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lunedì 30 dicembre 2013

«La roulette dei fondi pensione»

Intervento del Prof. Beppe Scienza in materia di previdenza integrativa, incentrato sui nuovi fondi pensione che vengono proposti sia ai dipendenti pubblici che a quelli privati.


mercoledì 25 dicembre 2013

Se la banca vuole provare il suo credito deve produrre in giudizio gli estratti di conto corrente

La banca che voglia provare il suo credito deve produrre in giudizio tutti gli estratti di conto corrente del periodo per il quale pretende di essere pagata.

Il principio è stato affermato di recente dalla Corte di Cassazione, con sentenza n.18541/2013, la quale ha chiarito che l'istituto di credito è tenuto “a fornire la prova integrale del proprio credito, non potendo sottrarsi a tale onere, nel giudizio a cognizione piena, quando le contestazioni del debitore riguardano l’intera durata del rapporto”.

Non è sufficiente, a fronte della contestazione sollevata dal cliente, la mera produzione in giudizio di una ricostruzione sintetica del rapporto di conto corrente, ma è necessario che la banca presenti tutti gli estratti di conto corrente per i quali chiede il pagamento del suo credito.

venerdì 20 dicembre 2013

Svizzera: paradiso fiscale perduto

Fonte
risparmiotradito.it
Un rientro dei capitali italiani clandestinamente all'estero, in gran parte in Svizzera, fa gola per le sue virtù salvifiche per le malconce finanze pubbliche. 

La più recente stima seria al riguardo si trova in Questioni di Economia e Finanza n. 97 (2011) della Banca d'Italia, di Valeria Pellegrini ed Enrico Tosti, ed è di 164-194 miliardi di euro, circa quanti arrivarono coi tre scudi fiscali passati (178 miliardi).

giovedì 12 dicembre 2013

Se il mutuo viene estinto anticipatamente, la banca deve restituire al cliente il residuo premio dell'assicurazione

Non è noto a tutti, ma quando viene estinto un mutuo prima della naturale scadenza del contratto, il cliente ha diritto ad ottenere il rimborso del premio pagato ed addebitato nel contratto per la parte del finanziamento rimborsato in anticipo.

Il diritto al rimborso è previsto dalla legge 221/2012, la quale ha stabilito che “le imprese devono restituire al debitore/assicurato la parte di premio pagato relativo al periodo residuo rispetto alla scadenza originaria, calcolata per il premio puro in funzione degli anni e della frazione di anno mancanti alla scadenza della copertura nonché del capitale assicurato residuo”.

La banca deve informare il cliente di tale evenienza e deve, inoltre, restituire immediatamente al cliente la somma non utilizzata per la copertura assicurativa del periodo residuo del mutuo. Tale condotta dell'intermediario rientra nei generali doveri di correttezza, diligenza e trasparenza che sempre devono accompagnare la condotta della banca nei confronti del cliente.Nel caso di omesso rimborso della somma da parte dell'istituto di credito, il cliente può contestare la violazione del dovere di buona fede contrattuale e chiedere il risarcimento del danno, oltre al rimborso della somma illegittimamente trattenuta dalla banca.

Questa conclusione è stata confermata dall'Arbitro Bancario Finanziario con la recente decisione 4362/2013 che potete leggere di seguito.

Contanti. Lo zelo sospetto delle banche

Fonte
Il fatto 6 ottobre 2013
Porre limiti all'uso dei contanti è stato probabilmente utile per contrastare l'evasione fiscale. Però l'attuale soglia dei 1.000 euro è già la più bassa del mondo. Quindi mente il ministro Fabrizio Saccomanni, affermando che a questo riguardo "l'Italia è rimasta indietro". È una delle frottole care alle banche, arrivate al punto di imbastire un'associazione dal ridicolo nome di "War On Cash" (Guerra ai contanti), specializzata nel raccontare storielle.

mercoledì 4 dicembre 2013

Bene l’Antitrust europeo che multa diverse banche per la manipolazione di Euribor e Libor

Dura sanzione comminata dall’Antitrust della Commissione europea nei confronti di otto grandi gruppi bancari, tra i quali  Barclays, Societe' Generale', Rbs, Jp Morgan e Citigroup, multati per 1,712 miliardi di euro, in quanto facenti parte di un cartello illegale nel mercato dei derivati finanziari.La Commissione, o meglio l’Autorità di controllo dei mercati europea, hanno accertato, all’esito di una inchiesta avviata mesi addietro, che vi sarebbe stata una manipolazione di Libor, Euribor e sul tasso in yen. Le suddette banche avrebbero alterato gli indici, traendo illegittimi vantaggi in danno dei consumatori, come si legge nel comunicato stampa (vedi).

domenica 1 dicembre 2013

Da Trentino inBlu al blog: "Banche in crisi e tutela dei clienti"

La trasmissione di questa settimana è stata dedicata alle procedure di gestione della crisi di una banca ed i diritti riconosciuti ai correntisti della stessa, nonché a coloro che siano possessori di valori mobiliari depositati al suo interno.
  1. La banca in crisi: dall'amministrazione straordinaria alla liquidazione coatta amministrativa
Le procedure di gestione della crisi di un istituto di credito sono disciplinate dal Testo Unico Bancario (D. Lgs. n. 385/1993), al Titolo IV, Capi I e II, le quali sono finalizzate ad aiutare gli istituti di credito in difficoltà temporanea.
Le norme appena richiamate sono finalizzate alla tutela dell'integrità del mercato, e poste a garanzia dei consumatori, cioè coloro che hanno avviato un qualsiasi rapporto bancario con l'istituto di credito.
La normativa prevista nel TUB è esclusivamente destinata ad istituti di credito che versino in una situazione di criticità economica e finanziaria, ed ha come fine quello di aiutare la banca a superare tale periodo di difficoltà.
Nel caso in cui la crisi della banca sia estremamente grave ed irreversibile, quest'ultima può essere può essere sottoposta a procedura di amministrazione straordinaria, con conseguente controllo dell'attività bancaria da parte di funzionari del Ministero dell'Economia e delle Finanze e della Banca d'Italia.
La procedura viene disposta mediante del Ministro dell'Economia e delle Finanze, emanato su proposta della Banca d'Italia, cui spetta la nomina degli organi straordinari, il cui fine è quello di avviare un controllo della situazione economica e finanziaria della banca e procedere con decisioni assunte nell'esclusivo interesse dei depositanti.
Nel caso in cui la crisi della banca sia particolarmente grave, la Banca d'Italia po' nominare uno o più commissari che assumono poteri di gestione ed amministrazione della banca per un determinato periodo, non superiore a due mesi.

Le banche sottoposte ad amministrazione straordinaria alla data del 7 novembre 2013 sono indicate nel documento pubblicato dalla Banca d'Italia e che potete leggere di seguito.

