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martedì 15 settembre 2015

Salvataggio banche - pro e contro del "bail in"

La recente approvazione del decreto di attuazione della Direttiva UE n. 2014/59, anche in Italia viene introdotto il nuovo sistema di salvataggio di una banca da un dissesto finanziario: il bail in (“salvataggio interno”).

Le nuove norme creano un meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie del tutto diverso rispetto a quello attuale, prevedendo una partecipazione diretta ed immediata degli azionisti, obbligazionisti e financo i titolari dei conti correnti, e solo indiretta e successiva da parte dello stato.

Il nuovo quadro normativo è destinato ad entrare in vigore a partire dal gennaio 2016, data dalla quale il prelievo forzoso bancario verrà legalizzato con il fine di tutelare contribuenti e mercati.

domenica 12 agosto 2012

Tribunale di Torino - gestione patrimoniale & conflitto di interessi


Questa domenica proponiamo la recente ed inedita sentenza pronunciata dal Tribunale di Torino che ha dichiarato la risoluzione del contratto di gestione patrimoniale in fondi comuni sottoscritto da una coppia di consumatori piemontesi.

I piccoli risparmiatori avevano deciso di investire i propri denari in un prodotto del cd. risparmio gestito e si erano rivolti alla banca per chiedere dei suggerimenti.

Il dipendente della banca non aveva esitato a proporre ai clienti l'investimento nella gestione patrimoniale in fondi creata ad hoc da altro soggetto bancario del medesimo gruppo.

Il dipendente della banca aveva elogiato il prodotto del risparmio gestito sostenendo che si trattava di strumento finanziario sicuro e privo di rischi nel medio/lungo termine.

Gli ignari risparmiatori si erano fidati del dipendente della banca ed avevano dato avvio al rapporto di gestione patrimoniale in fondi con la SGR dello stesso Gruppo.

Come accaduto per altri rapporti finanziari rientranti nel risparmio gestito, i risparmiatori si erano accorti, in seguito, che il loro contratto non solo non stava generando alcun utile, ma addirittura risultava in perdita.

I consumatori si sono rivolti al Tribunale di Torino ed hanno contestato alla SGR di aver operato in conflitto di interessi senza comunicare tale situazione agli investitori. 

Il giudice ha accolto la contestazione sollevata dai risparmiatori, osservando che quando una società di gestione del risparmio opera in favore del cliente, deve informare regolarmente quest'ultimo delle operazioni di acquisto/vendita di strumenti finanziari ove si trova in posizione di conflitto.

Nella concreta fattispecie, il giudice ha accertato che durante il rapporto contrattuale, la SGR non ha adeguatamente informato i clienti della posizione di conflitto di interessi, violando le norme in materia di conflitto e cagionando il danno patito dagli investitori. 

Il giudice ha dato ragione ai piccoli risparmiatori, restituendo loro tutte le somme investite nella gestione patrimoniale.

sabato 24 settembre 2011

Da Trentino inBlu al blog: alcuni suggerimenti per difendersi dai finti promotori finanziari


Alcuni mesi fa sul quotidiano “Il Tirreno” è stato raccontato l'ultimo esempio di truffa perpetrata da un falso promotore finanziario a danno di piccoli risparmiatori e che di seguito riportiamo “LUCCA. Prometteva lauti guadagni e interessi intorno al 10%, ma una volta che i clienti consegnavano i loro risparmi il capitale spariva e non restava altro che sporgere denuncia alle forze dell'ordine. Anche due donne residenti in Lucchesia sarebbero state raggirate da uno pseudo promotore finanziario empolese che, stando all'accusa, in totale avrebbe spillato alle malcapitate e ai loro familiari oltre 140mila euro. Il broker di 48 anni, residente ad Empoli, è iscritto nel registro degli indagati con l'accusa di truffa e appropriazione indebita. Si sarebbe spacciato con le due vittime lucchesi - entrambe operaie - per un consulente della «Milano Financial Consulting» che la polizia giudiziaria ha accertato come inattiva e non esistente. Una delle due vittime avrebbe cercato di ricontattare il promotore per disinvestire parte dell'importo versato nel 2009, ma dopo i primi contatti via internet il presunto consulente si sarebbe reso irreperibile.”(Fonte: “Il Tirreno”).

Queste truffe si ripetono quotidianamente con gravi danni per i piccoli risparmiatori che si vedono sottratti i propri risparmi da sedicenti operatori del sistema che promettono al cliente immediati guadagni con l'investimento in prodotti finanziari “esotici”.

Cosa si può fare per evitare questo tipo di truffe?

Di seguito, vi proponiamo alcune regole che si possono seguire quando si “contratta” un investimento finanziario con un promotore (o un private banker).


(1) conoscere il promotore finanziario e verificare l'identità


I promotori finanziari devono obbligatoriamente essere iscritti all'albo e la loro attività deve avvenire nel rispetto di norme deontologiche. E' facile verificare se il promotore finanziario è iscritto all'albo anche attraverso il sito web della CONSOB (controlla).
In secondo luogo, il promotore opera per conto di un intermediario (banca - società finanziaria etc.) regolarmente iscritto negli albi tenuti dalla Banca d'Italia e dalla Consob.
Colui che vi propone l'investimento, quindi, deve possedere quantomeno un documento (ad esempio un tesserino) che attesti la sua regolare iscrizione all'albo dei promotori.
Non esitate a richiedere l'esibizione del documento al promotore e fatevi dire per quale intermediario egli presta la propria opera.
Il Regolamento Consob prevede che il promotore, al momento del primo contratto, è obbligato a fornire al cliente tutte le informazioni rispetto alla propria qualifica: "[il promotore] consegna al cliente o al potenziale cliente copia di una dichiarazione redatta dal soggetto abilitato (n.d.r. banca o sim), da cui risultino gli elementi identificativi di tale soggetto, gli estremi di iscrizione all'albo e i dati anagrafici del promotore, nonché il domicilio al quale indirizzare la dichiarazione di recesso [...]"(art. 108 comma 1 lett. a) del Regolamento Consob 29 ottobre 2007, n. 16190 (c.d. Regolamento intermediari)).

(2) chiedere informazioni dettagliate al promotore in merito al prodotto offerto – farsi consegnare il prospetto informativo

Colui che vi offre il prodotto finanziario, al fine di invogliarvi all'acquisto, tenderà ad illustrarvi i rendimenti dello stesso e le possibilità di guadagno nel breve/medio termine.
In molte circostanze l'investimento viene descritto come interessante attraverso l'utilizzo di termini finanziari estremamente complessi e poco comprensibili.
E' vostro diritto richiedere al proponente di utilizzare un linguaggio assolutamente comprensibile e chiaro nell'illustrazione delle caratteristiche del prodotto offerto.
Fatevi indicare con chiarezza quale è il soggetto emittente, su quale mercato è negoziato il prodotto, la divisa, le commissioni di investimento previste, le modalità di rimborso.
Con la nuova normativa in materia finanziaria introdotta attraverso la direttiva Mifid, molti prodotti finanziari, anche se negoziati fuori dai mercati regolamentati, sono accompagnati da apposito prospetto informativo con il quale sono indicate le caratteristiche ed i rischi di investimento.
E' vostro diritto ottenere copia del prospetto.

(3) cercate di acquisire autonomamente notizie sul prodotto finanziario

La migliore difesa di fronte a questi tentativi di truffa è rappresentata dall'informazione, ovvero un investitore informato difficilmente può cadere in questi tranelli.
Non limitatevi a prendere copia dei documenti che vi vengono consegnati dal promotore, ma attivatevi e ricercate informazioni rispetto alle caratteristiche ed ai rischi collegati all'investimento che vi viene prospettato.
In questo senso, internet è certamente un mezzo che vi può aiutare permettendovi di ottenere, con estrema facilità, molte informazioni rispetto ai titoli offerti e può rappresentare, inoltre, una ottima opportunità per comparare i dati ottenuti dal promotore con quelli reperiti per via telematica.
Confrontate le strategie di investimento e le performance che il proponente vi ha promesso e verificate l'attendibilità rispetto ai risultati storici ottenuti dal prodotto.

(4) il promotore finanziario non può ricevere somme di denaro dal cliente – rifiutatevi di lasciare somme al proponente

Se il finto promotore vi chiede di perfezionare l'investimento attraverso la consegna di somme di denaro, ricordatevi che questa modalità e vietata dalla legge e rappresenta un evidente indizio che vi state trovando di fronte ad un tentativo di truffa.
L' art. 108 comma 5 del già citato Regolamento Intermediari dispone l'obbligo per il promotore di rifiutare ogni somma di denaro, anche a titolo di compenso.
Il cliente può perfezionare l'investimento mediante il versamento della somma pattuita attraverso assegno bancario, circolare o ordine di bonifico intestato al soggetto abilitato (banca intermediaria).
Ogni altra forma di pagamento è severamente vietata dalla legge e se vi viene richiesto un pagamento in denaro da consegnare al fantomatico promotore, dovete dubitare della bontà della proposta di investimento prospettatavi da quest'ultimo.

(5) controllate l'andamento del prodotto finanziario attraverso la documentazione inviata dalla banca
Ricordate, inoltre, che per verificare se l'investimento è stato effettivamente realizzato dovete prendere visione degli estratti conto che vengono regolarmente inviati presso il vostro domicilio da parte della banca.
Questi documenti sono gli unici che vi permettono di accertare che l'operazione è stata effettivamente posta in essere, nonché verificare il reale andamento del vostro investimento.

Può accadere, infatti, che il promotore si presenti presso la vostra abitazione con propri documenti dai quali risulti una diverso andamento del prodotto venduto, con performance ben più elevate rispetto a quelle realizzate. Dubitate di detti documenti e ricordatevi di verificare di persona quale è il risultato ottenuto dallo strumento finanziario che avete acquistato.

(6) Se siete stati raggirati dal promotore finanziario, ricordate che la sua banca è responsabile per i vostri danni
Gli episodi di comportamenti infedeli tenuti dai promotori finanziari si sono moltiplicati negli ultimi anni.
Usualmente la banca per la quale il promotore opera, pur rammaricandosi per l'attività illegale del proprio collaboratore, si dissocia dal opera truffaldina e si rifiuta di restituire i denari sottratti al cliente dal promotore infedele.

Il caso tipico è quello del promotore che si appropria delle somme ricevute dal cliente per i singoli investimenti finanziari.

