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martedì 5 novembre 2019

Risparmio, rendimento e rischio non sempre vanno a braccetto

Fonte: Il Fatto Quotidiano
10 giugno 2019
I Btp italiani sono più rischiosi di quelli greci, ha recentemente sbattuto in prima pagina il Sole 24 Ore. Il motivo? I titoli quinquennali del Tesoro rendevano leggermente più di quelli ateniesi, il che significherebbe maggiori probabilità di fallimento per l’Italia rispetto alla Grecia. Il Fatto Quotidiano ha subito contestato tale conclusione affrettata.

Ma il discorso merita di essere ampliato, per smontare uno dei tanti falsi teoremi dell’educazione finanziaria. Cioè che rendimento e rischio vadano sempre a braccetto. In realtà molte sono le eccezioni alla tesi che i titoli che rendono poco siano sempre i meno rischiosi (e viceversa). Una regoletta troppo semplicistica per la complessità della realtà finanziaria.

Prendiamo la famigerata iniziativa “Patti Chiari” delle banche italiane. Fra i titoli definiti a basso rischio e basso rendimento c’erano le obbligazioni delle tre banche islandesi, poi fallite, e soprattutto le Lehman Brothers. Che rendessero poco era vero, alla faccia però del basso rischio!

giovedì 31 ottobre 2019

Buoni serie "O" - ABF ancora contro i risparmiatori

Anche l'Arbitro Bancario Finanziario si allinea all'orientamento definitivamente indicato dalla Corte di Cassazione in materia di buoni fruttiferi, così definitivamente affossando le speranze dei molti risparmiatori che hanno richiesto il maggior rimborso degli interessi.

Abbiamo già trattato diffusamente la questione (vedi qui)  evidenziando come il decreto ministeriale del 13 giugno 1986 abbia sensibilmente ridotto i tassi d’interesse riconosciuti ai risparmiatori, sicuramente inferiore a quello riportato sui buoni cartacei all'atto della sottoscrizione.

La Cassazione, con decisione  richiamata dall'ABF nel provvedimento in lettura, ha ritenuto legittima la riduzione operata dal citato decreto, legittimando la riduzione degli interessi riconosciuti al risparmiatore (vedi qui).


Di seguito, il provvedimento del Collegio di Torino.

giovedì 17 ottobre 2019

Etruria & C.: la via crucis burocratica per i risparmiatori vittime dei crac

Fonte: Il Fatto Quotidiano
8 luglio 2019
La Consap, società del ministero dell’economia, ha aperto il portale del Fondo indennizzi risparmiatori (Fir) delle banche “fallite”: Banca Etruria, Veneto Banca ecc. Manca solo la data, imminente, da cui partiranno i 180 giorni entro cui presentare le domande.

Nessuna obiezione sulla cosa in sé. Gravissime sono infatti le responsabilità degli organi di controllo e vigilanza, che hanno lasciato incancrenire le situazioni degli istituti di credito in questione, chiudendo gli occhi su cosa combinavano, allo sportello e nei bilanci. Qualche critica sulla procedura d’indennizzo però ci sta, in particolare per la burocrazia richiesta. Impietoso è il confronto con la vicenda degli azionisti e obbligazionisti Alitalia, conclusasi giusto dieci anni fa. Allora bastò firmare un modulo e consegnarlo alla banca o sim. Adesso è un lavoraccio: ci vuole una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, la prova dell’eventuale provenienza da familiari o per successione e, oltre ad altro, in particolare gli estremi contabili degli acquisiti. Personalmente conservo i documenti bancari dal 1974, ma temo che alcuni risparmiatori siano meno ordinati.

venerdì 11 ottobre 2019

Mutuo indicizzato? valido se la banca fornisce tutte le informazioni al consumatore

Chi ha comprato i “diamanti da investimento” o, meglio, delle pietre piazzate con la collaborazione di molte banche come “beni rifugio” al doppio del loro reale valore e per di più con certificati incompleti e falsi, rimarrà deluso dalla sentenza resa dal Tribunale di Milano, la n. 66 dell’8 gennaio 2019

Il giudice milanese, in buona sostanza, è giunto a negare che la banca abbia assunto responsabilità di qualche tipo nel rapporto concluso tra il risparmiatore e le società di settore (tra le note: la ormai fallita Intermarket diamond business (Idb) di Milano  e Diamond private investment di Roma), anche se le vendite dei preziosi avvenivano nei suoi locali. 