Nelle ipotesi più gravi, l'intermediario bancario viene posto in procedura di liquidazione coatta amministrativa, procedura avviata con provvedimento del Ministero dell'Economia e delle Finanze, con la quale si procede alla chiusura della banca.
  1. La tutela del correntista: il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi
Quale garanzia può avere il correntista nel caso in cui sia avviata procedura di liquidazione coatta amministrativa nei confronti della banca?
I piccoli correntisti italiani sono garantiti dall'eventuale crack della propria banca attraverso il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, un soggetto giuridico al quale aderiscono tutte le banche operanti sul territorio italiano ed il cui fine è la salvaguardia dei correntisti.
Il Fondo è un consorzio di banche, nato nel 1987, e che è finalizzato esclusivamente a garantire e tutelare depositanti delle Banche consorziate, prevedendo una forma di rimborso in favore di ogni correntista in caso di liquidazione amministrativa della propria banca.
E' un soggetto di diritto privato, riconosciuto dalla Banca d’Italia e disciplinato all'art. 96 del D.Lgs 1° settembre 1993 n. 385 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, ovvero TUB), ove viene previsto l'obbligo di adesione da parte di ogni nuovo istituto al sistema di garanzia dei depositanti.

Sono escluse dal fondo solo le banche di credito cooperativo per le quali è stato prevista l'adesione ad un apposito Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo.

La Banca d'Italia, in accordo con i vari istituti di credito che hanno obbligatoriamente aderito al Fondo, ha stabilito che nel caso di liquidazione coatta amministrativa di una banca, ogni singolo correntista può essere rimborsato per un limite massimo pari a 100.000,00 euro.
L' importo può essere richiesto dal depositante a titolo di rimborso per crediti vantati nei confronti della banca in liquidazione.
La Banca d'Italia è tenuta a rimborsare il correntista entro 20 giorni lavorativi a decorrere dalla data in cui si producono gli effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, prorogabili dalla stessa Bankitalia di ulteriori 10 giorni per circostanze del tutto eccezionali di altri dieci giorni.
Occorre peraltro segnalare che ai sensi dell’art. 27 dello Statuto del Fondo, sono escluse dalla protezione alcune fattispecie quali:
  • i depositi e gli altri fondi rimborsabili al portatore;
  • le obbligazioni e i crediti derivanti da accettazioni, pagherò cambiari e operazioni in titoli;
  • il capitale sociale, le riserve e gli altri elementi patrimoniali della banca;
  • i depositi riconducibili ad operazioni per le quali sia intervenuta una condanna per i reati previsti negli artt. 648-bis e 648-ter del codice penale (reati di riciclaggio e di impiego di denaro di provenienza illecita);
  • i depositi delle amministrazioni dello Stato, degli enti regionali, provinciali, comunali e degli altri enti pubblici territoriali;
  • i depositi effettuati dalle banche in nome e per conto proprio, nonché i crediti delle stesse;
  • i depositi delle società finanziarie indicate nell'art. 59, comma 1 lettera b) del TUB delle compagnie di assicurazione, degli organismi di investimento collettivo del risparmio; di altre società dello stesso gruppo bancario;
  • i depositi, anche effettuati per interposta persona, dei componenti gli organi sociali e dell'alta direzione della banca o della capogruppo del gruppo bancario;
  • i depositi, anche effettuati per interposta persona, dei soci che detengano almeno il 5% del capitale sociale della consorziata;
  • i depositi per i quali il depositante ha ottenuto dalla consorziata, a titolo individuale, tassi e condizioni che hanno concorso a deteriorare la situazione finanziaria della consorziata stessa, in base a quanto accertato dai commissari liquidatori.

giovedì 28 novembre 2013

Banche in crisi. Arrivano i commissari

Fonte:
Il Fatto Quotidiano
13 novembre 2013
Un tempo lontano vivevano felici un re e una regina… No, la favola è diversa e più prosaica: decenni fa risparmiatori e risparmiatrici italiani vivevano tranquilli, senza pensare al rischio che la loro banca potesse fallire. 

Era infatti salda la volontà a monte di evitare quelle che, a rigor di termini, si chiamano liquidazioni coatte amministrative degli istituti di credito. In parole povere: i fallimenti bancari. 

Non persero comunque nulla neanche i correntisti del Banco Ambrosiano. Peccato che da qualche anno non sia più così: varie banche sono state lasciate al loro destino, come il Banco Emiliano Romagnolo (Ber), la Banca MB o la Banca Network Investimenti. 

martedì 12 novembre 2013

Assicurazioni, 40 anni di regali di stato

Fonte: Il fatto
25 settembre 2013
Da Repubblica a Panorama è stata una generale levata di scudi con espressioni del tipo "Irpef più cara per sei milioni d'italiani", "risparmiatori trattati come mucche da mungere" ecc. 

Né sono state da meno le cosiddette associazioni di consumatori. Motivo di tanto sdegno è una delle misure per compensare l'abolizione dell'Imu sulle prime case. Cioé le limitazioni per il 2013 e ancor più per i prossimi anni alla detraibilità fiscale di alcune polizze. La decisione sarà anche criticabile per quelle per il caso di morte, l'invalidità e simili.

martedì 5 novembre 2013

Nulla la clausola di capitalizzazione del conto corrente? esclusa altra forma di capitalizzazione da parte della banca

Questa settimana vi proponiamo la recentissima Ordinanza della Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione, la quale ha affermato un principio importante in materia di rapporti bancari.

Nel caso in cui sia accertato che la clausola relativa alla capitalizzazione degli interessi applicato dalla banca è nulla o inesistente, la banca non può operare alcuna altra capitalizzazione degli interessi debitori per il cliente.

La Corte ha, infatti, affermato tale principio, in considerazione di quanto previsto dalla sentenza n. 24418 del 2010 resa dalle Sezioni Unite, la quale non integra alcuna ipotesi di mutamento di giurisprudenza formatasi in precedenza.

Di seguito, l'intervento della Cassazione.

martedì 15 ottobre 2013

Bond Argentina, previsto per il giugno 2014 l’ultimo giro di tango per l’Icsid

I possessori di titoli Argentina che hanno deciso di aderire all'arbitrato mondiale contro lo Stato Argentino per ottenere il rimborso dei propri risparmi potrebbero ricevere una risposta entro il prossimo anno. 

E’ stata, infatti, fissata per il prossimo giugno 2014 l’ultima udienza del giudizio avviato dai risparmiatori italiani contro l’Argentina per il rimborso delle somme investite in tango bond, e dichiarate non esigibili nel dicembre 2001, a seguito della Moratoria sul debito estero annunciata dal Governo del paese sudamericano. 

Ricordiamo che questa decisione interessa coloro, quasi cinquanta tremila secondo la Task Force Argentina, che non hanno aderito alle offerte di concambio avanzate dall'Argentina del 2005 e del 2010, e non hanno portato in giudizio la propria banca. Sono i risparmiatori italiani che hanno deciso di avviare l’arbitrato internazionale nei confronti del soggetto emittente (vedi). 

Successivamente al default dichiarato dall'Argentina  i procedimenti avviati nei confronti dello Stato sudamericano sono stati molti, ed in particolare si parla di quattordici class action avviate di fronte al Tribunale di New York, e 18 arbitrati Icsid, tra cui quello dei risparmiatori italiani, pendenti presso l’organismo della Banca mondiale. All'esito dell’ultima udienza dell’arbitrato, il giudice dovrebbe assumere la decisione entro pochi mesi.

domenica 6 ottobre 2013

Esiste l'usura anche nel calcolo degli interessi della carta revolving

La recente decisione dell'Arbitro Bancario Finanziario n. 1796 del 3 aprile 2013 ci consente di tornare ad affrontare l'argomento usura bancaria, ovvero l'applicazione da parte di una banca di interessi superiori alla soglia usura nel rapporto bancario intrattenuto con il cliente.

