nell’obbligo di buona fede oggettiva che nel caso in esame non è stato osservato.".

E la violazione di tale obbligo informativo è ancor più grave, secondo il giudicante, considerando che: "....che avrebbero imposto alla banca un onere informativo rafforzato nei confronti dei clienti che avrebbero dovuto essere resi edotti dell’effettivo esborso a cui andavano incontro e delle conseguenze in cui sarebbero incorsi in caso di estinzione anticipata del mutuo, considerata la durata ventennale e trentennale dei contratti.".

Nel caso di specie, il giudice ha dato applicazione al principio di chiarezza e trasparenza che deve sempre contraddistinguere la redazione del contratto sottoposto al consumatore, e che trova la sua disciplina nel Codice del consumo all'art. 35: "Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile."

Il mancato rispetto di tali presupposti possono, come accaduto nel caso affrontato dal giudice, far dichiarare nulle e non vincolanti per il consumatore le clausole vessatorie, condizionando il ricalcolo della posizione con la banca mutante.

Tribunale di Milano - Sez. VI^ Civ. - sentenza n. 6054/2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

sabato 3 agosto 2024

Obbligazioni Rickmers: si al risarcimento del danno se la banca non ti informa sui rischi di investimento

Si può ottenere il risarcimento del danno nel caso in cui la banca, attraverso il promotore finanziario, non fornisce informazioni accurate e trasparenti in merito ai rischi collegati all'investimento nelle obbligazioni estere.

Questo è, in buona sostanza, quanto ha stabilito l'Arbitro per le Controversie Finanziaria a cui si è rivolta una consumatrice, rimasta "scottata" dall'investimento in titoli Rickmers 06/18 8,875% (cod. ISIN DE000A1TNA39) suggerito dal promotore di una banca e azzeratosi in seguito a causa del fallimento della società emittente.

Nel caso di specie, il titolo Rickmers 8,875% 06/2018 (Codice ISIN DE000A1TNA39) è stato proposto all'investitrice, senza renderle noti specifici rischi connessi all’investimento in bond emessi fuori dai mercati regolamentati e con un rating basso (BB).

Era peraltro emesso che l'emissione obbligazionaria proposta alla consumatrice era finalizzata ad ottenere nuova liquidità, al fine di poter sanare i debiti pregressi. 

Per tale ragione, il prestito obbligazionario prevedeva la possibilità di insolvenza indiretta (c.d. crossing default), ovverosia l’inadempimento nel rimborso del prestito anche nel caso di altre insolvenze della società Rickmers.

Occorre osservare che il rischio di default consiste nella possibilità che al verificarsi di precise circostanze, il soggetto finanziatore possa attivare protezioni contrattuali che possono arrivare fino alla possibilità di non provvedere al rimborso del finanziamento. 

Tutte queste informazioni non erano state comunicate alla piccola investitrice, la quale si è rivolta all'ACF per chiedere il risarcimento del danno sofferto a causa della condotta inadempiente dell'intermediario finanziario, attraverso il promotore finanziario.

E l'arbitro ha riscontrato la grave carenza informativa da parte della banca, la quale ha fornito informazioni generiche e non pertinenti con l'investimento in titoli Rickmers, così giustificando l'inadempimento informativo da parte del Professionista: "Non risulta agli atti, invece, alcuna informativa sulle caratteristiche e i rischi specifici delle Obbligazioni ad elevata rischiosità oggetto di contestazione, come desumibile anche dal tasso di rendimento nominale dell’8,875%, dichiarate in default in data 11 giugno 2018, data di scadenza. Né tali informazioni risultano altrimenti fornite nel modulo d’ordine con cui le suindicate Obbligazioni sono state acquistate dalla Ricorrente.".

L'assenza di specifiche informazioni inerenti al titolo Rickmers hanno giustificato la condanna al risarcimento del danno della banca convenuta.

ACF - decisione n. 7341 del 10 giugno 2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

sabato 13 luglio 2024

Credito bancario cartolarizzato: la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non prova la cessione del credito

Si torna a parlare di crediti cartolarizzati, questione tutt'altro che marginale, in quanto riguarda molti consumatori rimasti, purtroppo, insolventi verso le banche.

Ciò che capita con una certa frequenza, è che al creditore originario (la banca con cui abbiamo firmato il contratto di mutuo) se ne sostituisce un altro (e un altro ancora), il quale si presenta alla nostra porta chiedendo il pagamento del proprio credito.

Questo tipo di vicenda è stata già trattata in questo blog (vedi qui), ed in particolare abbiamo evidenziato come sia molto importante per chi ricevere richieste di pagamento da parte di una società diversa da quella con cui ha firmato il contratto, accertare la legittimazione da parte di chi bussa alla nostra porta.