Percorriamo, ora, i motivi che hanno spinto il Tribunale a rigettare il rimborso, cogliendo fin da subito che per vincere in giudizio è essenziale saper mettere in luce il ruolo autonomo che le banche assumono in questo tipo vendite (c.d. vendite piramidali).


Abbiamo già visto che tra il 2010 ed il 2015 alcuni istituti bancari – complice anche la formidabile demonizzazione dei risparmiatori italiani che si ostinano a tenere liquidità infruttifera nei propri conti dormienti ) – hanno fattivamente collaborato con alcune società, mettendo a loro disposizione il proprio pacchetto di clienti per proporre l’investimento in diamanti.

È facile, almeno nei fatti, scorgere una commistione di interessi tra la banca e le società di settore per truffare i clienti, ma molto più complesso evidenziarlo nelle aule di giustizia: a nostro parere, la mossa vincente è quella di far risaltare gli accordi commerciali che le banche stabiliscono con le società di settore e, posta questa premessa, contestare sin da subito la responsabilità da contatto sociale (vedi qui).

Tuttavia, così non è stato fatto nel caso che ci occupa, tanto è vero che la difesa del risparmiatore si è limitata a rappresentare alcune circostanze molto indicative, ma non determinanti, come ad esempio la vendita delle pietre all’interno dei locali della banca e per mezzo di suoi promotori, per poi chiedere, per ciò solo, sia l’annullamento del contratto concluso tra il cliente e la società di settore che l’inadempimento contrattuale, oltre che il risarcimento del danno in stretto collegamento.

Giocoforza il giudice, ha stoppato la domanda di risarcimento, peraltro affermando che “non solo le azioni di invalidità o di risoluzione devono essere ritenute infondate, non essendo state intentate nei confronti della controparte contrattuale, ma anche le azioni di natura restitutoria e risarcitoria.
Ciò in quanto le stesse sono inevitabilmente correlate (“per l’effetto”), come da conclusione, alle suddette azioni di natura contrattuale, e non sono state sviluppate in via autonoma, ossia dando risalto al ruolo autonomo di parte convenuta. (...) Mai del resto la posizione di parte convenuta [n.d.r. la banca] è stata specificamente illustrata nell’atto di citazione alla stregua di un terzo rispetto alla parte alienante, e ne è riprova la circostanza che ciò avrebbe comportato uno specifico onere argomentativo, nel senso di chiarire il fondamento sistematico di una responsabilità del terzo in ordine ad un contratto stipulato da altri soggetti”.


In altre parole, nonostante il ruolo della banca sia abbastanza articolato in queste vicende (e il dibattito ne dà atto) la difesa del cliente non è riuscita a sviluppare in modo determinate il ruolo della banca ed in particolare il profilo degli accordi commerciali. 


Di seguito, la sentenza n. 66/2019 del Tribunale di Milano.

sabato 5 ottobre 2019

Deutsche bank: la fine del mito bancario tedesco

La vicenda che sta riguardando il Gruppo Deutsche Bank nelle ultime settimane non può passare inosservata e rappresenta, ancora una volta, la fine del tradizionale metodo di concessione del credito in modo aggressivo e, alla lunga, inefficace.

E come al solito, coloro che subiscono (e subiranno) le conseguenze della grave crisi che ha riguardato il colosso tedesco sono (e saranno) i lavoratori, vittime della scure dei licenziamenti previsti dal maxi piano di ristrutturazione, e i consumatori (vedasi i piccoli investitori) che hanno visto i propri investimenti nella banca perdere valore negli ultimi tempi.

Analisti ed osservatori considerano positivo questo piano, idoneo a riposizionare Deutsche Bank nella giusta dimensione, e quindi dettato da un realismo in merito alle potenzialità della banca tedesca.