Nel caso affrontato dall'ABF (Collegio di Napoli), il cliente era titolare di una carta di credito rimborsabile a rate (carta revolving) ottenuta dal suo istituto di credito nel 2007.

Dopo aver utilizzato la carta e non aver rimborsato con regolarità le rate alla banca, quest'ultima aveva addebitato al cliente maggiori spese per interessi di mora.Il consumatore si era rivolto all'Arbitro Bancario Finanziario contestando il conteggio degli interessi operato dalla banca, ed in particolare l'applicazione di un interesse effettivo superiore alla soglia usura prevista per alcuni trimestri dalla Banca d'Italia.

L'Arbitro ha accolto il ricorso proposto dal cliente, contestando alla banca, in primo luogo, di aver imputato gli importi ricevuti dal cliente prima agli interessi maturati e, solo successivamente, alla riduzione del capitale concesso a credito con la carta revolving.

L'Arbitro Bancario Finanziario ha anche accertato che, visti i documenti, l'istituto di credito aveva applicato un tasso effettivo al contratto superiore alla soglia usura, facendo pagare al cliente maggiori importi privi di giustificazione.

L'usura nella determinazione degli interessi applicati comporta, secondo l'organo giudicante, la sostituzione immediata del tasso soglia ai tassi divenuti, anche in momento successivo alla conclusione del contratto, usurari.

Il caso affrontato dall'ABF non è il primo e dimostra come in molti casi le banche abbiano applicato nei confronti dei clienti un tasso di interesse effettivo ben superiore al limite usura previsto ex Legge n. 108/1996.

Di seguito, la sentenza dell'ABF.

giovedì 19 settembre 2013

La banca si rifiuta di pagare l'assegno emesso dal correntista? il cliente deve essere risarcito

La Cassazione ribadisce ancora una volta che è priva di giustificazione, e quindi sanzionabile, la condotta con la quale un istituto di credito rifiuta di pagare l'assegno emesso dal suo correntista verso un terzo, al solo fine di tutelare il proprio credito nei confronti del cliente.

La banca non può agire in modo arbitrario e privo di giustificazione nei confronti del conto corrente del correntista, rifiutandosi di dare seguito ad una richiesta di pagamento proveniente da quest’ultimo. 

Nel caso di specie, il correntista aveva sottoscritto un assegno nei confronti del terzo, il quale si era recato all’incasso del titolo presso l’istituto di credito, ricevendo un rifiuto al pagamento dell’effetto bancario da parte dei dipendenti della filiale.Il correntista ha agito in giudizio contro la banca, contestando la condotta arbitraria ed illegittima di quest’ultima, la quale aveva deciso di non permettere il pagamento dell’assegno e tutelare il proprio credito nei confronti del cliente.

La Cassazione ha ribadito il principio secondo il quale la banca non può negare un ordine di pagamento proveniente da un correntista attraverso un assegno ed a fronte del titolo bancario presentato per l'incasso dal terzo, l'istituto bancario non può opporre alcuna eccezione alla richiesta di pagamento.

Se rifiuta di dare seguito a tale ordine è responsabile dei danni sofferti dal cliente, così come dimostrati da quest’ultimo durante il giudizio. Di seguito la sentenza della Cassazione.

domenica 15 settembre 2013

Offerta fuori sede di prodotti finanziari: il decreto del fare limita il diritto di recesso

Il recente provvedimento legislativo adottato dal Governo (decreto del fare) ha di fatto limitato la novità introdotta in materia di intermediazione finanziaria dalla sentenza n. 13905/2013, con la quale la Corte di Cassazione ha rivoluzionato le norme in materia di offerta fuori sede di prodotti finanziari, estendendo l’obbligo di comunicazione del diritto di ripensamento per ogni operazione di acquisto di strumenti finanziari.

martedì 27 agosto 2013

BPM Convertendo: scade il 31 dicembre 2013 il termine per la conciliazione

Banca Popolare di Milano ha deciso, con il comunicato che vi proponiamo di seguito, di prorogare il termine per la presentazione della domanda di adesione alla procedura di conciliazione paritetica relativa al prestito obbligazionario denominato “Convertendo BPM 2009/2013 – 6,75%”.

La banca aveva deciso di considerare valide solo le domande pervenute entro il 30 aprile 2013, ma preso atto della larga richiesta pervenuta, e in accordo con le associazioni dei consumatori che hanno aderito al tavolo di conciliazione, ha deciso di prorogare il termine per la presentazione delle domande di ammissione è stato prorogato sino alla fine del 2013.

Per poter aderire alla conciliazione devono essere rispettate le condizioni previste per la procedura, ossia possono giovarsi della mediazione i clienti/persone fisiche che sono:

• titolari delle obbligazioni Convertendo sottoscritte presso le filiali della Banca Popolare di Milano, Banca di Legnano (comprese Cassa di Risparmio di Alessandria e Banca Popolare di Mantova) nel periodo 7 settembre 2009 – 30 dicembre 2009;
• titolari dei diritti di opzione sulle Convertendo acquistati nel periodo 15 giugno 2009 – 16 luglio 2009.

Nel comunicato di BPM trovate tutte le informazioni per aderire alla procedura.

giovedì 15 agosto 2013

Banca d'Italia interviene nella discussione mutuo & usura: nel calcolo del TEG non deve essere incluso il tasso di mora

La Banca d'Italia è di recente intervenuta nella discussione che si è sviluppata in materia di mutuo e tasso usura, specificando che la corrente normativa prevede che ai fini del calcolo del TEG (Tasso Effettivo Globale medio) non deve essere incluso il tasso di mora, in quanto non è un onere dovuto all'intermediario da parte del cliente.

In particolare, Bankitalia osserva che "I TEG medi rilevati dalla Banca d’Italia includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi l’erogazione del credito. Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. 
Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora. L’esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata nei Decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze i quali specificano che “i tassi effettivi globali medi (...) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”. In ogni caso, anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura. Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di
un’indagine per cui “la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è
mediamente pari a 2,1 punti percentuali”.
In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo.".

Di seguito il Comunicato del 13 luglio 2013.

domenica 11 agosto 2013

Errata segnalazione alla “Centrale dei Rischi”– il cliente deve essere risarcito

Questa domenica puntiamo la nostra attenzione su una recente ed importante sentenza, con la quale il Tribunale di Lecce – Sez. di Galatina ha riconosciuto che Monte dei Paschi ha erroneamente segnalato alla “Centrale dei Rischi” della Banca d'Italia un proprio cliente.

- Cosa succede quando la banca segnala un cliente alla Centrale dei Rischi?
La Centrale dei Rischi è un sistema informativo creato dalla Banca d'Italia al cui interno sono indicati tutti coloro che non hanno regolarmente adempiuto al proprio debito nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari.