La Corte di Cassazione ha di recente ribadito il principio secondo il quale la banca è responsabile per il fatto illecito del proprio promotore, in quanto esiste un collegamento necessario tra l'attività del promotore e l'istituto di credito.
La banca deve operare un'attività di controllo sull'opera svolta dal proprio promotore, cosicché nel caso di danni subiti dal cliente, anche l'istituto di credito è chiamato a rispondere per l'attività del collaboratore, come ribadito dalla Cassazione con la recente sentenza sentenza 10 dicembre 2010 – 25 gennaio 2011, n. 1741.

domenica 31 luglio 2011

Il promotore finanziario si comporta in modo scorretto? E' la banca a rispondere dei danni sofferti dal risparmiatore

Il promotore finanziario infedele causa un danno al cliente? la banca risponde per il comportamento infedele del proprio dipendente/affiliato. Questo principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di merito, è stato riaffermato di recente dal Tribunale di Prato.

La sentenza, di seguito proposta, affronta l'annosa e scorretta attività truffaldina con la quale il promotore si appropria del denaro del cliente ed opera investimenti non richiesti, e a volte nemmeno conosciuti, in danno del risparmiatore.

Purtroppo le attività illecite del promotore finanziario sono molteplici e sono state affrontate qualche tempo fa nel nostro blog.

Tribunale di Prato

Sezione Civile

Sentenza 23 febbraio 2011, n. 211

(Presidente Genovese – Relatore Cecchi)