Non sappiamo se questo pensiero, positivo ed ottimista, sarà accompagnato da un miglioramento dei conti del Gruppo, ma a nostro parere questo piano di tagli rappresenta, innanzitutto, il fallimento della politica del credito attuata da Deutsche negli ultimi anni, da quanto cioè la banca ha cercato di proporsi sui mercati con il medesimo ruolo assunto dalle banche d'affari americane (Goldman Sachs, JP Morgan etc).

Questo ruolo ha portato la banca a depauperare molte risorse in operazioni risultate fallimentari, e coperte attraverso una politica fondata sui derivati finanziari, che alla lunga ha presentato il suo conto estremamente salato.

lunedì 30 settembre 2019

Diamanti - esclusa la responsabilità della banca nella vendita di preziosi nella filiale

Chi ha comprato i “diamanti da investimento” o, meglio, delle pietre piazzate con la collaborazione di molte banche come “beni rifugio” al doppio del loro reale valore e per di più con certificati incompleti e falsi, rimarrà deluso dalla sentenza resa dal Tribunale di Milano, la n. 66 dell’8 gennaio 2019

Il giudice milanese, in buona sostanza, è giunto a negare che la banca abbia assunto responsabilità di qualche tipo nel rapporto concluso tra il risparmiatore e le società di settore (tra le note: la ormai fallita Intermarket diamond business (Idb) di Milano  e Diamond private investment di Roma), anche se le vendite dei preziosi avvenivano nei suoi locali. 

Percorriamo, ora, i motivi che hanno spinto il Tribunale a rigettare il rimborso, cogliendo fin da subito che per vincere in giudizio è essenziale saper mettere in luce il ruolo autonomo che le banche assumono in questo tipo vendite (c.d. vendite piramidali).


Abbiamo già visto che tra il 2010 ed il 2015 alcuni istituti bancari – complice anche la formidabile demonizzazione dei risparmiatori italiani che si ostinano a tenere liquidità infruttifera nei propri conti dormienti ) – hanno fattivamente collaborato con alcune società, mettendo a loro disposizione il proprio pacchetto di clienti per proporre l’investimento in diamanti.

È facile, almeno nei fatti, scorgere una commistione di interessi tra la banca e le società di settore per truffare i clienti, ma molto più complesso evidenziarlo nelle aule di giustizia: a nostro parere, la mossa vincente è quella di far risaltare gli accordi commerciali che le banche stabiliscono con le società di settore e, posta questa premessa, contestare sin da subito la responsabilità da contatto sociale (vedi qui).

Tuttavia, così non è stato fatto nel caso che ci occupa, tanto è vero che la difesa del risparmiatore si è limitata a rappresentare alcune circostanze molto indicative, ma non determinanti, come ad esempio la vendita delle pietre all’interno dei locali della banca e per mezzo di suoi promotori, per poi chiedere, per ciò solo, sia l’annullamento del contratto concluso tra il cliente e la società di settore che l’inadempimento contrattuale, oltre che il risarcimento del danno in stretto collegamento.

Giocoforza il giudice, ha stoppato la domanda di risarcimento, peraltro affermando che “non solo le azioni di invalidità o di risoluzione devono essere ritenute infondate, non essendo state intentate nei confronti della controparte contrattuale, ma anche le azioni di natura restitutoria e risarcitoria.
Ciò in quanto le stesse sono inevitabilmente correlate (“per l’effetto”), come da conclusione, alle suddette azioni di natura contrattuale, e non sono state sviluppate in via autonoma, ossia dando risalto al ruolo autonomo di parte convenuta. (...) Mai del resto la posizione di parte convenuta [n.d.r. la banca] è stata specificamente illustrata nell’atto di citazione alla stregua di un terzo rispetto alla parte alienante, e ne è riprova la circostanza che ciò avrebbe comportato uno specifico onere argomentativo, nel senso di chiarire il fondamento sistematico di una responsabilità del terzo in ordine ad un contratto stipulato da altri soggetti”.