In parole più semplici, con la Centrale dei Rischi ogni intermediario bancario può sapere e valutare il merito creditizio del cliente, verificando se quest'ultimo è inserito nella “black list”, ovverossia se ha già avuto problemi di solvibilità con altri istituti di credito.

La Banca d'Italia organizza e gestisce un sistema il cui fine è quello di mettere a disposizione di tutti gli operatori uno strumento volto a conoscere immediatamente il grado di solvibilità dei richiedenti del credito.

Tale sistema è finalizzato, in ultima istanza, a garantire il risparmio, evitando che soggetti non solvibili, o di dubbia solvibilità, possano accedere al mercato del credito, in danno di coloro che risultano meritevoli del credito bancario.

Usualmente, quando un creditore non adempie regolarmente al proprio debito nei confronti della banca, quest'ultima provvede a segnalare il creditore insolvente alla Centrale dei Rischi, evidenziando la categoria di rischio, e il grado di insolvenza (per approfondire l'argomento, vedi qui).

E' di tutta importanza, per la tutela dell'interesse pubblico (risparmio) e di quella del soggetto segnalato, che la banca deve operare una istruttoria corretta nei confronti del cliente, a cui deve seguire una segnalazione esatta del debito censito.

Con la segnalazione alla Centrale dei Rischi, il debitore difficilmente potrà ottenere altro credito dal sistema bancario tradizionale.

- Errata segnalazione – danno subito dal cliente/debitore
Come abbiamo già affrontato in altra sede (vedi), può accadere che la segnalazione alla Centrale dei Rischi della Banca d'Italia sia errata, ovverossia non corrisponda alla reale situazione bancaria esistente tra istituto di credito e cliente.

Quando la segnalazione alla Centrale dei Rischi è errata (o meglio illegittima), il cliente/consumatore subisce un ingiusto danno dalla condotta adottata dalla banca ed ha diritto ad essere risarcito.

Quale è il danno sofferto dal cliente a causa del comportamento della banca?

La giurisprudenza ha ormai accolto la tesi secondo la quale nel momento in cui la banca opera una errata comunicazione alla Banca d'Italia, è responsabile nei confronti del cliente per aver fornito a terzi false/inesatte informazioni.

Ne deriva, secondo un orientamento consolidato della giurisprudenza di merito, una responsabilità di natura contrattuale della banca, per violazione delle norme di comportamento che devono esistere tra istituto di credito e cliente, previste a mente degli artt. 1175, 1374, 1375 c.c..

Sotto questo profilo, il danno lamentato dall'imprenditore/cliente è quello di non aver potuto accedere al credito bancario, proprio a causa della illegittima segnalazione presso la Banca d'Italia, con lesione del diritto, riconosciuto anche ex art. 41 della Costituzione (sviluppo della libera iniziativa privata).

L'erronea segnalazione configura, inoltre, un danno extracontrattuale per il cliente, il quale viene rovinato nella propria immagine, risultando ingiustamente considerato non solvibile per il sistema bancario, e quindi soggetto non positivo.

- Errata segnalazione sconfino – Tribunale di Lecce
L'errata segnalazione alla Centrale dei Rischi riguarda, in particolare, lo sconfinamento dell'azienda, per il quale la banca è tenuta a segnalare, in automatico, l'insolvenza bancaria.

Tale segnalazione era prevista, sino allo scorso 31 dicembre 2012, decorsi 180 giorni dall'origine del debito bancario accusato dal cliente. A partire dal 1° gennaio 2013, invece, l'obbligo di segnalazione decorre dopo 90 giorni dallo sconfino da parte del cliente.

Le nuove norme bancarie hanno ristretto il termine per la segnalazione dello sconfinamento da parte del cliente, obbligando le banche ad essere più attente e precise nel identificare i dati da segnalare alla Banca d'Italia.

La sentenza pronunciata dal Tribunale di Lecce – Sez. di Galatina ha affrontato il caso ove Banca Monte dei Paschi aveva ingiustamente segnalato una società per aver tenuto uno sconfinamento superiore ai 180 giorni.

Il caso è interessante, in quanto la banca aveva segnalato una società per aver superato lo sconfinamento per un lungo periodo, violando le norme previste dal contratto.

Aveva proceduto, in seguito, a notificare alla medesima società ricorso per decreto ingiuntivo, chiedendo il pagamento del proprio credito.

La società si era opposta al ricorso proposto da Banca Monte dei Paschi, contestando la legittimità del saldo determinato dalla banca negli anni.

Il Giudice aveva disposto consulenza tecnica, dalla quale è emerso che l'importo dovuto dalla società alla banca era notevolmente inferiore a quello preteso, e segnalato da Monte dei Paschi di Siena.

Il consulente accertava l'applicazione da parte della banca di illegittime commissioni e calcolo degli interessi, sicché la situazione debitoria della società rappresentata da Monte dei Paschi di Siena alla Banca d'Italia non era corrispondente a quella effettiva.

Il Tribunale di Lecce, alla luce della consulenza tecnica, ha ritenuto non solo infondata la pretesa di MPS, ma ha altresì considerato errata ed illegittima la segnalazione operata dalla Banca nei confronti della società, con conseguente danno cagionato a quest'ultima.

Il Giudice ha così motivato la propria decisione “In verità, nel caso in esame è di tutta evidenza che la necessità cautelare non è mai stata legata ad un’azione risarcitoria, bensì alla corretta comunicazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia dell’esatto dare-avere. Il giudizio n. 495 R.G. del 2008 è stato introdotto dalla M. Srl al fine di ottenere il ricalcolo dell’esatto dare-avere relativo ad un rapporto di apercredito utilizzata con scoperto su un c/c principale, con secondari confluenti, intrattenuto dall’attrice con la banca e detto ricalcolo costituisce elemento fondamentale per la comunicazione alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia del saldo. Detta comunicazione, inoltre, è dovuta per legge in quanto si tratta di un servizio gestito dalla Banca d’Italia e disciplinato dalla delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) del 29 marzo 1994 e dalle circolari emanate dalla Banca d’Italia fra le quali vi è la circolare n, 139 dell’11 febbraio 2004 ( cfr. D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 51 e art. 53, comma 1, lett. b), art. 67, comma 1, lett. b), artt. 106 e 107 - come integrati: a) dalla Delib. Comitato interministeriale del credito e del risparmio (CICR) 29 marzo 1994; b) dalla Circolare Banca d’Italia n. dell’11 febbraio 1991 in tema di istruzioni per gli intermediari creditizi nel testo risultante dall’8^ aggiornamento del 14 novembre 2001 e dal provvedimento della Banca d’Italia del 5 agosto 1995 denominato “Obbligo di partecipazione degli intermediari finanziari al servizio di centralizzazione dei rischi gestito dalla Banca d’Italia ed infine dalle “Modifiche alla Circolare 139/91. Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari Creditizi” della stessa Banca d’Italia del novembre 2009). Il punto 6.5 del foglio informativo così dispone: “Se ci sono errori nelle segnalazioni trasmesse, gli intermediari devono inviare subito le relative rettifiche. La C.R. acquisisce le rettifiche e le comunica immediatamente a tutti gli intermediari che avevano ricevuto l’informazione errata”. In sostanza, dunque, nel caso in esame la CTU è servita a delineare l’oggetto della domanda, ovvero l’esatto saldo e, dunque, anche il dato che la banca avrebbe dovuto comunicare alla C.R.”.