Svolgimento del processo


Con atto di citazione ritualmente notificato alle controparti ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2 del D.Lgs 17.1.2003 n° 5, il sig. G. P. conveniva in giudizio la Banca Fideuram S.p.a. ed il sig. U. R. .
Nel contesto di tale atto veniva allegato come dal febbraio 2006 il sig. G. P. avesse intrattenuto con la Banca Fideuram S.p.A. il rapporto di conto corrente bancario n. 66266392, aperto presso la Filiale di Firenze, Piazza Edison. Tale rapporto era stato aperto dal sig. G. P., unitamente al deposito titoli e prestazioni di servizi finanziari, tramite il sig. R. U., promotore finanziario della Fideuram, all’esclusivo scopo di investire i propri risparmi, con l’espressa richiesta che non fosse rilasciato il libretto di assegni. Sul conto corrente bancario aperto con la convenuta Banca era stato inizialmente versato l’importo di Euro 140.000,00. Nell’aprile del 2006, tramite l’operato del R., il P. aveva investito l’importo di Euro 80.000,00 nella “Gestione Patrimoniale Fideuram, Global Index, linea Equità 20” e l’importo di Euro 60.000,00 in quote di fondi denominati “Fideuram Master Selection”. Il sig. R. si era peraltro spesso presentato presso la sede di lavoro del P., in San Piero a Ponti, chiedendo all’attore di investire ulteriori somme di denaro presso la Fideuram, con la promessa che in breve si sarebbero sicuramente incrementate. Per tale motivo il sig. G. P. aveva consegnato al sig. R. l’ulteriore e complessiva somma di Euro 58.000,00, a mezzo dei seguenti assegni bancari della Cassa di Risparmio di Firenze, privi di indicazione del beneficiario:
• in data 22.05.2006 l’assegno bancario n. 0336144024-08 dell’importo di Euro 5.000,00 e l’assegno bancario n. 0336144025-09 dell’importo di Euro 5.000,00;
• in data 4.07.2006 l’assegno bancario n. 0336144029-00 dell’importo di Euro 5.000,00;
• in data 14.02.2007 l’assegno bancario n. 0339416088-11 dell’importo di Euro 15.000,00, l’assegno bancario n. 0339416089-12 dell’importo di Euro 5.000,00, l’assegno bancario n. 0339416090-00 dell’importo di Euro 3.000,00 e l’assegno bancario n. 0341296481-06 dell’importo di Euro 2.000,00;
• in data 18.05.2007 l’assegno bancario n. 0341296882-04 dell’importo di Euro 5.000,00, l’assegno bancario n. 0341296883-05 dell’importo di Euro 5.000,00, l’assegno bancario n. 0341296884-06 dell’importo di Euro 5.000,00 e l’assegno bancario n. 0341296885-07 dell’importo di Euro 3.000,00.
Nei primi giorni del luglio 2007 il sig. R., a titolo di plusvalenze maturate e liquidate per gli investimenti da lui effettuati, aveva poi consegnato al sig. G. P. due assegni bancari della Fideuram (n. 242.039.646 e n. 242.039.645) per un importo complessivo pari ad Euro 20.000,00. Nella stessa occasione il sig. R., dopo aver affermato che l’investimento nelle quote di fondi comuni “Fideuram Master Selection” era prossimo alla scadenza, aveva chiesto al sig. P., allo scopo di chiudere l’operazione, di sottoscrivere un modulo in bianco predisposto dalla banca per il disinvestimento. Alcuni giorni dopo il sig. R. aveva informato il sig. P. che il disinvestimento aveva fruttato la somma di Euro 67.000,00, e che avrebbe provveduto a rimborsargli l’importo ricavato. In quell’occasione, inoltre, il sig. R. aveva consigliato al sig. P. di avvalersi nuovamente del suo operato per reinvestire la liquidità, a breve disponibile, per la liquidazione delle quote dei fondi comuni. Successivamente il sig. R., a mezzo di un assegno della Fideuram, aveva consegnato al sig. P. la somma di Euro 67.000,00, ricavata per la liquidazione dell’investimento nelle quote di fondi comuni. Nel frattempo, seguendo il consiglio del promotore finanziario, in data 18.07.2007 il sig. P. aveva consegnato al sig. R. l’assegno bancario della Cassa di Risparmio di Firenze n. 0341296490-02, per l’importo di Euro 62.187,10. L’importo di quest’ultimo assegno, come quelli degli altri undici assegni (sopra precisati al punto 6), tutti consegnati al promotore, non era tuttavia mai risultato essere stato versato sul conto corrente bancario Fideuram (n. 66266392) del sig. P., né utilizzato per investimenti in strumenti finanziari negoziati dalla Fideuram intestati al sig. G. P.. In effetti, dalla documentazione successivamente consegnata dalla Cassa di Risparmio di Firenze il sig. G. P. aveva potuto accertare che tali assegni in parte erano stati incassati dal R. ed in parte da questi consegnati a terzi sconosciuti. Successivamente, inoltre, era emerso che sullo stesso conto corrente Fideuram (n. 66266392) intestato al P., nonostante il correntista non avesse né richiesto, né, peraltro, ritirato alcun carnet di assegni, a partire dal 9.07.2007 erano stati addebitati n. 10 assegni bancari a totale insaputa dell’odierno attore. Tra la documentazione consegnata dalla banca con la lettera del 3.03.2008 e con la raccomandata a/r del 9.04.2008, a seguito delle contestazioni del P., era poi emerso anche che: a) la ricevuta di consegna di un carnet di assegni, numerati dal n. 242.039.641 al n. 242.039.650, relativo al conto corrente n. 66266392 intestato al P., era stata sottoscritta da R. U. in data 4.07.2007; b) sulla delega del 4.07.2007 rilasciata a favore di R. U. per il ritiro degli assegni Fideuram, sugli assegni bancari Fideuram n. 242.039.641-12 di Euro 11.300,00, n. 242.039.642-00 di Euro 10.200,00, n. 242.039.643-01 di Euro 9.800,00, n. 242.039.644-02 di Euro 9.700,00, n. 242.039.648-06 di Euro 7.000,00, n. 242.039.649-07 di Euro 6.585,00, risultavano essere state apposte firme apocrife del sig. G. P., che nel contesto dell’atto di citazione in questione dichiarava espressamente di disconoscere; c) sull’estratto del conto corrente Fideuram n. 66266392 relativo al terzo trimestre 2007, intestato al P., risultava addebitato anche l’importo di Euro 3.000,00, per la negoziazione dell’assegno bancario n. 242.039.647, mai emesso dal P. (e di cui la banca convenuta non aveva fornito alcuna copia); d) la provvista dei dieci assegni addebitati sul conto corrente bancario n. 66266392, intestato al sig. G. P., era stata ricavata dal disinvestimento della “Gestione Patrimoniale Fideuram, Global Index, linea Equità 20”, effettuata all’insaputa dello stesso sig. P.: sul modulo predisposto dalla Fideuram per la liquidazione della “Gestione Patrimoniale Fideuram, Global Index, linea Equità 20” del 02.07.2007, risultava infatti essere stata apposta una firma apocrifa del sig. G. P. (che anche in questo caso veniva espressamente disconosciuta nel contesto dell’atto di citazione in questione). Veniva poi precisato come gli assegni bancari n. 242.039.645-03 di Euro 5.000,00, n. 242.039.646-04 di Euro 15.000,00 e n. 242.039.650-08 di Euro 67.000,00 fossero stati consegnati dal sig. R. al sig. P. senza che lo stesso promotore finanziario mai avesse specificato a quest’ultimo che gli importi di tali assegni sarebbero stati tratti sul proprio conto corrente n. 66266392, aperto presso la Fideuram. In danno di P. G., dunque, erano state complessivamente distratte somme di denaro pari ad Euro 177.772,10. Con raccomandata del 25.02.2008, contestando la responsabilità della Banca e del promotore finanziario R. U., il sig. P., a mezzo del patrocinio degli odierni procuratori, aveva chiesto alla Fideuram il pagamento di tutte le somme distratte in suo danno: la banca aveva replicato con raccomandata a/r del 9.04.2007, riconoscendo le gravi irregolarità commesse dal sig. U. R. e la disponibilità a risarcire il P.. Tuttavia, nonostante con raccomandata A/R del 21.04.2008 ed i fax del 5.06.2008 e del 9.06.2008, inviati a mezzo del proprio legale, il sig. P. avesse inviato alla Fideuram la documentazione a propria disposizione, nessun risarcimento era mai stato erogato. Ciò allegato in fatto, il sig. P. aveva quindi argomentato in diritto come dalle circostanze predette emergesse chiaramente la responsabilità del convenuto R., atteso che quest’ultimo, nello svolgimento dei propri compiti di promotore finanziario, non solo era stato inadempiente agli obblighi generali di buona fede e correttezza, violando scientemente in più punti la normativa in materia di intermediazione, ma aveva altresì posto in essere fatti di rilevanza penale, in particolare distraendo le somme affidategli dal sig. G. P.. In particolare, dopo il primo versamento della somma capitale di Euro 140.000,00 ed il totale investimento della stessa in strumenti finanziari Fideuram, dalla documentazione prodotta risultava come detto che tutti gli importi consegnati dal sig. P. al R., a mezzo di assegni bancari, erano stati incassati, senza alcun titolo, in parte dallo stesso R. in parte da altri soggetti. Era quindi evidente che il R. si era indebitamente appropriato di somme di denaro altrui, pari a complessivi Euro 120.187,10. Dalla stessa documentazione era emerso che il R. aveva personalmente ritirato il carnet di assegni, numerati dal n. 242.039.641 al n. 242.039.650, relativo al conto corrente n. 66266392 intestato allo stesso P., in virtù di una falsa delega: inoltre, il R., una volta venuto illegittimamente in possesso di tale carnet, aveva certamente utilizzato i relativi assegni (o comunque aveva permesso che altri ne facessero uso) con conseguente danno dell’attore. Nello specifico, ne conseguiva che con la negoziazione di tali assegni bancari (su cui risultavano essere state apposte firme apocrife del Sig. G. P.), a quest’ultimo erano state sottratte ulteriori somme di denaro, per un importo complessivo pari ad Euro 57.585,00. Da tali condotte derivava il diritto del sig. P. ad ottenere l’integrale risarcimento dei danni subiti, patrimoniali, morali e biologici. In relazione alla posizione dell’istituto di credito, invece, veniva esposto come il sistema normativo vigente in tema di intermediazione finanziaria fosse contenuto nel T.U.I.F., D. Lgs. 58/1998, e nel relativo Regolamento di attuazione, emanato con Deliberazione CONSOB del 1998 n. 11522, da cui emergeva una finalità di trasparenza nei comportamenti delle Banche e dei soggetti abilitati all’esercizio dei servizi di investimento (artt. 5 e 21 TUIF). Tali soggetti dovevano infatti ispirare la propria condotta ai canoni generali della diligenza e correttezza per poter rendere al meglio i propri servizi nell’interesse del cliente, e nell’informare quest’ultimo circa il proprio operato in generale e le singole operazioni di investimento. Ai sensi dell’art. 23 TUIF, spettava all’intermediario l’onere della prova di aver adempiuto agli obblighi di diligenza: “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”. Per il comportamento del promotore finanziario convenuto si doveva pertanto riconoscere la responsabilità solidale della Banca convenuta ex. art 31 TUIF il quale prevedeva, al terzo comma, che “ il soggetto abilitato che conferisce l'incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal promotore finanziario, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale”. La responsabilità della banca per il fatto del promotore aveva del resto carattere essenzialmente oggettivo, imputandosi alla società intermediaria, nell’interesse della quale l’attività viene svolta dal promotore, il rischio dell’attività medesima e, quindi, l’illecito del promotore al quale aveva conferito l’incarico di promuovere fuori sede i suoi servizi di investimento (come del resto ritenuto dalla giurisprudenza). Al fine di configurare la responsabilità della banca era sufficiente un nesso di occasionalità necessaria, nel senso che le mansioni affidate al preposto dovevano aver reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno, anche se lo stesso abbia agito oltre i limiti delle sue mansioni e, per di più, con dolo e in violazione di una norma penale. Nel caso di specie, era evidente che U. R. , operando nell’ambito di un rapporto di agenzia con la Banca convenuta, avesse indotto il sig. P. a consegnargli somme di denaro, nonché avesse potuto ritirare ed utilizzare assegni bancari tratti sul c/c del cliente. Posto che l’illecito del R. era stato reso possibile nell’esercizio delle mansioni affidategli dall’intermediario sussisteva, dunque, la responsabilità solidale della Banca convenuta. In ogni caso quest’ultima doveva ritenersi responsabile anche in via contrattuale. Sulla base di tale complesso di allegazioni parte attrice chiedeva quindi l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “Voglia il Tribunale adito respinta ogni contraria istanza: 1. per i motivi di cui in premessa accertare e dichiarare l’illiceità penale e/o civile dei comportamenti posti in essere dal promotore finanziario U. R. , in ordine alle distrazioni delle somme di denaro consegnategli dall’attore a mezzo degli assegni bancari n.0336144024-08 di Euro 5.000,00=, n.0336144025-09 di Euro 5.000,00=, n.0336144029-00 di Euro 5.000,00=, n.0339416088-11 di Euro 15.000,00=, n.0339416089-12 di Euro 5.000,00=, n.0339416090-00 di Euro 3.000,00= e n.0341296481-06 di Euro 2.000,00=, n.0341296882-04 di Euro 5.000,00=, n.0341296883-05 di Euro 5.000,00=, n.0341296884-06 di Euro 5.000,00=, n.0341296885-07 di Euro 3.000,00=, n.0341296490-02 di Euro 62.187,10, per un importo complessivo pari ad Euro 120.187,10 = ed in ordine al ritiro ed all’utilizzo del carnet di assegni, ed alle conseguenti abusive negoziazioni degli assegni bancari Fideuram n.242.039.641-12 di Euro 11.300,00 n.242.039.642-00 di Euro 10.200,00, n.242.039.643-01 di Euro 9.800,00, n.242.039.644-02 di Euro 9.700,00, n.242.039.648-06 di Euro 7.000,00=, n.242.039.649-07 di Euro 6.585,00= n.242.039.647 di Euro 3.000,00, per un importo complessivo pari ad Euro 57.585,00, tutti tratti sul c/c Fideuram n. 66266392 intestato all’attore, e per l’effetto dichiarare la responsabilità del medesimo promotore finanziario nonché della Banca Fideuram S.p.A. ex art. 31 del T.U.I.F. , o in ogni caso ex art. 2049 c.c.; 2. conseguentemente condannare in solido U. R. e la Banca Fideuram S.p.A. al pagamento, in favore dell’attore, della somma di Euro 177.772,10= a titolo di risarcimento per danno patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle date di negoziazione dei singoli assegni al saldo effettivo, nonché a risarcire all’attore il danno non patrimoniale e biologico che sarà determinata in via equitativa; 3. in subordine, per tutti i motivi in premessa, accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale della Banca convenuta per inadempimento degli obblighi derivanti dal contratto di negoziazione e di apertura di conto corrente bancario, nonché integrati dalla normativa vigente, anche ai sensi dell’art. 1228 c.c., e, per l’effetto, condannarla a pagare all’attore la somma di Euro 177.772,10=, o la diversa somma che risulterà di giustizia, a titolo di risarcimento per danno patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle date di negoziazione dei singoli assegni al saldo effettivo; 4. In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa”.
Radicatosi il contraddittorio con la costituzione unicamente della Fideuram, questa contestava quanto dedotto da parte attrice, esponendo come nel caso di specie non potesse ravvisarsi il richiesto (dal consolidato orientamento giurisprudenziale) rapporto di “necessaria occasionalità” tra fatto illecito del preposto ed esercizio delle mansioni affidategli. Gli illeciti ascritti al sig. R., infatti, risultavano completamente avulsi dalle mansioni svolte dal predetto promotore. Si trattava in effetti di condotte che prescindevano completamente dalle attività svolte dal sig. R. quale promotore dell’odierna convenuta, sì che, proprio in forza dell’orientamento manifestato dalla giurisprudenza sul punto, nulla poteva essere addebitato alla banca convenuta. Veniva comunque contestato che gli assegni oggetto dell’elencazione del sig. P. fossero stati distratti dal sig. R., incombendo su parte attrice l’onere di fornire specifica dimostrazione dei propri assunti. In ogni caso veniva evidenziato come la condotta del sig. P. fosse stata gravemente irregolare, oltre che incauta: ciò sia a causa della consegna di assegni privi dell’indicazione del beneficiario, sia per il fatto di non aver mai chiesto alla Fideuram alcun rendiconto circa gli investimenti cui erano destinati gli importi in questione. Sì che, nella denegata ipotesi in cui si fosse inteso ravvisare una qualche responsabilità in capo alla banca convenuta, nondimeno si sarebbe dovuto ritenere applicabile l’art. 1227, nei confronti del sig. P., perché quest’ultimo avrebbe potuto evitare il danno in questione facendo ricorso a condotte improntate all’ordinaria diligenza. Nell’ipotesi in cui si fosse inteso riconoscere una responsabilità risarcitoria in capo alla Fideuram, quest’ultima aveva comunque diritto a rivalersi nei confronti del R., al quale era in realtà addebitabile il danno lamentato dal sig. P.. In base a tali considerazioni la convenuta predetta concludeva chiedendo “Piaccia al Tribunale Ecc.mo, respinta ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione e previa ogni opportuna declaratoria del caso: - nel merito, dichiarare inammissibili, improponibili o, comunque, rigettare tutte le domande proposte nei confronti della odierna comparar ente perché infondate sia in fatto che in diritto; - in subordine, in accoglimento della spiegata domanda di manleva, condannare il sig. U. R. a manlevare e tenere indenne Banca Fideuram s.p.a. da ogni pretesa attorea, con conseguente condanna del predetto alla restituzione di ogni somma, a nessun titolo escluso, che la concludente fosse eventualmente tenuta a pagare in favore di parte attrice, nella ipotesi di accoglimento delle domande dalla medesima formulate; - con vittoria di spese, competenze ed onorari”.
Nel successivo corso del processo (ove tra l’altro avveniva la costituzione del sig. P. M. quale erede del defunto P. G.) veniva espletata mediante produzione documentale ed assunzione di prova testimoniale, oltre che mediante consulenza tecnica d’ufficio a carattere grafologico in ordine ai documenti oggetto di disconoscimento da parte del sig. P.; infine le parti discutevano la causa avanti al Collegio e quest’ultimo si riservava la decisione.