In altre parole, nonostante il ruolo della banca sia abbastanza articolato in queste vicende (e il dibattito ne dà atto) la difesa del cliente non è riuscita a sviluppare in modo determinate il ruolo della banca ed in particolare il profilo degli accordi commerciali. 


Di seguito, la sentenza n. 66/2019 del Tribunale di Milano.

sabato 13 luglio 2019

Fallimenti banche - arrivano le istruzioni per il risarcimento dei risparmiatori

Notizie positive per i truffati dalle banche venete che potrebbero ottenere, grazie al "Decreto crescita", un parziale ristoro della somma perduta a causa dell'errato investimento.

Consap, la Concessionaria per i servizi assicurativi Spa, ha pubblicato le istruzioni necessarie per partecipare alla procedura di rimborso delle somme investiti in titoli di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti.

Le istruzioni comunicate attraverso il sito web di Consap (www.consap.it) ribadiscono quanto previsto attraverso la via legislativa, ovverossia che le strade per il rimborso sono due, ed in particolare:

a.- Sei hai un reddito inferiore ad euro 35.000,00 o un patrimonio di investimenti inferiore a 100.000 euro, potrai accedere all'indennizzo forfettario pari al 30% dell’investimento per gli azionisti e del 95% per gli obbligazionisti subordinate;

b,- Se non rientri tra i risparmiatori descritti nel punto a, la tua richiesta sarà sottoposta alla valutazione di una commissione che valuterà caso per caso.

Negli ultimi giorni, peraltro, è stato pubblicato via web il modulo per la domanda con tutte le istruzioni, attraverso un sito web specifico (https://fondoindennizzorisparmiatori.consap.it/)dove potete trovare tutte le informazioni per partecipare alla procedura.

Ricordatevi, a tal proposito, che per poter avere una maggiore possibilità di esito positivo, è necessario possedere tutti i documenti giustificativi della pretesa, e quindi il contratto di investimento, l'ordine di borsa, il fissato bollato, l'estratto del conto deposito titoli e tutte le informazioni idonee a legittimare la propria richiesta.

Per maggiori informazioni ed assistenza potete scrivere sos@consumatoreinformato.it.

giovedì 2 maggio 2019

Fideiussore e consumatore: quale tutela deve essere prevista?

Questa settimana torniamo a concentrare il ruolo di consumatore sotto un particolare profilo, ossia quando viene chiamato a prestare una garanzia in favore di un terzo (la fideiussione). 

In questo caso, trova applicazione il Codice del Consumo e tutte le norme previste in favore del consumatore? il Tribunale di Milano, la n. 12047/2018 emessa in data 29 novembre 2018, ha dato una risposta al tema sopra genericamente proposto, richiamando la normativa comunitaria ed analizzando i diversi profili che emergono in tale materia. 


In particolare, i diritti del consumatore come possono trovare applicazione nell’ambito di un rapporto di fideiussione bancaria, specie quando i fideiussori si limitano ad erogare garanzie ad una società senza assumere al suo interno incarichi e posizioni?

Il giudice milanese, nel caso di specie, è stato chiamato a decidere su una questione di competenza, chiamato a decidere in una vicenda processuale ormai usuale, ossia la pretesa di pagamento avanzata da una banca nei confronti del fideiussore.

Nel caso di specie, un’importante banca milanese ha chiesto ed ottenuto dal tribunale di Milano un decreto ingiuntivo per il pagamento da parte dei fideiussori (coniugi dei soci) delle somme concesse in favore di una società.

Successivamente, i coniugi si sono opposti al decreto ingiuntivo sostenendo che, in qualità di meri fideiussori della società e quindi di consumatori, la banca doveva perorare la causa nel tribunale di Cremona, luogo di residenza degli opponenti, e non nel Tribunale di Milano.
Secondo il Tribunale di Milano, è dirimente il fatto che la banca non abbia dimostrato quale fosse la posizione professionale assunta dai coniugi all’interno della società garantita; in mancanza di questa prova fondamentale, la causa deve dunque essere radicata nel foro del consumatore, vale a dire il luogo di residenza dei fideiussori.