Il principio ribadito dalla sentenza è che l'errato calcolo delle competenze e degli interessi bancari può cagionare un danno ulteriore, consistente nell'errata segnalazione del cliente alla Centrale dei Rischi.

Quest'ultimo ha diritto ad ottenere il ristoro del danno patito anche per tale errata segnalazione, contestando all'istituto di credito sia il danno contrattuale e quello extracontrattuale.

Di seguito la sentenza.
Tribunale Lecce Sez Galatina

lunedì 29 luglio 2013

Titoli Parmalat: per evitare la prescrizione, dovete inviare la lettera di diffida alla banca entro dicembre 2013

I risparmiatori travolti dalla vicenda Parmalat e che intendono contestare alla banca la violazione della legge hanno ancora pochi mesi per poter sollevare i rilievi all'istituto di credito, chiedendo il risarcimento del danno.

La vicenda Parmalat è molto nota, ed è stata affrontata più volte da Consumatore Informato (vedi blog), ed ha colpito molti risparmiatori rimasti "scottati" dal fallimento del più grande Gruppo alimentare italiano, avvenuto nel dicembre 2003.

Negli ultimi anni, all'esito dei procedimenti penali avviati nei confronti di Parmalat, è emerso che il progressivo indebitamento della società, il quale ha costretto gli amministratori ha falsificare i bilanci, è stato favorito anche dalle banche.

I piccoli risparmiatori, negli anni, hanno deciso di agire anche nei confronti delle banche, chiedendo il risarcimento del danno sofferto a causa del default dichiarato da Parmalat.

Hanno contestato al proprio istituto di credito la violazione delle norme di settore, ottenendo la restituzione dei propri denari investiti in obbligazioni Parmalat attraverso la sentenza del tribunale.

Orbene, il prossimo dicembre 2003 scatta il termine di prescrizione decennale del diritto di risarcimento del danno spettante all'investitore per inadempimento da parte del proprio intermediario finanziario.

Come già evidenziato più volte, il consumatore che intenda contestare alla banca un grave inadempimento contrattuale deve agire entro e non oltre 10 anni dal momento in cui si manifesta il danno lamentato.

Nel caso delle obbligazioni Parmalat, la prescrizione scatta, al più tardi, nel mese di dicembre 2013, ossia dopo 10 anni dal default dichiarato dal Gruppo alimentare di Collecchio.

Coloro che non hanno ancora richiesto alla banca il risarcimento del danno, devono inviare una lettera di diffida con  lettera raccomandata.







domenica 28 luglio 2013

Pratica commerciale scorretta - Unicredit sanzionata per "Conto risparmio sicuro"

Questa settimana proponiamo all'attenzione dei lettori di questo blog il recente provvedimento con il quale l'Antitrust ha sanzionato Unicredit Banca per pratica commerciale scorretta.

L'Antitrust ha sanzionato il Gruppo bancario per i messaggi pubblicitari diffusi attraverso le principali reti televisive italiane, via internet e presso le proprie filiale, con i quali è stato proposto il prodotto bancario "conto risparmio sicuro".

Il sottoscrittore di questo prodotto bancario poteva, depositando un importo presso la banca per un periodo minimo di diciotto mesi, vedere rivalutato il proprio capitale a tassi di interesse ritenuti interessanti dalla stessa Unicredit.

Gli annunci pubblicitari, infatti, lasciavano intendere che la sottoscrizione di questo prodotto bancario avrebbe garantito al cliente un "risparmio sicuro", con capitale garantito e con interessi crescenti sino al 7%.

Il messaggio televisivo indicava, solo in caratteri estremamente ridotti, che trattavasi di proposta pubblicitaria e che vi era la necessità di leggere tutte le condizioni contrattuali, accedendo al sito web di Unicredit, o chiedendone copia presso una delle filiali della banca.

Il prodotto bancario veniva, inoltre, pubblicizzato mediante messaggi radiofonici ove era sostanzialmente riportato il messaggio di cui sopra, rinviando al call center per tutte le informazioni dettagliate in merito a "conto risparmio più".

L'AGCM ha sanzionato la campagna pubblicitaria di Unicredit, accertando che alcune delle informazioni fornite attraverso il messaggio proposto ai consumatori erano parziali, non rappresentando la reale performance del prodotto bancario.

Osserva l'Authority "dagli atti si evince che il tasso di interesse pubblicizzato, che fino al 2012 era pari al 7% e successivamente pari agli inferiori importi indicati nella TAB 1, è riconosciuto esclusivamente per il quinto anno di vincolo delle somme depositate, mentre nei quattro anni precedenti i tassi di interesse sono notevolmente inferiori. Inoltre, è previsto un vincolo temporale minimo di diciotto mesi delle somme depositate, sono imposte limitazioni per svincoli successivi ed è richiesto un deposito minimo di 5.000 euro.

Pertanto, i messaggi oggetto del presente procedimento sono idonei ad indurre in errore i consumatori con riguardo all'effettivo rendimento ottenibile complessivamente dal prodotto e alle sue caratteristiche, in quanto omettono di fornire tutte le informazioni essenziali per effettuare una scelta finanziaria consapevole.

In particolare, i messaggi omettono di specificare o non evidenziano con sufficiente chiarezza, che il tasso di interesse massimo, superiore a quello offerto nel medesimo periodo da operatori commerciali concorrenti per conti di deposito con vincolo a dodici mesi, è riconosciuto, in realtà, solo ad esito di un vincolo di lunga durata, ovvero di cinque anni, ed esclusivamente per il quinto anno".

Il messaggio pubblicitario, quindi, ha rappresentato solo parzialmente le caratteristiche del prodotto bancario, favorendo l'errore in chi lo visioni e non riesca a comprenderne a pieno le caratteristiche del prodotto bancario.

L'Autorità Garante Concorrenza e Mercato ha, quindi, sanzionato Unicredit per violazione dell'art. 27, comma 9 del Codice del Consumo, per pratica commerciale scorretta. 

Potete leggere, di seguito, il Provvedimento n. 24402/2013. 

AGCM Provvedimento n. 24402 2013

sabato 27 luglio 2013

"Non tocca ai risparmiatori salvare l'economia del paese"

Fonte: "La Stampa"
 venerdì 5 luglio 2013 
Professore, il tesoretto accumulato dai Piemontesi in questi anni è un'ulteriore conferma del fatto che la crisi spinge a non investire la propria ricchezza?
«Mantenere liquidità per far fronte a eventuali periodi di difficoltà è un comportamento del tutto logico. I 110 miliardi accumulati dai piemontesi e depositati sui conti correnti, in particolare, si spiegano con le preoccupazioni che spingono i risparmiatori a non rischiare comprando titoli, fondi ecc. che possono sempre scendere di prezzo o peggio»
Però, passare dai 55 miliardi del 2005 ai 110 del 2012 nonostante una crisi economica così pronunciata è singolare...