Motivi della decisione


1) Rilevata preliminarmente la necessità di dichiarare la contumacia del convenuto U. R., va poi sin d’ora osservato come la domanda attorea si presenti fondata e debba pertanto essere accolta, in base alle considerazioni che seguono.
2) Anzitutto deve rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione preliminare sollevata da parte convenuta Fideuram ed attinente al difetto di legittimazione attiva del sig. M. P. per inidonea dimostrazione della sua qualità di erede del defunto sig. G. P. (e preso atto della mancata riproposizione da parte della Fideuram, nel contesto delle note conclusive dimesse da quest’ultima in data 17.1.2011, dell’eccezione concernente il difetto di procura alle liti nell’originaria comparsa di costituzione del sig. P. - procura poi in effetti dimessa nel contesto della comparsa in data 30.6.2009 -). In proposito va osservato come il sig. M. P. abbia dimesso il certificato di morte del sig. G. P., la rinuncia all’eredità da parte della sig.ra M. G., coniuge del de cuius, e l’estratto del proprio atto di nascita (da cui risulta il rapporto di filiazione con il de cuius): tale complesso documentale appare adeguatamente attestare la sussistenza della qualità di erede del sig. G. P., in capo al sig. M. P., in base alle norme generali sulla successione ereditaria; né è possibile valorizzare l’argomentazione di parte convenuta secondo cui tale documentazione non escluderebbe la possibilità che il sig. M. P. potesse essere stato escluso dalla successione ereditaria, ad es., per indegnità, o per la sussistenza di un testamento che abbia pretermesso lo stesso sig. M. P.: a tale proposito va osservato come su quest’ultimo incombesse l’onere di dimostrare la qualifica allegata, ciò che si intende essere avvenuto con la documentazione depositata, mentre non è (logicamente, prima ancora che giuridicamente) esigibile la dimostrazione dell’insussistenza di cause di esclusione della qualifica di erede (come invece richiesto da parte convenuta), e ciò a prescindere dalla considerazione che, una volta dimostrata la fondatezza di un allegazione in fatto, incombe sulla controparte l’onere di fornire la dimostrazione della sussistenza di condizioni atte ad ostacolare, precludere o comunque escludere la valenza dell’allegazione medesima (come in effetti in genere accade in tutti i casi in cui sia sollevata una qualsivoglia eccezione).
3) Quanto al merito della presente causa va osservato come l’espletata istruttoria abbia fornito adeguati elementi di riscontro alle allegazioni di parte attrice. In particolare va presa in considerazione la deposizione del teste D. C., il quale ha riferito di essere socio in affari del sig. M. P., da circa una decina di anni, e di aver altresì conosciuto sia il sig. G. P. sia il sig. U. R. ; il teste ha quindi riferito di aver partecipato ad alcuni incontri tra il sig. G. P. ed il R., dato che vi era l’idea che il R. potesse essere di ausilio anche per gli affari dei due predetti soci. Il sig. D. ha quindi espressamente riferito: “Ricordo che G. P. consegnò a R. degli assegni, non posso ricordare l’importo. Ricordo che non era indicato il nome del beneficiario; successivamente seppi dal R., che ho visto 4 o 5 volte, che voleva gli assegni senza nome del beneficiario perché ci metteva il timbro della banca. Tutte le volte in cui sono stato presente si è svolta una scena come quella che ho detto”, precisando che in ognuna di tali occasioni il R. aveva provveduto a rilasciare una ricevuta (riconosciuta dal teste come analoga a quella prodotta da parte attrice sub doc. 6). Il teste ha quindi riferito: “Mi ricordo che una delle ultime volte gli fece un assegno veramente grosso, ricordo che ci fu uno scambio di assegni, R. portò un assegno e G. gli fece un altro assegno grosso modo dello stesso valore. Mi sembra che l’ultimo assegno era grosso, forse più di 50.000,00 euro. Gli altri erano assegni più piccoli, 2-3-5-10.000”. Tali dichiarazioni risultano convergere con la ricostruzione dell’accaduto fornita dal sig. G. P. nel contesto dell’atto di citazione introduttivo della presente causa (come supra ricordata), e, unitamente alla documentazione in atti, appaiono costituire idoneo riscontro alle allegazioni attoree. Deve peraltro ritenersi infondata l’eccezione di parte convenuta secondo cui la deposizione del teste D. dovrebbe ritenersi viziata per essere il teste predetto portatore di un interesse in causa (sia pure “indiretto”, come addotto dalla stessa Fideuram): sul punto va infatti osservato come, a prescindere dalla sussistenza di rapporti di tipo societario tra il sig. D. ed i sigg.ri P., le somme oggetto di distrazione in danno del sig. G. P., ed oggetto della domanda attorea, risultano provenire dal conto corrente intestato esclusivamente (e personalmente) allo stesso sig. P., sì che non è dato ravvisare la sussistenza di qualsivoglia interesse del sig. D. nella presente causa. Deve quindi rilevarsi come la documentazione dimessa da parte attrice evidenzi l’intervenuto incasso degli assegni rilasciati dal sig. G. P. al sig. R. (e di cui alla menzionata deposizione del sig. D.): si pongono in tal senso in evidenza gli assegni (tutti della Cassa di Risparmio di Firenze) n. 0336144024-08 (dell’importo di € 5.000,00), n. 0336144025-09 (dell’importo di € 5.000,00), n. 0336144029-00 (dell’importo di € 5.000,00), n. 0339416088-11 (dell’importo di € 15.000,00), n. 0339416089-12 (dell’importo di € 5.000,00), n. 0339416090-00 (dell’importo di € 3.000,00), n. 0341296481-06 (dell’importo di € 2.000,00), n. 0341296882-04 (dell’importo di € 5.000,00), n. 0341296883-05 (dell’importo di € 5.000,00), n. 0341296884-06 (dell’importo di € 5.000,00), n. 0341296885-07 (dell’importo di € 3.000,00) (cfr docc. nn. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 11bis, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 fascicolo attoreo), per complessivi € 58.000,00. Viene poi in rilievo l’assegno – anch’esso della Cassa di Risparmio di Firenze – n. 0341296490-02, (dell’importo di Euro 62.187,10) (cfr docc. 21-22). In ordine ai predetti titoli va quindi rilevato come i relativi importi non constino essere stati versati sul conto corrente bancario Fideuram del sig. P., né comunque utilizzati per investimenti in strumenti finanziari. La documentazione agli atti evidenzia in effetti come tali assegni siano in parte stati incassati dal R. o da terzi (cfr docc. 4, 5, 7, 9, 10, 11, 11-bis, 13, 14, 15, 16, 21 fascicolo di parte attrice). A questo proposto è emblematico il caso dell’assegno da ultimo menzionato: a fronte della ricevuta siglata dal sig. R. ed attestante la ricezione di tale assegno “…da utilizzare per investimenti su Banca Fideuram che saranno intestati a P. G.” (cfr doc. 22 cit.), risulta come il predetto assegno sia poi stato incassato da tale sig. Biagini Pietro (cfr doc. 21 cit.). Risulta poi documentalmente comprovato (cfr doc. 39) come sul conto corrente intestato al sig. G. P. presso Fideuram siano stati tratti dieci assegni nel periodo compreso tra il 9.7.2007 ed il 26.7.2007, e segnatamente gli assegni n. 242.039.641-12 (di Euro 11.300,00), n. 242.039.642-00 (di Euro 10.200,00), n. 242.039.643-01 (di Euro 9.800,00), n. 242.039.644-02 (di Euro 9.700,00), n. 242.039.648-06 (di Euro 7.000,00), n. 242.039.649-07 (di Euro 6.585,00), n. 242.039.647 (di € 3.000,00), n. 242.039.645-03 (di Euro 5.000,00), n. 242.039.646-04 (di Euro 15.000,00) e n. 242.039.650-08 (di Euro 67.000,00) (cfr altresì docc. 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 18, 19 e 23 fascicolo attoreo). La consulenza tecnica d’ufficio di carattere grafologico esperita in corso di causa dalla Dott.ssa S. C. (le cui valutazioni appaiono integralmente da condividere in quanto immuni da vizi logici e di metodo, oltre che frutto di un congruamente motivato iter espositivo) ha poi consentito di appurare la fondatezza dell’allegazione attorea inerente la falsità delle firme (apparentemente del sig. G. P.) apposte sui predetti assegni n. 242.039.641-12, n. 242.039.642-00, n. 242.039.643-01, n. 242.039.644-02, n. 242.039.647, n. 242.039.648-06 e n. 242.039.649-07 (del complessivo importo di € 57.585,00); risulta infine come la ricevuta di consegna del carnet di assegni da cui furono tratti gli assegni in questione (libretto per dieci assegni bancari numerati dal 242.039.641 al 242.039.650) sia stata firmata dal sig. U. R. (cfr doc. 27 fascicolo attoreo), mentre la già ricordata CTU grafologica ha poi appurato anche la falsità della sottoscrizione a firma apparente del sig. G. P. apposta sull’autorizzazione al ritiro di tale carnet di assegni (cfr doc. 28 fascicolo attoreo). Il complesso delle circostanze che precedono induce in modo inequivoco a concludere che il sig. U. R. ebbe ad appropriarsi di denaro del sig. G. P., sia utilizzando in modo diverso dalla destinazione pattuita gli importi di cui agli assegni consegnatigli dal predetto sig. P., sia provvedendo direttamente ad emettere assegni, con la sottoscrizione apocrifa dello stesso sig. P., previa falsificazione anche della firma in calce all’autorizzazione al ritiro del carnet di assegni da cui furono tratti gli assegni da ultimo menzionati (e sopra ricordati in dettaglio). Il complesso delle somme così distratte ammonta ad € 177.772,10.
4) I rilievi che precedono evidenziano come la domanda attorea si presenti fondata, anzitutto, nei confronti del convenuto sig. U. R. , essendosi come detto quest’ultimo complessivamente appropriato della somma di € 177.772,10 di spettanza del sig. G. P.. Per quanto invece attiene poi alla posizione della convenuta Fideuram va ricordato come il fondamento normativo della pretesa creditoria avanzata da parte attrice sia dato dall’art. 31 TUF, sostanzialmente reiterativo – nello specifico settore dei promotori finanziari – del disposto del più generale art. 2049 c.c. (per quanto non siano mancate valutazioni volte a valorizzare la specifica volontà del legislatore di creare un principio di responsabilità “forte” per le società che operano nel settore finanziario, con riferimento all’attività dei soggetti di cui si siano avvalse), in relazione al quale costituisce ormai un consolidato orientamento giurisprudenziale quello per cui la responsabilità del committente (e, nel caso di specie, del soggetto abilitato che conferisce l’incarico al promotore) sorge a prescindere dalla sussistenza di un nesso causale tra le mansioni affidate al commesso (o al promotore) e l’evento dannoso, essendo invece sufficiente la sussistenza di un rapporto di occasionalità necessaria (e cioè l’insorgenza di una situazione, per effetto dell’incarico affidato, tale da aver agevolato o reso possibile il fatto illecito ed il conseguente evento dannoso, quand’anche l’incaricato abbia agito al di là delle proprie incombenze o addirittura violando le prescrizioni impartite, purché nell’ambito delle proprie mansioni: in tal senso, tra tante, Cass. 19167/2005). In tale prospettiva ermeneutica (per il vero condivisa da tutte le parti in causa) deve rilevarsi come la condotta lesiva posta in essere dal sig. U. R. nei confronti del sig. G. P. si connoti proprio per il nesso di occasionalità intercorrente con le mansioni di promotore finanziario svolte dallo stesso R. per conto della Fideuram. In proposito va preliminarmente osservato come la qualifica di promotore finanziario del R., per conto di Fideuram, non abbia costituito oggetto di contestazione nella presente causa (evidenziando come tale qualifica sia stata data per pacifica dalla stessa convenuta, che sin da pg. 2 della comparsa di costituzione si è rivolta al sig. R. come “ex promotore senza rappresentanza della medesima banca”). Va comunque osservato come nella corrispondenza intercorsa tra la Fideuram e l’odierno difensore di parte attrice risulti come la predetta convenuta abbia espressamente dato atto che “…nell’ambito di una verifica ispettiva compiuta dalla Banca, sono state accertate gravi irregolarità commesse dal sig. U. R. , già nostro agente senza rappresentanza – promotore finanziario, ai danni