Di particolare pregio e chiarezza sono alcune porzioni della sentenza: “Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta quindi al giudice nazionale determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata. Tale orientamento, infatti, in quanto fondato sull’esame della posizione del fideiussore, in relazione alle obbligazioni assunte, come soggetto autonomo e distinto rispetto al debitore principale, si ritiene maggiormente aderente alle finalità proprie della tutela consumeristica (…)”.


Peraltro, il giudice prende atto della carenza di prova offerta dalla banca in questi termini: “Nel caso di specie, deve poi rilevarsi come parte opposta, a fronte della contestazione avversaria, non forniva alcuna prova di un collegamento funzionale tra le odierne opponenti e la società debitrice (…) essendosi limitata a dedurre il rapporto di coniugio tra le stesse ed i soci della società”.

In definitiva, la circostanza che i fideiussori siano coniugi dei soci (ma, più in generale, la presenza di legami familiari o parentali coi soci) non vale a dimostrare che questi abbiano prestato la garanzia per scopi di natura imprenditoriale. Tale finalità, infatti, va dimostrata, ad esempio, indicando qual è l’incarico ricoperto dal fideiussore nella società o se questi ha sottoscritto o versato una quota del capitale sociale.

Di seguito, vi proponiamo la sentenza per esteso:

giovedì 18 aprile 2019

Banche, è davvero rischioso superare i 100mila euro sul conto corrente?

Fonte: Il Fatto Quotidiano
6 gennaio 2019
L’argomento è diventato improvvisamente, ma non inaspettamente, attuale col commissariamento della Carige, un tempo Cassa di Risparmio di Genova. Voglio peraltro mettere le mani avanti, prevedendo commenti al titolo di questo post del tipo: “Ma io così tanti soldi sul mio conto non li ho mai visti. Magari!”. Lo so che, scrivendo di investimenti, mi occupo di problemi di lusso. Però a me dà comunque fastidio che uno venga ingannato, anche se altri stanno peggio di lui. E fra i tanti clienti presi in giro dalle banche, ci sono quelli con rilevanti somme liquide sul conto. Scelta per altro felice per il 2018, essendo stato uno dei pochissimi impieghi dei risparmi (o eredità) conclusosi senza perdite nominali.

Qual è però una delle trovate per rifilare ai clienti fondi, polizze e altre trappole del risparmio gestito? Convocarli, se il loro conto supera i 100mila euro, e fargli presente il rischio di bail-in. Cioè la normativa che, in caso di gravissime difficoltà della banca, prevede che vengano colpite prima le sue obbligazioni, ma poi anche conti correnti e libretti per quanto supera 100mila euro a testa. Anche il fondo interbancario di autotutela dei depositi protegge solo fino a tale cifra. Spaventato così il cliente, il premuroso bancario gli indica fondi, polizze e roba simile, dove converrebbe trasferire la liquidità per evitare il rischio del bail-in.

lunedì 25 marzo 2019

Diamanti 2019 - a che punto siamo?

Negli ultimi mesi è esplosa la questione diamanti, ovverossia alcune società hanno commercializzato certificati relativi a diamanti, vendendo i preziosi ad un valore superiore a quello effettivo.

La vendita di questi prodotti ha riguardato molti consumatori, in quanto le società si sono avvalse della collaborazione di alcuni istituti di credito (tra le altre Unicredit, MPS, Banco Popolare), i quali hanno ottenuto i propri vantaggi dalla conclusioni dei contratti tra i propri clienti (in precedenza contattati) e la venditrice di diamanti (sul punto, puoi approfondire cliccando qui).

La vicenda è stata oggetto di sanzioni amministrative irrogate dall'antitrust sia alle società venditrici che alle banche che hanno partecipato a questo commercio, e sono state successivamente confermate dal TAR Lazio.