«È sicuramente un dato significativo per il Piemonte. Meriterebbe solo capire in che misura all'aumento dei depositi corrisponde una diminuzione degli investimenti a medio-lungo termine».

Consumi e investimenti sono crollati: risparmiare così tanto fa male all'economia sul lungo periodo?

«In altri termini tali comportamenti non sarebbero etici? Io non credo che il singolo risparmiatore debba porsi l'obiettivo di contribuire a salvare l'economia del Paese (e in che modo poi?). Se vuole privilegiare la liquidità, evitando investimenti di lungo periodo, non c'è nulla di biasimevole in tale scelta»

Tutta questa liquidità di cui le banche dispongono non potrebbe essere impiegata per concedere prestiti alle imprese?

«In teoria sì, con una tale disponibilità sarebbe possibile erogare mutui e prestiti vari. Ma i banchieri, non solo in Italia, preferiscono comprare titoli di Stato e soprattutto del proprio Stato. Tale comportamento favorisce i buoni rapporti coi loro rispettivi governi. Si è creata una complicità tacita, se non esplicita, fra banchieri e politici, da alcuni giustamente criticata»

Ma ciò va a scapito di investimenti altrettanto necessari per la ripresa...

«Sì, d'altro canto prestare denaro a imprese può comportare rischi anche maggiori. C'è poi un altro aspetto di cui tener conto: stiamo parlando di risparmi accumulati dai piemontesi, ma non bisogna pensare che tali risparmi verrebbero per forza reinvestiti in Piemonte. Negli istituti bancari le scelte di fondo su come impiegare le risorse non vengono prese a locale. Insomma, l'ultima parola su come utilizzare quella liquidità spetta alle sedi centrali e non alle sedi territoriali»

Esistono strumenti alternativi al deposito bancario per i propri risparmi?

«Certo, una valida alternativa sono i buoni fruttiferi postali. Esattamente come da un conto corrente, conto deposito o libretto non vincolato è sempre possibile prelevare quanto investito senza rischi di perdite. In più non c'è nessun costo o commissione e invece, volendo, una protezione dall'inflazione. Ovviamente poi uno può investire in impieghi a medio-lungo termine (Btp, obbligazioni, azioni ecc.), ma la scelta tra mantenere liquide le proprie risorse o investirle altrimenti, spetta solo e unicamente al singolo risparmiatore».










domenica 14 luglio 2013

Recupero crediti e pratica commerciale aggressiva - interviene l'Antitrust

Questa domenica proponiamo il recente provvedimento amministrativo con il quale l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato una società di recupero crediti per pratica commerciale aggressiva.

Il soggetto sanzionato aveva, come si evince dalla lettura del provvedimento, inoltrato a molti consumatori, attraverso vari avvocati, atti di citazione presso diverse sedi dei Giudici di Pace, chiedendo il pagamento di determinati crediti.

Le varie azioni legali, però, non sono mai effettivamente partite in quanto le domande giudiziali non sono state successivamente iscritte a ruolo presso le diverse cancellerie dei GdiP.

La pratica commerciale contestata dall'Antitrust alla società è quella di aver minacciato di promuovere azioni legali manifestamente temerarie o infondate, in quanto aventi ad oggetto crediti scaduti o prescritti.

L'invio dell'atto di citazione aveva come unico fine quello di mettere pressione psicologica sui consumatori, e costringerli a pagare crediti ormai inesistenti.

AGCM - Provvedimento 15/06/2013

domenica 7 luglio 2013

Le Sezioni Unite della Cassazione decideranno in merito alla legittimità della TCG

La Tassa di Concessione Governativa (conosciuta anche con l'acronimo TCG) è una imposta che lo Stato Italiano, dal 1995, richiede agli intestatari di abbonamento a telefonia mobile.

E’ una imposta introdotta con il DPR 26 ottobre 1972, n. 641 ("Disciplina delle tasse sulle concessioni governative"), normativa successivamente adeguata alle novità legislative comunitarie, ed è ancora oggi riscossa dall’ Agenzia delle Entrate attraverso le compagnie telefoniche, le quali trattengono euro 12,91 mensili, nel caso di contratto intestato ad azienda o ditta individuale, e di euro 5,16 se l’utenza è intestata a privato.

Negli ultimi anni la legittimità della TCG è stata messa in discussione, e sono aumentate le decisioni con le quali le commissioni provinciali hanno dichiarato la illegittimità di questa pretesa dello Stato (vedi).

La Cassazione, invece, ha sempre assunto una posizione contraria, ossia ha ritenuto legittima la pretesa dello Stato, affermando che tale imposta è giustificata dalla concessione governativa prevista per coloro che intendono usufruire del servizio pubblico.

Questo orientamento è stato, però, rivisto di recente dalla Corte di Cassazione, la quale ha rimesso alle Sezioni Unite della Cassazione la questione legittimità della TCG.

La Cassazione, con Ordinanza n. 12056 del 2013 e che è possibile leggere di seguito, ha ritenuto che la questione debba essere decisa dalle Sezioni Unite della Cassazione, la quale è stata chiamata a risolvere il contrasto.

La Cassazione ha, in particolare, evidenziato che la riforma nel settore delle telecomunicazioni intervenuta nel 2003, con il D. Lgs. 259/2003, ha reso tutt'altro che certa l'applicazione della Tassa di Concessione Governativa nei confronti degli intestatari di abbonamento di telefonia mobile.

Vi sarebbe, o almeno questo si può intendere dall'Ordinanza della Cassazione, un vuoto legislativo in materia, o comunque non vi sarebbero i presupposti di legge per la pretesa tributaria fatta valere nei confronti dei contribuenti.

In particolare, osserva la Cassazione, il contratto sottoscritto dal cliente con la compagnia telefonica non può essere equiparato a documento sostitutivo del provvedimento amministrativo (licenza di esercizio)  che giustifica il pagamento dell'imposta per la concessione governativa da parte del contribuente.

Per tali ragioni, quindi, la Corte ha ritenuto necessario l'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, al fine di chiarire in modo definitivo la questione ed appurare se l'amministrazione finanziaria può chiedere il pagamento della concessione governativa ai contribuenti.

Cosa fare? come abbiamo già suggerito in una trasmissione radiofonica di Trentino inBlu, conviene inviare una lettera di diffida all'Agenzia delle Entrate, nonché alla compagnia telefonica, per chiedere la restituzione delle somme trattenute a titolo di imposta TCG.

Con la lettera dovete bloccare i termini di prescrizione e chiedere l'immediata restituzione delle somme illegittimamente trattenute dallo Stato (vedi).

venerdì 28 giugno 2013

Conto corrente più caro per il correntista che va in "rosso"

Avrete sicuramente notato che da alcuni mesi maturare un saldo negativo sul proprio conto corrente risulta decisamente più costoso.
In termini più semplici, andare in "rosso" sul conto corrente bancario comporta il pagamento di una commissione bancaria più elevata per il correntista.

Quale ragione si nasconde dietro questo improvviso incremento del tasso di interesse debitorio?

- Disciplina commissioni bancarie di scoperto di conto corrente – operazioni extra fido – l'intervento legislativo del 2008
La banca usualmente svolge una attività con la quale concede del credito al cliente consentendogli di utilizzare somme di denaro superiori alla sua disponibilità.