di clienti del nostro Istituto. Banca Fideuram, pertanto, ha risolto il contratto di agenzia in essere con il sig. U. R. in data 04/09/2007 ed ha segnalato i fatti occorsi alla Consob. Evidenziamo, inoltre, che il sig. R. aveva il compito di promuovere la conclusione di contratti relativi a prodotti collocati dalla Banca, in conformità con i relativi moduli e prospetti informativi” (cfr doc. 25 fascicolo attoreo). Incidentalmente va rilevato come la stessa banca odierna convenuta abbia poi ascritto la cessazione del rapporto di agenzia con il sig. R. proprio alle irregolarità poste in essere da quest’ultimo, espressamente oggetto di contestazione ad opera della Fideuram, in particolare in relazione all’appropriazione di somme di clienti (indicata, peraltro, come ammesse dallo stesso R.: “rammentiamo le dichiarazioni del 3 settembre 2007 da Lei stesso rese, in cui ha ammesso indebite appropriazioni di somme di pertinenza di clienti”: cfr doc. 12 fascicolo di parte convenuta). Deve poi evidenziarsi come la documentazione disponibile attesti altresì: a) che il sig. G. P. ebbe ad effettuare presso la Banca Fideuram l’apertura di un “conto corrente di corrispondenza e di un deposito a custodia e amministrazione di titoli e strumenti finanziari…”, mediante l’intervento del private banker sig. U. R. (cfr doc. 1 attoreo); b) che in data 6.4.2006 il sig. G. P. ebbe ad effettuare un investimento di € 80.000,00 nella “Linea Equity 20”, su modulo intestato a “Gestioni Patrimoniali Fideuram Global Index” (cfr doc. 2 fascicolo attoreo) ed uno dell’importo di € 60.000,00 in quote di fondi denominati “Fideuram Master Selection”, definito come “Fondo di Fondi Multicomparto promosso e gestito da Fideuram Investimenti SGR” (cfr doc. 3 ibidem), in entrambi i casi attraverso l’intervento del mediatore sig. U. R.. In tale contesto deve ritenersi che la consegna degli ulteriori assegni sopra menzionati, da parte del sig. G. P. al sig. R., trovi inequivocabilmente la propria genesi nel rapporto intercorrente con il R. quale promotore finanziario della Fideuram. Analogamente deve ritenersi come la falsificazione sull’autorizzazione al ritiro del carnet di assegni in precedenza menzionato sia maturata nel contesto di tale rapporto. Deve quindi ritenersi come il rapporto in questione abbia costituito l’occasione per consentire al sig. R. di appropriarsi, nei modi e nei termini già supra evidenziati, delle somme di pertinenza del sig. G. P.. Né è condivisibile l’argomentazione difensiva di parte convenuta secondo cui tale nesso di necessaria occasionalità dovrebbe essere escluso perché il R. avrebbe tenuto un comportamento di carattere illecito “completamente avulso dalle mansioni svolte dal predetto promotore” (così, ad es., a pg. 3 delle note conclusionali dimesse in data 17.1.2011). L’assunto interpretativo di parte convenuta appare in effetti privo di fondatezza, nel momento in cui si consideri che, a seguire tale impostazione argomentativa, si dovrebbe ravvisare la responsabilità della società solo nelle ipotesi in cui l’illecito fosse connaturato alle mansioni del promotore (il che si tradurrebbe, in sostanza, nel richiedere che fosse stata la Banca ad affidare al promotore il compito di tenere condotte illecite, con palese incongruità di una simile conclusione). Ciò che rileva, ai fini in questione, è invece come detto che la sussistenza del rapporto di intermediazione abbia anche solo agevolato o reso possibile il fatto illecito, e ciò pure se il promotore abbia tenuto una condotta penalmente illecita e difforme dalle prescrizioni impartite: in conclusione deve ritenersi evidente che la condotta illecita del sig. R., nei confronti del sig. G. P., è stata resa possibile (o comunque agevolata) dal fatto che tra i due esisteva il predetto rapporto connesso all’attività di intermediazione svolta dal sig. R. per conto di Fideuram (ritenendo del tutto verosimile che, se il sig. R. fosse stato un quisque del populo, il sig. G. P. non avrebbe a quest’ultimo consegnato alcun assegno); né consta (non sussistendo in atti, del resto, alcuna allegazione in tal senso) che il rapporto tra il sig. G. P. ed il sig. R. fosse insorto in forza di pregresse conoscenze personali tra le parti, maturate al di fuori ed a prescindere dai compiti svolti dallo stesso sig. R. per conto di Fideuram. Di conseguenza deve ritenersi sussistente anche la responsabilità della convenuta Fideuram.
5) In base alle considerazioni che precedono, i convenuti U. R. e Banca Fideuram S.p.a. devono essere condannati, in solido tra loro, a versare all’odierno attore la somma complessiva di €177.772,10. A tale importo deve poi essere aggiunto quello concernente la liquidazione del danno non patrimoniale subito dal sig. G. P. in conseguenza della condotta illecita del sig. R., danno la cui spettanza discende dal combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 2059 c.c., stante la natura di illecito penale del fatto, in base al disposto degli artt. 185 c.p. e 2059 c.c. In considerazione dell’assenza di criteri certi di liquidazione di tale voce di danno (ed osservando come non vi siano in atti elementi di supporto per ritenere configurabile un danno biologico in senso stretto) ritiene questo Tribunale di accedere ad una valutazione equtitativa dello stesso che, alla stregua dei dati di rilievo della vicenda (entità delle somme sottratte, natura fiduciaria del rapporto, frustrazione delle aspettative di rendimento connaturate alla tipologia del rapporto stesso), si ritiene di determinare nella complessiva somma di € 10.000,00 (liquidata omnicomprensivamente al valore attuale della moneta). L’importo complessivamente dovuto all’odierno attore, quindi, risulta pari ad € 187.772,10. Su tale importo dovranno poi essere computati gli interessi al tasso legale dalla domanda al saldo effettivo, osservando come nel caso di specie non possa invece ritenersi spettante all’attore la rivalutazione monetaria, trattandosi in effetti di debito che risulta costituito ab origine da una somma di denaro (oggetto di sottrazione) e non da un “valore” necessitante una liquidazione giudiziale, sì che non vi è margine per derogare al principio nominalistico (mentre il danno non patrimoniale, come detto, è stato liquidato al valore attuale della moneta).
6) Per quanto poi concerne l’eccezione di parte convenuta inerente la configurabilità, nel caso di specie, di un addebito ex art. 1227 c.c. a carico del sig. G. P., occorre in primo luogo rilevare come la condotta posta in essere dal R. appaia astrattamente riconducibile alla fattispecie prevista e punita dall’art. 640 c.p. ovvero, alternativamente, a quella contemplata dall’art. 646 c.p.. Deve, peraltro, escludersi che nelle modalità con cui il sig. G. P. ha versato il denaro al R. (modalità che, oggettivamente, hanno agevolato la condotta criminosa del R. stesso) possa ravvisarsi un concorso colposo del danneggiato nella determinazione del danno. Indubbiamente, il gioielliere che lascia inavvertitamente aperta la cassaforte, il viaggiatore che lascia incustodita la propria valigia nello scompartimento del treno, la persona anziana che conserva i propri risparmi in casa anziché depositarli in Banca o alla Posta, pongono in essere dei comportamenti che possono occasionare, agevolare o rendere più fruttuosa l’azione di un ladro; e sicuramente una tale mancanza di cautela sarà, per il derubato, fonte di rammarico e di rimprovero verso sé stesso. Tuttavia, a fronte del comportamento doloso del ladro la condotta del derubato degrada a mero elemento del quadro storico nel quale si inserisce e si compie l’attività criminosa dell’autore del furto. Il reato è sempre un fatto eccezionale e solo un singolare concorso di circostanze può far sì che l’imprudenza del gioielliere, del viaggiatore o della persona anziana occasioni o agevoli l’iniziativa di un ladro. La Corte di Cassazione è del resto costante nel ritenere che “In tema di responsabilità per fatto illecito doloso, la norma dell’art. 1227 cod. civ. (richiamata dall’art. 2056, primo comma, stesso codice) - concernente la diminuzione della misura del risarcimento in caso di concorso del fatto colposo del danneggiato - non è applicabile nell’ipotesi di provocazione da parte della persona offesa del reato, in quanto la determinazione dell’autore del delitto, di tenere la condotta da cui deriva l’evento di danno che colpisce la persona offesa, va considerata causa autonoma di tale danno, non potendo ritenersi che la consecuzione del delitto al fatto della provocazione esprima una connessione rispondente ad un principio di regolarità causale” (Cass. 20137/2005; Cass. 9209/1995). E se ciò è vero quando la condotta della persona offesa assume il carattere della provocazione, a maggior ragione il principio indicato deve trovare applicazione nel caso in esame dove alla condotta della persona offesa può, se mai, essere rimproverata una mancanza di cautela. La fondatezza di tale principio trova inequivocabile riscontro nell’assurdità delle conseguenze cui condurrebbe, nel caso che qui occupa, l’opposto principio che ravvisa nell’imprudenza della vittima del reato un concorso di colpa rilevante a sensi dell’art. 1227 cod. civ.. Nel caso di specie, in particolare, una condotta criminosa che il codice penale punisce più severamente in quanto posta in essere con abuso di prestazione d’opera non solo comporterebbe un’attenuazione della responsabilità dell’autore del reato per i danni causati alla vittima ma finirebbe per essere considerata titolo (originario?) per la definitiva acquisizione da parte del reo di una parte delle somme illecitamente sottratte al proprio cliente. Applicando lo stesso principio, il ladro che, approfittando di una distrazione del gioielliere, sottraesse dalla cassaforte lasciata imprudentemente incustodita dei preziosi, avrebbe titolo, per effetto dell’imprudenza commessa dal gioielliere, per acquisire definitivamente la proprietà di una parte del maltolto. Ora, il disposto di cui al terzo comma dell’art. 31 TUF va ricondotto - come già osservato - nell’alveo dell’art. 2049 cod. civ. e, come questo, configura a carico del preponente una responsabilità nei confronti del danneggiato che non presenta tratti autonomi e peculiari rispetto a quella dell’autore del danno ma che con questa coincide in base alle regole che disciplinano le obbligazioni solidali (Cass. 4009/1977). Nei confronti del danneggiato, pertanto, la responsabilità della società di intermediazione finanziaria per i danni cagionati dal promotore di cui essa si avvale non può essere maggiore o minore di quella addebitata al promotore ma ha la stessa estensione di questa. In questo senso, dunque, non può configurarsi neppure nei confronti della società di intermediazione un’attenuazione (tanto meno un’elisione) dell’obbligo risarcitorio ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1227 c.c.
7) In relazione infine alla domanda di manleva avanzata da parte convenuta Banca Fideuram S.p.a. nei confronti del convenuto contumace U. R. , deve rilevarsi come tale domanda si presenti meritevole di accoglimento. La condotta illecita tenuta dal sig. R. comporta per quest’ultimo, nei rapporti interni con la banca odierna convenuta, l’obbligo di tenere indenne la banca medesima in relazione alle somme che quest’ultima risulta tenuta a versare, in via solidale con il predetto R., all’odierno attore. Non sussistono in effetti, nei rapporti interni predetti, elementi specifici idonei a suffragare un giudizio di ripartizione delle responsabilità tra i predetti debitori solidali, risultando configurabile esclusivamente una responsabilità del sig. R. per la sottrazione delle somme già in precedenza descritte.
8) In base al principio della soccombenza le spese di lite sostenute da parte attrice, comprensive di spese di CTU, devono essere poste a carico dei convenuti, in solido tra loro, secondo la liquidazione operata in dispositivo; il convenuto contumace U. R. , poi, deve essere condannato a rifondere a parte convenuta Fideuram le spese di lite sostenute da quest’ultima.