A che punto siamo adesso?

giovedì 14 marzo 2019

Btp e bufale, tre pericoli inventati attorno ai titoli di Stato

Fonte: Il Fatto Quotidiano 26 novembre 2018
Fare il cacciatore di bufale su Internet non mi appassiona. Ma qualche precisazione può però essere utile per i risparmiatori italiani, preoccupati – in parte a ragione e in parte a torto – per i Btp Italia e gli altri titoli del Tesoro.

1.
Circola la storiella che essi siano diventati meno sicuri da quando (2013) i regolamenti contengono le cosiddette Cacs, che permetterebbero di peggiorarne ad arbitrio le condizioni. Non è vero niente. Tali clausole presenti nei titoli di Stato di tutta l’Eurozona compresi quelli tedeschi, non mirano affatto a facilitare una sospensione dei pagamenti, un taglio degli interessi, un rinvio delle scadenze o addirittura un default. Cose brutte che sono accadute e accadranno indipendentemente da esse: hanno fatto crac tanto l’Argentina quanto l’Ecuador senza le Cacs. Idem per la Grecia, che le ha introdotte forzosamente a default già deciso.

lunedì 4 marzo 2019

Il consumatore non può subire il rischio cambio nel mutuo in valuta estera

Nuovo interessante intervento della Corte di giustizia dell'Unione europea in materia di contratti di mutuo in valuta straniera, vicenda che sta riguardando molti risparmiatori italiani, coinvolti nelle proposte commerciali di Barclays (vedi qui).

Occorre premettere che il caso è peculiare, avendo ad oggetto uno Stato dell'Unione europea, l'Ungheria, che ha adottato una normativa specifica in materia, cancellando questo tipo di mutui.

La vicenda
Due consumatori ungheresi, durante l'anno 2008, hanno concluso un contratto di mutuo in franchi svizzeri (CHF), con la previsione di rate mensili da versare in fiorini ungheresi, ma il cui valore doveva essere determinato all'esito della conversione al tasso di cambio tra il fiorino ungherese e il franco svizzero. Inoltre, 

Il modello contrattuale sottoposto alla firma dei consumatori menziona, al suo interno, i vari rischi connessi al mutuo, tra i quali viene indicato anche quello di cambio nell'ipotesi di fluttuazione del tasso di cambio tra le valute. 

E tali fluttuazioni sono intervenuti, durante il 2013, con notevole aumento delle rate mensili versate dai clienti alla banca.

Per tale ragione, questi ultimi hanno citato in giudizio l'istituto di credito, al fine di contestare la validità della clausola inerente il rischio di cambio, affermando che la stessa fosse redatta in modo poco chiaro e trasparente, e quindi abusiva.

La tesi difensiva dei clienti veniva, peraltro, suffragata dalla nuova normativa introdotta in Ungheria nel 2014, con la quale sono stati eliminati dal mercato i contratti di mutuo espressi in valuta estera determinate clausole abusive, con conversione del debito in fiorini ungheresi.

La vicenda è stata sottoposta alla decisione della Corte di giustizia dell'Unione europea, al fine di verificare il carattere abusivo della norma contrattuale rispetto al sistema legale nazionale ed europeo.

Corte di giustizia dell'Unione europea: C- 51/17
La Corte ha valutato la questione sia sotto il profilo della normativa esistente, sia con riguardo al modello contrattuale sottoposto alla firma dei consumatori.
Tralasciando la questione relativa alla normativa nazionale, l'aspetto interessante della sentenza in oggetto riguarda la validità delle clausole di cambio in materia di mutuo in franchi svizzeri.
Il giudice comunitario ha ribadito, ancora una volta, che deve essere considerata abusiva la clausola che non prevede in modo chiaro, univoco e trasparente la conversione del tasso in questi contratti, addossando al contraente debole ogni rischio collegato ad eventuali oscillazioni.
La banca, infatti, è tenuta non solo a fornire ai mutuatari informazioni complete ed idonee a comprendere  la particolarità del contratto e consentire di adottare decisioni corrette e consapevoli.
E ciò riguarda anche la clausola di conversione ed il relativo rischio di cambio che deve essere chiara sia sotto il profilo formale (descrittivo), che sotto il profilo concreto ed effettivo.