Stiamo parlando del caso di cessione del credito  e del particolare privilegio concesso alle banche, in deroga ai principi previsti ex artt. 1260 c.c. e seguenti che prevedono l'obbligo di consenso del debitore ceduto al cambio del creditore.

E' noto, infatti, che l'art. 58, comma II^, TUB dispone che la cessione possa avvenire con la semplice pubblicazione della comunicazione in Gazzetta Ufficiale, con piena opponibilità al debitore ceduto.

Il punto problematico, emerso anche di recente (clicca qui), riguarda l'attendibilità probatoria della comunicazione rispetto alla legittimazione ad agire davanti ad un tribunale da parte del nuovo creditore.

Il caso affrontato dalla Suprema Corte e che potete leggere di seguito, riguarda proprio i doveri probatori che ricadono sulla società cessionaria (ossia quella che ha acquisito il credito da altra banca) che agisce nel giudizio esecutivo per recuperare il credito.

Secondo il giudice di legittimità, infatti, che chi agisce per il recupero del credito deve non solo dichiarare, ma anche provare, la cessione e che il mero avviso in Gazzetta Ufficiale non è sufficiente a provare il contratto di cessione e l'inclusione in tale atto del credito oggetto di pretesa. La comunicazione in Gazzetta Ufficiale assolve, osservano gli Ermellini, il solo obbligo di notifica al debitore ceduto.

Nel caso di cessione del credito, infatti, l'avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale ex artt. 1 e 4 l. n. 130/1999 e 58 TUB, non è stato considerato sufficiente a fornire la certezza sulla legittimazione sostanziale ad avanzare delle pretese di pagamento del credito, presupposto che può essere assolto solo con il deposito del contratto e della indicazione della posizione debitoria collegata e ceduta

Corte di Cassazione - ordinanza n. 15010/2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

domenica 30 giugno 2024

Non pago più rate del finanziamento se non mi consegnano la macchina

Questa domenica torniamo ad interessarci dei contratti di finanziamento finalizzati all'acquisto di un bene/servizio e al particolare collegamento che si crea tra i due rapporti.

Non di rado, infatti, accade che il bene o il servizio oggetto di finanziamento non viene consegnato, oppure risulta presentare dei difetti tali da renderlo non utilizzabile, cosicché il consumatore si trova costretto a pagare delle rate per un prodotto non ricevuto o non utilizzabile.

Nel blog potete trovare diversi nostri precedenti interventi (clicca qui), con i quali abbiamo chiarito come la normativa bancaria, in particolare l'art. 125 - quinquies con la riforma del 2010, ha disciplinato in modo specifico questo tipo di eventi, stabilendo che: "Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile.".

Quindi, nel caso di inadempimento da parte del venditore (fornitore di beni o di servizi), il consumatore può risolvere il contratto dopo aver formalmente messo in mora il professionista.

Il secondo comma dispone che: "La risoluzione del contratto di credito comporta l'obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l'obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l'importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso.".

Il consumatore non solo non deve pagare più le rate per l'acquisto del bene non ricevuto (o difettato), ma ha anche il diritto a farsi restituire le somme pagate alla banca.

Questo diritto, invero, è stato disciplinato anche per i contratti precedenti al 2010, grazie agli interventi dei giudici che hanno "creato" l'insieme di norme in seguito introdotto nel Testo Unico Bancario, come ci ricorda la Corte di Cassazione, Sezione I, con l'ordinanza del 29 febbraio 2024 n. 5365 che potete leggere di seguito, ed avente ad oggetto una vicenda precedente al 2010,  quindi prima dell'entrata in vigore dell’art. 125-quinquies TUB.

Nel caso di specie, il contratto di finanziamento era stato concluso per l'acquisto di un veicolo, il quale non era stato in seguito consegnato, costringendo il consumatore a chiedere l'interruzione del finanziamento.

La Suprema Corte ha ribadito i principi già sviluppati anche a livello comunitario, come ad esempio la Corte di Giustizia Europea (Causa C-509/2007 con sentenza del 23 aprile 2009), secondo la quale esiste il diritto per l'acquirente di far dichiarare risolto il contratto di finanziamento collegato a quello principale rimasto inadempiuto, anche nel caso in cui nel contratto di vendita non sia prevista una clausola di esclusiva tra venditore e finanziatore.

La Cassazione, richiamando i principi formati con gli interventi giurisprudenziali, individua un collegamento negoziale fondamentale tra il contratto di compravendita e quello di finanziamento, tant'è che la sorte del primo non può non riguardare anche il secondo.

Ne consegue che nel caso di inadempimento del primo, anche per omessa consegna del prodotto (macchina), il consumatore ha diritto ad interrompere il pagamento delle rate del finanziamento e chiedere la restituzione dell'importo già versato alla banca.

Corte di Cassazione - Sez. I^ Civ. - sentenza n. 5365/2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

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