P.Q.M.


omissis

venerdì 3 dicembre 2010

«Quanto si è ripreso sui bond argentini» - Prof. Beppe Scienza

Di recente ci è stato chiesto quale è il valore ottenuto per chi ha aderito al concambio 2010 dei bond Argentina.
Di seguito vi proponiamo un contributo del Prof. Beppe Scienza con il quale viene fatta chiarezza sul punto.

Ringraziamo il Prof. Scienza per l'autorizzazione all'utilizzo del suo contributo.

tratto da La Repubblica, 22-11-2010, Affari & Finanza, p. 23
Cinque anni fa l’offerta dell’Argentina ai suoi sventurati obbligazionisti, travolto dal crac del dicembre 2001, fu bollata come indecente, vergognosa ecc. e comunque inaccettabile. Quest’anno ha proposto ancor meno e quasi nessuno ha fiatato.

La riapertura dell’offerta pubblica di scambio (ops) di Buenos Aires è stata una ciambella di salvataggio lanciata soprattutto ai risparmiatori italiani. Solo in Italia così tanti non aderirono nel 2005, vittime del tiro mancino giocatogli da chi si atteggiava a loro paladino. Se oltre 200 mila rimasero col cerino acceso in mano è perché Federconsumatori, Codacons, Adiconsum ecc. si premuravano di “sconsigliare ai risparmiatori di aderire ad un’offerta capestro” e Altroconsumo addirittura derideva chi, come il sottoscritto, spiegava quanto fosse autolesionista un rifiuto.

Ma questa volta anche i sassi avevano capito che le possibilità di vincere cause o arbitrati contro la repubblica sudamericana sono praticamente nulle. Così molti hanno pensato che convenisse salire sull’ultimo treno e hanno consegnato le loro vecchie obbligazioni in cambio di un pacchetto di titoli e qualche soldo. Recentemente è tutto arrivato sui depositi titoli e sui conti, a volte prima a volte dopo, a seconda dell’intermediario.

Capire quanto è stato effettivamente recuperato non è immediato e varia leggermente da titolo a titolo. Nel caso in particolare dei piccoli risparmiatori, bisogna sommare cinque voci (vedi tabellina), arrivando così a circa 54 euro per ogni 100 di valore nominale delle obbligazioni originarie. È più di quanto ci si aspettava al momento dell’offerta, perché i titoli argentini sono complessivamente saliti. È però comunque meno rispetto a quanti, in barba ai tanti cattivi consigli, aderirono già nel 2005. Costoro hanno ottenuto 6,7 euro aggiuntivi grazie ai pagamenti dello strano titolo Argentina Pil 2035, con un recupero complessivo intorno ai 61 euro.

A proposito di una seconda chance, sarebbe carino se l’offrisse anche il Tesoro italiano per i rimborsi delle obbligazioni Alitalia, ormai in dirittura d’arrivo. Le poche mancate adesioni non sono neppure da attribuire a intenzioni bellicose (e velleitarie) nei confronti dello stato italiano, come per l’Argentina, ma solo a dimenticanza o a obiettive difficoltà per un’offerta che scadeva (l’anno scorso) fa proprio alla fine agosto.

Di seguito la tabella per comprendere il livello di perdita per chi ha accettato il concambio



lunedì 22 novembre 2010

Il concambio Argentina 2010 e gli strani ritardi nel rimborso

La notizia arriva dal supplemento del Sole24Ore, Plus24, di sabato 20 novembre 2010, ma già da tempo nei vari forum si era levata una lenta, ma continua, protesta per il ritardo dimostrato  da alcuni grossi gruppi bancari nazionali nelle operazioni di concambio dei vecchi titoli Argentina con le nuove obbligazioni, o con le relative somme di denaro concesse ai possessori dei tango bond.
Abbiamo già affrontato in questo blog l'offerta di concambio 2010 avanzata dal Governo Argentino, evidenziando che questa strada avrebbe portato il risparmiatore ad una perdita ingente delle somme investite. Questa strada aveva, ed ha tuttora, il pregio di dare certezza nel rientro, seppur parziale, delle somme investite prima del 2001.
A quanto pare, però, molti risparmiatori si trovano a dover ancora attendere il concambio 2010 a causa di alcuni "strani" ritardi da parte delle banche, le quali giustificano l'ennesimo disservizio con semplici questioni tecniche.
Riteniamo evidente che ancora una volta molti istituti di credito hanno perduto l'occasione per dimostrare la loro professionalità e la volontà di assistere realmente la clientela che già ha dovuto attendere così tanto tempo per ottenere una piccola parte dei soldi "bruciati" con i tango bond.
Consob e Bankitalia dovrebbero, a nostro parere, intervenire ed accertare le ragioni di questi strani ritardi. 

domenica 31 ottobre 2010

Secondo la Cassazione anche l'emittente di un prodotto finanziario è responsabile del danno subito dal risparmiatore

La sentenza della Suprema Corte non è recentissima, ma riteniamo utile proporla in quanto stabilisce che il soggetto emittente di prodotti finanziari, in particolar modo fondi comuni di investimento, è tenuto a controllare l'attività svolta dagli intermediari che sollecitano l'investimento presso la propria clientela.

Il settore del risparmio gestito ha scontato negli ultimi anni grosse perdite ed il malcontento dei risparmiatori, i quali non hanno tratto alcun giovamento da questo tipo di operazioni finanziarie.

In molti casi, l'investitore si è rivolto al soggetto emittente il prodotto lamentando di non essere stato adeguatamente informato sulle caratteristiche del prodotto venduto.

Quest'ultimo declinava qualsiasi responsabilità per le negative performance segnate dallo strumento finanziario ed invitava il consumatore a rivolgersi, eventualmente, alla sua banca per contestazioni in merito all'informativa.

La Cassazione ha stabilito che anche il soggetto emittente può, a seconda dei casi, essere responsabile per i danni subiti dal cliente per l'esito negativo del prodotto finanziario.


Corte di Cassazione Sez. III Civile, 5 giugno 2009, n. 12994 – Pres. Vittoria – Rel. Lanzillo.

omissis


Fatto

- Il giorno 12.11.2008 è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ.:

"1.- Con atto notificato il 15.4.1992 C.G. e P.S. hanno convenuto davanti al Tribunale di Messina la s.p.a. Interbancaria Nazionale di Gestione (d'ora in avanti, I.N. GESTIONE), per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a causa del comportamento illecito di un agente della società.

Esponevano che nel 1989, avendo deciso di investire i propri risparmi nei fondi gestiti dalla società convenuta, avevano consegnato a B.R.M., responsabile dell'Agenzia di Messina dell'Interbancaria, due assegni per complessive L. 12.300.000, ricevendo successivamente lettere 4.4.1989 e 25.7.1989 di conferma dell'investimento, su carta intestata della società convenuta.

Nell'ottobre del 1990, avendo chiesto il rimborso dell'investimento e degli interessi maturati, nulla avevano potuto ottenere, in quanto il B. si era indebitamente appropriato del loro denaro, come di quello di altri clienti, per il che ha successivamente riportato condanna in sede penale.

Avendo essi chiesto il risarcimento dei danni alla convenuta, questa li aveva invitati a rivolgersi alla s.p.a. Interbancaria Nazionale Investimenti (d'ora in avanti, I.N.INVESTIMENTI) che aveva conferito al B. l'incarico di agente. Quest'ultima non aveva dato alcun seguito alle loro richieste e pertanto essi hanno citato in giudizio la società titolare della gestione del fondo.

2.- La I.N.GESTIONE si è costituita, contestando la sua legittimazione passiva, in quanto la distribuzione delle quote del fondo da essa gestito era affidata ad altra società, cioè alla suddetta I.N.INVESTIMENTI, per la quale lavorava come agente il B.; che pertanto ogni responsabilità per gli illeciti di quest'ultimo era da ascrivere a questa seconda società.