In altri termini, il contenuto della clausola non deve essere generico e difficilmente comprensibile, ma deve consentire al consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, deve poter non solo essere consapevole della possibilità di deprezzamento della valuta nazionale rispetto alla valuta estera in cui il mutuo è stato espresso, ma anche valutare le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una clausola del genere sui suoi obblighi finanziari. 


Se tali caratteri non sono rispettati, la clausola deve essere dichiarata abusiva (o vessatoria) dal giudice nazionale, e conseguentemente non vincolante per il consumatore nei confronti della banca.
Qui la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea.

mercoledì 27 febbraio 2019

Diamanti: Bankitalia spiega le responsabilità delle banche

Negli ultimi mesi, le principali associazioni dei consumatori hanno rivolto la loro attenzione alla vendita - tutt'altro che chiara - dei certificati di diamanti avvenuta a danno dei consumatori con la fattiva partecipazione degli istituti di credito.

Anche questo blog ha trattato l'argomento, evidenziando le carenze informative intervenute in questo tipo di vendite e la responsabilità, peraltro da più parti invocata, da parte delle banche.

Riteniamo, infatti, che la banca abbia avuto un suo ruolo nella vendita dei preziosi avvenuta, all'interno dei propri locali, da parte degli agenti della società specializzate nel settore.

Invero, sono proprio quest'ultime che hanno parlato di rapporto commerciale tra le stesse ed i vari istituti di credito, riconoscendo un ruolo anche alle varie filiali che hanno sollecitato l'acquisto in questo tipo di prodotti.

La Banca d'Italia, con la sua recente newsletter del maggio 2018, ha peraltro correttamente delineato Il ruolo della banca in queste vendite, e la sua potenziale responsabilità per la perdita accusata dai clienti.

Bankitalia, dopo aver puntualizzato che la commercializzazione dei diamanti attraverso il canale bancario non rientra tra le tutele di trasparenza previste dal TUB, ha peraltro invitato i vari istituti di credito a tenere determinate condotte nella sollecitazione dei preziosi che avviene all'interno dei locali di ogni filiale.

Secondo l'organo di controllo, l'istituto d credito che intende proporre la vendita dei preziosi attraverso altre società, ma all'interno dei locali di proprietà, deve prestare attenzione alla conoscenza del prodotto da parte dei clienti.

In particolare, "nel caso di commercializzazione di diamanti, le banche, oltre a considerare le caratteristiche finanziarie dei clienti a cui è rivolta la proposta di acquisto, devono assicurare adeguate verifiche sulla congruità dei prezzi e predisporre procedure volte a garantire la massima trasparenza informativa sulle caratteristiche delle operazioni segnalate, quali le commissioni applicate, l'effettivo valore commerciale e le possibilità di rivendita delle pietre preziose". 

Volendo dare una lettura alternativa a quanto suggerito dalla Banca d'Italia nella newsletter, a nostro parere sussiste una responsabilità della banca, ogni qualvolta abbia favorito la vendita dei preziosi all'interno dei propri locali e con i propri clienti quando:


  1. non considera le caratteristiche finanziarie del cliente;
  2. non opera adeguate verifiche in merito alla congruità dei prezzi;
  3. non predispone procedure informative volte a garantire la massima trasparenza informativa sulle caratteristiche del prodotto sollecitato alla vendita.
Dalle vicenda narrate, oltre a quelle seguite dall'associazione (scrivi a sos@consumatoreinformato.it), risulta che nella totalità dei casi la banca non ha seguito alcuna delle regole di prudenza, correttezza e trasparenza sopra richiamate, sussistendo quella responsabilità per il danno sofferto dai clienti a causa della vendita di preziosi a prezzi eccessivamente elevati.

Ancora una volta, vi consigliamo di contestare al venditore, ma anche alla banca, il danno patito chiedendo la restituzione quantomeno del capitale investito.