Sono numerose le operazioni bancarie con le quali la banca offre tale servizio: si va dall'apertura di credito, sino allo smobilizzo anticipato di crediti commerciali del cliente.

Il modello contrattuale che più correttamente rappresenta il rapporto bancario di cui trattasi è il contratto di apertura di credito, ove l'istituto di credito mette a disposizione del correntista una determinata somma per una determinato periodo, o a tempo indeterminato.

Il correntista remunera la banca per tale attività versando la relativa commissione bancaria prevista dal contratto, calcolata con un tasso di interesse, e che varia a seconda del periodo di "scoperto" e dell'importo utilizzato dal cliente.

Stiamo parlando della Commissione di Massimo Scoperto (CMS), con la quale l'istituto di credito ottiene dal correntista la remunerazione per il servizio appena descritto.

L'applicazione di tale commissione ha creato non pochi problemi, tra i quali quello di incidere in modo decisivo nella determinazione del Tasso Effettivo Globale praticato dalla banca sullo scoperto di conto corrente del proprio cliente.

Quest'ultimo tasso risultava superiore alla "soglia usura" prevista ex Legge n. 108/1996 (c.d. "tasso usura").

La Commissione di Massimo Scoperto è stata posta in discussione dal 2008, allorché con decreti legge "anticrisi", il legislatore ha cominciato ad intervenire per disciplinare la materia, ed in particolare le commissioni bancarie previste per gli utilizzi extra – fido e lo scoperto di conto corrente.

- La novità introdotte con il decreto CICR del 30 giugno 2012
L'art. 117 bis del TUB, modificato nel 2012 con la conversione il legge del Decreto Salva Italia, ha delimitato la possibilità per la banca di ottenere remunerazioni per la concessione del credito al correntista, introducendo nuove regole di trasparenza.

La norma, in seguito alla riforma del 2012, ha previsto che:

a. Contratti di conto corrente e apertura di credito con affidamento bancario:
1. I contratti di apertura  di  credito  possono  prevedere,  quali unici oneri a carico del cliente,  una  commissione  onnicomprensiva, calcolata in  maniera  proporzionale rispetto  alla  somma  messa  a disposizione del cliente e alla durata dell'affidamento, e un  tasso di  interesse  debitore  sulle  somme  prelevate.  L'ammontare  della commissione, determinata in coerenza  con  la  delibera  del  CICR anche in relazione alle specifiche tipologie di apertura di credito e con particolare riguardo per i conti correnti, non puo' superare lo 0,5 per cento, per trimestre, della somma messa  a  disposizione  del cliente. 

b. Contratti di conto corrente o di apertura di credito senza affidamento (o oltre il limite di fido)
2. A fronte di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido, i contratti di conto corrente e di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione di istruttoria veloce determinata in misura fissa, espressa in valore assoluto, commisurata ai costi e un tasso di interesse debitore sull'ammontare dello sconfinamento.


Il regolamento CICR, introdotto con D.M. del 30 giugno 2012 e che potete trovare di seguito, ha dato applicazione definitiva all'art. 117 bis TUB, ed ha disciplinato alcuni aspetti innovativi in materia di concessione del credito da parte della banca.

In particolare, la normativa in parola ha delineato le modalità mediante le quali la banca deve istruire la procedura per il calcolo del CIV (Commissione di Istruttoria Veloce) nel caso di sconfinamento senza affidamento da parte del cliente.

L'intervento legislativo ha avuto il merito di introdurre maggior trasparenza nelle condizioni contrattuali applicate dalla banca al correntista nel caso di sconfinamento con/senza affidamento, costringendo gli istituti bancari ad indicare con chiarezza tasso di interesse e costi addebitati al cliente, nel caso in cui questi "vada in rosso".

- Segue: quali conseguenze? Il tasso di interesse applicato al cliente è più elevato
Le nuove norme hanno radicalmente mutato il rapporto banca/cliente, in quanto l'istituto bancario non può più indicare un tasso di interesse debitorio, per il cliente, e separatamente i diversi ed ulteriori costi applicati nei suoi confronti (ad esempio la commissione di massimo scoperto).

In altri termini, i costi addebitati al cliente per il servizio con il quale la banca gli mette a disposizione un determinato importo rientrano tutti nel tasso di interesse applicato.

Va da sé che il tasso di interesse passivo è, improvvisamente, salito attestando il vero costo sostenuto dal cliente quando va a debito nei confronti della banca.

Il tasso debitorio applicato per lo sconfinamento di conto corrente è, quindi, più elevato in quanto viene indicato in modo maggiormente trasparente il costo pagato dal cliente alla banca per il servizio di apertura di credito offerto.

domenica 23 giugno 2013

Offerta di prodotti finanziari fuori sede - la Cassazione si esprime in favore dell'investitore

Importante intervento della Cassazione a Sezioni Unite, la quale con Ordinanza n. 13905 del 3 giugno 2013 si è pronunciata in favore dei consumatori, estendendo le norme in materia di offerta fuori sede di strumenti finanziari ad ogni vendita di prodotti finanziari che avviene fuori dai locali della banca.

La Cassazione era stata chiamata a risolvere un contrasto creatosi in giurisprudenza in merito all'estensione applicativa dell'art. 30 del TUF, ossia del cosiddetto "diritto di ripensamento".


a. La questione


Quando si parla di "offerta fuori sede di prodotti finanziari"?

E' il caso del promotore finanziario che si reca presso l'abitazione del cliente, offrendogli un prodotto finanziario della stessa banca, o comunque collocato dall'istituto di credito che egli rappresenta.



Questa attività di intermediazione finanziaria è oggetto di specifica normazione attraverso l'art. 30 del d. lgs. n. 58/1998 (Testo Unico della Finanza):

"Per offerta fuori sede si intendono la promozione e il collocamento presso il pubblico:
a) di strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell'emittente, del proponente l'investimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento;
b) di servizi e attività di investimento in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio o l’attività". 

Il successivo comma 6 dispone che " L'efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede è sospesa per la durata di sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell'investitore. Entro detto termine l'investitore può comunicare il proprio recesso senza spese né corrispettivo al promotore finanziario o al soggetto abilitato; tale facoltà è indicata nei moduli o formulari consegnati all'investitore. La medesima disciplina si applica alle proposte contrattuali effettuate fuori sede".

L'art. 30, comma 7, TUF introduce una particolare forma di nullità: è nullo l'ordine di investimento disposto dall'investitore, laddove sia omessa la indicazione del diritto di recesso nei 7 giorni successivi" L'omessa indicazione della facoltà di recesso nei moduli o formulari comporta la nullità dei relativi contratti, che può essere fatta valere solo dal cliente".

Negli ultimi anni l'applicazione di tale disciplina è aumentata, in quanto l'offerta fuori sede ha cominciato a trovare applicazione anche nel caso di sollecitazione all'acquisto di strumenti finanziari via telefono, oppure con modalità internet (il famoso trading on line che riguarda quasi la metà degli investimenti finanziari realizzati in Italia).