3.- Gli attori hanno chiesto di essere autorizzati a chiamare in causa la I.N. INVESTIMENTI, ma il Tribunale non si è pronunciato sull'istanza e - con sentenza n. 2157 del 2002 - ha condannato la società convenuta alla restituzione della somma versata dagli attori, con la rivalutazione monetaria e gli interessi, nonchè al risarcimento dei danni, equitativamente liquidati in L. 2.500.000, oltre al rimborso delle spese processuali.

4.- Su appello della società soccombente, a cui hanno resistito i danneggiati, con sentenza 26 marzo-29 maggio 2007 la Corte di appello di Messina, in riforma della sentenza impugnata, ha respinto le domande di risarcimento dei danni, per difetto di legittimazione attiva della I.N.Gestione.

Ha rilevato la Corte di appello che l'appellante ha documentato di essere società separata e diversa dalla consociata I.N.Investimenti, alla quale era affidato il collocamento dei fondi da essa gestiti, e che il B.R. era agente provinciale di questa seconda società, la quale ultima, quindi, è tenuta rispondere dell'illecita appropriazione dei denari dei clienti. Ha condannato gli appellati a restituire le somme ricevute in esecuzione della sentenza di primo grado ed a pagare la metà delle spese dei due gradi di giudizio, compensando la metà rimanente.

5.- Con atto notificato il 13.12.2007 i coniugi C.- P. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza, affidandone l'accoglimento ad un solo motivo. Resiste con controricorso la I.N. Gestione (oggi BNL Gestioni Società di gestione del risparmio p.a.).

6.- Con l'unico motivo - deducendo violazione di norme di diritto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti assumono che la società resistente è da ritenere responsabile ai sensi della L. 4 giugno 1985, n. 281, art. 15, comma 4, e dell'art. 7 n. 7 del Regolamento Consob 10 luglio 1985 n. 727, norme che entrambe subordinano il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio di attività di sollecitazione del pubblico risparmio alla presentazione di garanzie relative al risarcimento dei danni arrecati a terzi da coloro che a qualunque titolo operino nel loro interesse, nonchè all'impegno di risarcire tali danni. La stessa responsabilità va desunta dall'art. 2049 cod. civ. e dalla L. 2 gennaio 1991, n. 1.

Rilevano che agli effetti della responsabilità non occorre un rapporto di subordinazione fra la società e l'ausiliario che abbia arrecato il danno, essendo sufficiente la mera collaborazione e, quanto al nesso causale, un rapporto di occasionalità necessaria fra il danno arrecato a terzi e l'incombenza disimpegnata per il contraente. La società resistente è da ritenere responsabile poichè essa stessa gestiva i fondi di cui era stato affidato al B. il collocamento nella provincia di Messina. Si tratterebbe pertanto di un rapporto di commissione, idoneo a far sorgere la responsabilità del soggetto che ha conferito l'incarico. Il motivo di ricorso si conclude con il seguente quesito: "Dica la Corte di cassazione se nel caso in esame vi sia stata, da parte della Corte di appello di Messina, violazione di legge per la mancata applicazione dell'art. 2049 cod. civ., essendosi di fatto instaurato un rapporto di commissione ex art. 1188 cod. civ., idoneo a far sorgere la responsabilità del soggetto che ha dato l'incarico, per il fatto illecito compiuto dall'incaricato".

7.- Il ricorso è inammissibile.

7.1.- La formulazione del quesito non è in termini, così come non appaiono rilevanti le censure sollevate con il motivo di ricorso. A parte l'erroneo richiamo dell'art. 1188 cod. civ., che nulla ha a che fare con il contratto di commissione e con la responsabilità del mandante, la questione rilevante ai fini del decidere non consiste nello stabilire se l'ausiliario, del cui comportamento il contraente deve rispondere ai sensi dell'art. 1228 cod. civ., possa essere anche un collaboratore non dipendente, ed in particolare un commissionario.

Si tratta invece di stabilire se l'agente che ha commesso l'illecito sia da considerare ausiliario della IN Gestioni, come assume la ricorrente, o ausiliario della IN Investimenti, come ha ritenuto la Corte di appello, negando la legittimazione passiva della prima società, ed in base a quali principi di diritto la decisione impugnata sarebbe da ritenere errata.

La Corte di appello ha accertato in fatto - con valutazione di merito, non suscettibile di riesame in questa sede, e comunque non contestata - che il B. ha ricevuto l'incarico di agente dalla s.p.a. IN Investimenti, società diversa ed autonoma rispetto alla s.p.a. IN Gestioni, pur se appartenente al medesimo gruppo. Ha perciò ritenuto che del comportamento del B. debba rispondere solo la IN Investimenti.

1 ricorrenti avrebbero dovuto specificare a che titolo ed in base a quale principio di diritto l'illecito comportamento del B. sarebbe imputabile non solo alla società che si è direttamente avvalsa della collaborazione di lui, ma anche alla IN Gestioni.

Le leggi speciali richiamate dai ricorrenti (L. 4 giugno 1985, n. 281; Regolamento Consob 10 luglio 1985 n. 727; L. 2 gennaio 1991, n. 1) riguardano in genere obblighi e responsabilità delle società di intermediazione mobiliare, ivi incluse quelle che si occupano solo del collocamento dei valori mobiliari, qual'è la IN Investimenti.

Non sono quindi significative in ordine al problema di stabilire quale delle due società sia da ritenere responsabile del comportamento del B., nel caso di specie.

L'attività di collocamento dei fondi si potrebbe certamente presentare come ausiliaria delle attività di emissione e di gestione (per esempio ove la società di collocamento agisca quale mandataria delle società di emissione e di gestione e non in proprio), si che si potrebbe configurare una responsabilità di queste ultime per il comportamento della prima, ai sensi dell'art. 1228 cod. civ..

Ma, per l'appunto, ausiliaria sarebbe da considerare la società, prima ancora che il singolo dipendente di cui essa si sia avvalsa e che abbia commesso l'illecito (diversamente da quanto prospettato dai ricorrenti), e dovrebbero essere dedotti e dimostrati i presupposti di fatto di una tale qualificazione giuridica (che la società di gestione abbia agito come mandataria e non in proprio, ecc.). Ciò non risulta in alcun modo non solo dalla formulazione del quesito - il che sarebbe di per sè sufficiente a comportare l'inammissibilità del ricorso ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ. (cfr. Cass. civ. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36; Cass. civ., S.U. 8 maggio 2008 n. 11210; Cass. civ., Sez. 3, 9 maggio 2008 n. 11353) - ma neppure dall'illustrazione del motivo, che trascura l'accertamento in fatto della Corte di appello e formula le censure come se il B. avesse ricevuto l'incarico (ancorchè di mera collaborazione) direttamente dalla società resistente, senza peraltro contestare il relativo accertamento in fatto, contenuto nella sentenza impugnata.

Il motivo di ricorso, ed il quesito in cui esso si riassume, risultano quindi inidonei a giustificare la cassazione della sentenza impugnata.

8.- Il ricorso si presta ad essere avviato alla trattazione in camera di consiglio per essere dichiarato inammissibile." La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti.

- Il Pubblico Ministero non ha presentato conclusioni scritte.

Inizio documento


Diritto


1.- Il Collegio, all'esito dell'esame del ricorso e del controricorso, ritiene che erroneamente la Corte di appello abbia escluso la legittimazione passiva della I.N. Gestione, quale responsabile dei danni subiti dai ricorrenti.

2.- Questi hanno dedotto che il B.R., responsabile dell'appropriazione indebita del denaro dei clienti, era il diretto responsabile dell'Agenzia di Messina della resistente, alla quale questa aveva affidato il collocamento dei fondi da essa gestiti, e la circostanza non risulta contestata.

L'agenzia, pur se costituita in forma di società per azioni, ebbe ad agire quale mandataria ed ausiliaria della resistente, ai fini della distribuzione delle quote del fondo.

Tanto è vero che il contratto sottoscritto dai ricorrenti è stato redatto su moduli forniti dalla stessa IN-Gestione e che quest'ultima ebbe a confermare direttamente agli investitori l'avvenuta sottoscrizione delle quote, con lettere 4.4.1989 e 25.7.1989 redatte su propria carta intestata e inviate dalla propria sede in Milano, manifestando così di essere essa stessa la parte contraente.

3.- A fronte di tali elementi di fatto - che non appaiono contestati - la sentenza impugnata non avrebbe potuto escludere, senza motivazione alcuna, la corresponsabilità della IN-Gestione per l'operato della sua mandataria, IN-investimenti, come ha più volte deciso questa Corte, in materia di responsabilità della società mandante per i danni arrecati dagli agenti di assicurazione nell'esercizio delle incombenze loro affidate, quando l'agente si sia avvalso della sua qualità per consumare l'illecito, e la sua attività sia apparsa al terzo in buona fede verosimilmente rientrante nei limiti del mandato (Cass. Civ. Sez. 3^, 27 giugno 1984 n. 3776; Cass. Civ. Sez. 3^, 19 dicembre 1995 n. 12945; Cass. Civ. Sez. 3^, 3 aprile 2000 n. 4005).

La circostanza che l'agente operi in forma di società per azioni non vale ad escludere che, con la responsabilità diretta della società agente per l'operato dei suoi dipendenti - ben messa in luce dalla resistente nelle sue difese - possa concorrere la responsabilità della mandante e diretta interessata al collocamento, in base ai principi generali di cui agli artt. 1228 e 2049 cod. civ., circa la responsabilità del contraente per gli inadempimenti dei suoi ausiliari, qual è da considerare l'agente di vendita (sia esso individuo o società) ed i soggetti del cui comportamento l'agente è tenuto a rispondere.

Ove poi la mandante sia una società di gestione di titoli di investimento, come nel caso di specie, non si può consentire che essa si sottragga alle rigorose norme in tema di responsabilità delle società finanziarie nei confronti degli investitori per il solo fatto che i soggetti a cui abbia affidato la distribuzione delle quote del fondo operino in forma societaria (tanto più quando la società affidataria appartenga al suo medesimo gruppo).

Solo nei rapporti interni fra mandante e mandataria si potrà discutere di quale sia il soggetto effettivamente e direttamente responsabile dell'illecito.