Qui la Newsletter di Bankitalia

venerdì 22 febbraio 2019

L'illusione di avere un conto all’estero: il caso dello scudo giuridico svizzero

Fonte: Il Fatto Quotidiano 15/10/2018

'C'è chi pensa di portare i risparmi all’estero, temendo il crac dell’Italia, l’uscita dall’euro, prelievi forzosi ecc. Così è tornata in auge una trovata dei tempi dell’ultimo scudo per i capitali all’estero (2009). Chi aveva soldi in Svizzera, doveva farli arrivare per forza in Italia. Non poteva lasciarli lì, regolarizzandoli, perché la Confederazione Elvetica non rientrava fra gli Stati collaborativi col fisco italiano. Al che molte banche elvetiche proposero il cosiddetto scudo giuridico. Indirizzavano i clienti a società fiduciarie italiane raccontando, ma solo a voce, che in tal modo non cambiava praticamente nulla, perché i soldi restavano in Svizzera. Molti abboccarono.

Per continuare a illuderli, addirittura li accompagnano di tanto in tanto nella banca collegata ticinese (o in altro cantone) e li fanno parlare con un loro compare. E costui ovviamente non gli dice che essi personalmente non potrebbero prelevare soldi, né disporre bonifici né compravendite di azioni, obbligazioni ecc. dal loro (fantomatico) conto a Lugano.

mercoledì 13 febbraio 2019

ACF: la banca deve sempre dare informazioni al cliente

Questa domenica vi proponiamo una recente decisione dell'Arbitro per le controversie finanziarie, chiamato a decidere in merito alla responsabilità di una banca per aver venduto ad un cliente titoli azionari e obbligazioni convertibili emesse dall'allora stessa Banca Capogruppo dell'intermediario, causando un grave danno all'investitore.

L'ACF ha individuato la responsabilità della banca nella vendita dei titoli emessi dalla Capogruppo, accertando che il professionista avrebbe violato gli obblighi di diligenza, correttezza, informazione e trasparenza nei confronti del cliente.

La banca, su cui grava anche il dovere di valutare se l'operazione è adeguata al profilo di rischio, ha altresì l'obbligo di informare correttamente il  cliente in merito alle caratteristiche e i rischi connessi all'investimento in titoli altamente pericolosi.

E nel caso di specie, tali obblighi non risultano essere stati assolti dall'intermediario che ha venduto questi titoli, valutandoli adeguati al profilo di rischio, nonostante "[…] fossero in realtà inadeguate rispetto al profilo del ricorrente, vantando egli conoscenze ed esperienza limitate, in quanto tali incompatibili con l'acquisto di titoli non quotati su un mercato non regolamentato".

L'arbitro bancario ha peraltro evidenziato come l'intermediario abbia violato il precetto previsto all'art. 21 del TUF, e volto a garantire che il cliente sia sempre informato in modo tale consentirgli di poter operare in modo  consapevole.  

Queste carenze hanno reso, nella vicenda che potete leggere di seguito, la banca responsabile per la perdita accusata dal cliente, condannandola al risarcimento del danno occorso a quest'ultimo.

Qui la decisione ACF n. 1285/2019 del 3 gennaio 2019.

domenica 10 febbraio 2019

Difendersi dalla truffa dei diamanti

Negli ultimi anni, una delle attività di vendita che più si sono sviluppate riguarda la vendita dei diamanti, avvenuta attraverso la fattiva collaborazione di alcune banche.

Sembra incredibile, ma ancora una volta i principali istituti di credito hanno trovato uno stratagemma alternativo per vendere ai propri clienti prodotti presentati come rientranti nella categoria “bene rifugio”, quando in realtà il valore del bene offerto era ben inferiore.


La vendita di diamanti ha avuto avvio a partire dal 2010, allorchè alcune società sono state affiancate dalle principali banche italiane (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco BPM e MPS) nella vendita di pietre preziose.

In particolare, due società del settore, Intermarket Diamond Business (Idb) e Diamond Private Investment, hanno potuto usufruire del pacchetto clienti delle società per poter proporre loro l’investimento in diamanti.

Questa offerta non avrebbe mai potuto riguardare tanti risparmiatori, si stima che oltre 120.000 siano rimasti vittime di tali operazioni, in assenza del decisivo ruolo svolto dalle banche.

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