Orbene, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sono state chiamate a chiarire quando tali norme possono trovare applicazione, ossia se il diritto di ripensamento (jus poenitendi) sia applicabile solo per il servizio di collocamento di strumenti finanziari, o in tutti i casi in cui la negoziazione di uno strumento finanziario sia avvenuta fuori dai locali commerciali.


- Orientamento restrittivo: l'art. 30 TUF si applica solo al servizio di collocamento di strumenti finanziari

Un primo orientamento - maggioritario nella giurisprudenza di merito e seguito da una parte della Cassazione - ha sostenuto che la disciplina prevista ex art. 30 del TUF è circoscritta per i soli contratti di collocamento o di gestione di portafogli individuale, ove esiste uno specifico rapporto tra cliente e soggetto offerente (Cass. n. 2065/2012).

In termini più semplici, la disciplina di cui all'art. 30 del TUF troverebbe applicazione solo in ipotesi marginali, ove l'intermediario finanziario offra uno specifico servizio finanziario in favore dell'investitore.


- Orientamento estensivo: il diritto di recesso dal contratto si applica per ogni servizio di investimento finanziario previsto ex art. 1, comma 5 del TUF

Un diverso orientamento ha, al contrario, sostenuto l'applicazione estensiva dell'art. 30 del TUF e quindi la previsione del diritto di recesso per ogni servizio di intermediazione finanziaria offerta in favore del piccolo investitore.

Coloro che hanno seguito tale orientamento, hanno richiamato anche l'art. 36  del Reg. Conosb 11522/98, il quale prevedeva che:
Nell’ attività di offerta fuori sede di strumenti finanziari, di servizi di investimento e di prodotti finanziari disciplinati dall’art. 30 del Testo Unico, gli intermediari autorizzati si avvalgono dei promotori finanziari al fine di: la facoltà prevista dall’art. 30, comma 6, del Testo Unico;".

Tale norma è rimasta pressoché invariata anche con il nuovo Regolamento Consob n. 17690/2007.

Il diritto di ripensamento, quindi, non riguarderebbe il solo servizio di collocamento, ma tutte le attività di intermediazione finanziaria realizzate dalla banca fuori dai locali commerciali.

In tutti questi casi, l'intermediario deve rendere noto al cliente dell'esistenza del diritto di ripensamento (jus poenitendi) e l'ordine di borsa deve rimanere sospeso per i 7 giorni successivi, in attesa di un eventuale disdetta da parte dell'investitore.

b. Cassazione Sezioni Unite - Ordinanza n. 13905/2013

La Cassazione ha risolto il contrasto accogliendo quest'ultimo orientamento e ritenendo che il diritto di ripensamento debba trovare applicazione per ogni operazione di borsa conclusa fuori dai locali commerciali.

Il Giudice di legittimità, dopo aver ricostruito il contrasto giurisprudenziale creatosi ed evidenziato le lacune normative sul punto, ha ritenuto di dover trovare la soluzione alla questione giuridica sottoposta alla sua attenzione attraverso la ratio legis che caratterizza la normativa.

"Sulla ragion d'essere dello jus poenitendi di cui si discute le opinioni degli interpreti e degli studiosi sono sufficientemente univoche: è la circostanza che l'operazione d'investimento si sia perfezionata al di fuori delle sede dell'intermediario a rendere necessaria una speciale tutela per l'investitore al dettaglio [...] perché ciò significa che, di regola, l'iniziativa non proviene da lui".

Ed invero, l'offerta fuori sede è caratterizzata dall' "effetto sorpresa": il promotore finanziario si reca presso l'abitazione dell'investitore, proponendogli l'acquisto di prodotti finanziari a determinate condizioni contrattuali.

Non è, quindi, l'investitore che si presenta in banca, già consapevole dell'acquisto che intende effettuare, e che quindi è intenzionato a concludere una operazione di investimento.

Le ipotesi oggetto di disciplina e tutela sono quelle ove l'investitore è sottoposto alla sollecitazione all'investimento operata dalla banca, mediante un proprio dipendente o un promotore finanziario, ossia soggetti interessati a far concludere il contratto al cliente.

In tali casi, l'investitore deve decidere immediatamente e non ha il tempo di valutare se tale investimento soddisfa i propri interessi, trovandosi, quindi, in una posizione di forte "squilibrio informativo" rispetto alla controparte.

L'ordinamento, consapevole di tale limite, ha approntato, per i contratti stipulati presso la casa dell'investitore, una tutela particolare per l'investitore, prevedendo la sospensione dell'efficacia del contratto per sette giorni (art. 30 TUF).

In questo periodo, il cliente può decidere di non fare propri gli effetti dell'ordine di borsa, recedendo dal contratto di acquisto dello strumento finanziario.

La Cassazione osserva, a tal proposito, che "Se questa, come pare difficilmente contestabile, è l'esigenza di tutela in vista della quale il legislatore ha introdotto la disciplina del recesso nei contratti di collocamento di strumenti finanziari stipulati fuori sede dall'intermediario, è arduo negare che la medesima esigenza si ponga non soltanto per le operazioni compiute nell'ambito della prestazione di un servizio di collocamento in senso proprio,nell'accezione già prima richiamata, ma anche per qualsiasi altra ipotesi in cui l'intermediario venda fuori sede strumenti finanziari ad investitori al dettaglio, sia pure nell'espletamento di un servizio d'investimento diverso.
La differenza tra le due descritte situazioni [servizio di collocamento in senso "puro" - negoziazione di prodotti finanziari] appare davvero poco significativa, specie ove si consideri che nel servizio di collocamento "con assunzione a fermo" l'intermediario piazza sul mercato prodotti finanziari rispetto ai quali la sua posizione ed il suo interesse nella vendita è del tutto analogo a quello di una vendita in proprio.
Il che avvalora l'opinione secondo cui la parola "collocamento", nel testo dell'articolo in esame, è da intendere in senso ampio, come sinonimo di un atto negoziale mediante il quale lo strumento finanziario vien fatto acquisire al cliente e quindi inserito nel suo patrimonio [...] a prescindere dalla tipologia del servizio d'investimento che abbia dato luogo a tale operazione".

Il Giudice di legittimità chiarisce le ragioni sottostanti alla propria interpretazione estensiva del diritto di ripensamento "A favore di un'interpretazione estensiva della citata disposizione dell'art. 30 del tuf, che sia in grado di meglio assicurare la tutela del consumatore, militano d'altro canto i principi generali desumibili dallo stesso testo unico, sicuramente ispirati all'esigenza di effettività dell'indicata tutela, cui dà ulteriore rinforzo la previsione dell'art. 38 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, che, nel garantire "un livello elevato di protezione dei consumatori", per ciò stesso impone d'interpretare le norme ambigue nel senso più favorevole a questi ultimi". 

La Corte, alla luce dell'ambiguità della norma, ha ritenuto di estendere l'applicazione dell'art. 30 TUF a tutte le operazioni di intermediazione finanziaria concluse fuori dai locali commerciali, operando una apertura in favore dei piccoli risparmiatori, obbligando le banche a rispettare gli obblighi informativi previsti dalla legge.

Di seguito potete leggere la sentenza della Cassazione.
 Offerta fuori sede di un prodotto finanziario - Cassazione Sezioni Unite 13905/2013

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