4. - In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Catania, la quale deciderà la vertenza uniformandosi ai seguenti principi di diritto:

"In virtù dei principi contenuti negli artt. 1228 e 2049 cod. civ., la società di gestione di fondi di investimento è tenuta a rispondere nei confronti dei terzi in buona fede dei danni loro arrecati dall'illecito comportamento della società mandataria a cui sia stata affidata la distribuzione delle quote del fondo.

La mandante risponde nei confronti dei terzi anche degli illeciti commessi dai dipendenti o dagli ausiliari della mandataria, restando relegata ai rapporti interni la ripartizione delle responsabilità fra mandante e mandataria".




P.Q.M



La Corte di Cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Catania, che deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 gennaio 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2009

lunedì 14 giugno 2010

Tribunale di Trento: nullo il rapporto di gestione del cliente in assenza di contratto quadro

Una recente sentenza del Tribunale di Trento ha confermato la nullità del rapporto di gestione surrettizia del patrimonio del cliente operata in assenza di valido contratto quadro.

La vicenda riguarda un risparmiatore trentino il quale aveva affidato il propri risparmi per anni ad un promotore finanziario di un importante gruppo bancario.

Questi aveva pensato bene di gestire i denari dell'investitore pur non disponendo di apposito mandato conferito da quest'ultimo.

Il risparmiatore, verificate le numerose perdite derivanti dalla gestione impropria da parte del promotore finanziario, si era rivolto al Giudice per richiedere la restituzione del proprio capitale.

Il Tribunale ha accolto le richieste dell'investitore e, considerato il rapporto di gestione nullo in quanto privo di contratto, ha condannato la banca alla restituzione del capitale in favore del cliente.

Il Giudice trentino, infatti, ha giustamente individuato un rapporto unico tra banca e promotore, tale da far considerare la banca come soggetto responsabile per il fatto illecito del private banker.


Di seguito vi proponiamo la sentenza



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TRENTO
SEZIONE CIVILE

riunito in camera di consiglio nelle persone dei signori Magistrati:
dott. Sabino Giarrusso - Presidente -
dott. Aldo Giuliani - Giudice rel. -
dott. Giulio Adilardi - Giudice -
ha pronunciato la seguente



SENTENZA


Nella causa iscritta al n. 1321 del ruolo generale degli affari civili contenziosi dell'anno 2005, promossa da
Gi. S.r.l.
rappresentati e difesi dall'avv. Lu.Ar. ed elett. dom.ti presso il di lei studio in 38100 Trento, via (omissis)
Attori
Contro
Ba.Po. soc. coop.
(già Ba.Po. s.c. a r.l.)
rappresentata e difesa dagli avv.ti Gi.Bi. e Ma.Am. ed elett. dom.ta presso lo studio del secondo in 38100 Trento, via (omissis)
Convenuta
con la chiamata in causa di
Ma.St.
rappresentato e difeso dall'avv. Ca.Ch. ed elett. dom.to presso il di lui studio in 38100 Trento, via (omissis)
Chiamato



Svolgimento del processo e motivi della decisione




Gli attori hanno proposto in via principale domanda diretta all'accertamento della nullità dei contratti intercorsi con la banca convenuta.
In particolare, essi attori sostengono che alla base delle operazioni registrate sui conti correnti nn. 38824 e 34676, accesi presso la Ba.Po. (Bp.), rispettivamente, dal Gi. e dalla Is., e sui collegati depositi titoli nn. 41265 e 18587 vi fosse un rapporto derivante da un contratto di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi, nell'accezione di cui all'art. 1, comma 5, lett. d), D.Lgs. 24/02/1998, n. 58, recante "Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52" (di seguito: TUF), privo della forma scritta prevista a pena di nullità dai successivi artt. 23 e 24 (il riferimento normativo deve intendersi operato, in questo come nei successivi casi, al testo previgente del TUF, applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis).
La convenuta, pur prospettando che nel caso concreto il servizio di investimento era effettivamente così qualificabile, sostiene che il rapporto ebbe natura personale e diretta con il suo (ex) dipendente St.Ma., responsabile dell'Area Finanza della banca, al quale gli attori avrebbero conferito, su base fiduciaria, l'incarico di investire in strumenti finanziari i rispettivi patrimoni affidatogli.
Il Tribunale ritiene che il rapporto contrattuale debba qualificarsi giuridicamente nei sensi di cui sopra in relazione all'attore Gi., specie considerando che non vi è alcun riscontro agli atti degli ordini che l'investitore avrebbe dovuto necessariamente impartire per ogni singola operazione.
E' vero che, per mancanza di documentazione sufficiente a ricostruire completamente le movimentazioni in denaro e titoli dei predetti conti, il c.t.u. Prof. Pa.Co. non è stato posto in grado di rispondere a tutti i quesiti posti dal Tribunale (vedi la relazione depositata in data 09/09/2008, spec. pag. 3), ma almeno per quanto riguarda Gi. è stato possibile accertare che egli ha effettuato sul conto corrente (che è stato utilizzato solo per investimenti in titoli: c.t.u., pag. 12) versamenti per complessivi Euro 339.053,95 (c.t.u., pag. 6), impiegati in assoluta prevalenza per investimenti in titoli azionari negoziati sul mercato italiano (c.t.u., pag. 14), senza che, come si è detto, vi sia riscontro dei singoli ordini, onde deve ritenersi che si sia trattato di investimenti compiuti discrezionalmente da Ma. utilizzando la consistente provvista messa a disposizione del cliente.
Le caratteristiche assunte dalla prestazione non lasciano dubbi sull'esistenza di una gestione patrimoniale su base individuale, che consiste essenzialmente nell'affidamento di un portafoglio dal cliente ad un intermediario per l'investimento in strumenti finanziari, senza necessità che l'investitore, volta per volta, impartisca ordini o rilasci autorizzazioni per il compimento delle operazioni, ancorché tali facoltà, poteri e restrizioni possano essere a lui riconosciuti.
Va di conseguenza escluso che il rapporto, così come concretamente atteggiatosi, avesse ad oggetto la negoziazione per conto terzi ovvero la ricezione e trasmissione di ordini su strumenti finanziari, che, ai sensi dell'art. 1, comma 5, lettere b) ed e), TUF, costituiscono diversi servizi di investimento, mediante i quali l'intermediario si obbliga ad eseguire gli ordini impartiti dal cliente ovvero a riceverli ed a trasmetterli ad altri intermediari autorizzati alla negoziazione o al collocamento (si vedano sul punto gli artt. 32 e 33 del Regolamento di attuazione del D.Lgs. 58/1998, adottato dalla Consob con delibera n. 11522 del 01/07/1998, e succ. modd., anch'esso applicabile alla fattispecie ratione temporis; di seguito: reg. Consob).
Dev'essere a questo punto rilevato che non vi è alcuna prova del rispetto del requisito della forma scritta ad substantiam del contratto - quadro di gestione intercorso tra le parti.
Non solo, ma ex actis non si rinviene tale prova neppure con riferimento al diverso tipo contrattuale riguardante la negoziazione per conto terzi ovvero la ricezione e trasmissione di ordini su strumenti finanziari, pertanto la nullità andrebbe dichiarata comunque. Peraltro, anche ammettendone in astratto la conclusione per iscritto, il documento non sarebbe rappresentativo di un contratto di gestione di portafogli di investimento su base individuale, il quale, per poter essere qualificato come tale, deve contenere in forma necessariamente scritta, oltre alle indicazioni desumibili dall'art. 24, TUF, anche quelle aggiuntive stabilite dall'art. 37, reg. Consob (ad es., tra le più significative: l'indicazione delle caratteristiche della gestione e l'indicazione se l'intermediario è autorizzato a far uso della leva finanziaria e in che misura).
Dev'essere ora esaminata la posizione della convenuta secondo cui il rapporto de quo agitur, come sopra qualificato, insorse con St.Ma. in proprio e non con la Bp., di cui il primo era dipendente con le funzioni come detto - di responsabile dell'Area Finanza.
Questa tesi, ancorché sostenuta con generoso sforzo difensivo, non è tuttavia condivisibile.
Essa si basa essenzialmente sulla natura fiduciaria del rapporto tra l'attore e St.Ma., desumibile dalle modalità di esecuzione dell'incarico, improntate alla massima fiducia nel funzionario, tanto che i periodici rendiconti inviati dalla banca, nei quali erano registrate le varie operazioni, non furono mai oggetto di contestazione.
Anche ammettendo che nella specie la fiducia nelle (ritenute) doti di abilità e competenza di Ma. nel settore finanziario abbia avuto un ruolo determinante nella scelta dell'investitore, tanto da mettere in secondo piano le procedure dirette alla protezione degli interessi del cliente, fino alla loro completa obliterazione, questo non vale ad escludere l'instaurazione del rapporto con la banca, ovvero, in altri termini, ad escludere lo svolgimento da parte di quest'ultima del servizio di investimento in oggetto, a mezzo del proprio funzionario a ciò deputato.
Non solo Ma. operava nell'esercizio delle sue mansioni nei locali della Bp., avvalendosi dei mezzi di questa, ma nei rapporti con l'attore era manifesto che il servizio d'investimento era prestato da tale banca, come si desume dai rendiconti ove erano indicate le singole operazioni, ancorché con le generiche denominazioni che lo stesso c.t.u. ha evidenziato al fine di sottolineare l'impossibilità di ricostruirne completamente l'andamento: non si trattava dunque di (abusiva) intermediazione finanziaria, esercitata in proprio in occasione delle mansioni lavorative cui Ma. era addetto, ma di un'attività imputabile alla banca, mediante un suo dipendente dotato di una posizione di preminenza e di particolare autonomia nel settore, nonché di una singolare libertà d'azione all'interno dell'azienda.
In questo quadro, la fiducia nutrita in Ma. dall'attore si traduceva nella fiducia nella banca ove egli operava quale esperto del campo finanziario, ridondando quindi a vantaggio dell'intermediario istituzionale, nella misura in cui questi si avvaleva di funzionari (almeno in apparenza) competenti ed efficienti.
Per altro verso, non è verosimile che l'attore, confidando nelle capacità di Ma., gli abbia personalmente affidato un patrimonio non certo irrisorio ai fini di investimento senza voler instaurare alcun rapporto con la banca sua datrice di lavoro, quando lo stesso risultato (cioè a dire una gestione del portafoglio concretamente curata da Ma., quale funzionario addetto) era in pratica perseguibile mediante il conferimento dell'incarico a quest'ultima, con le conseguenti maggiori garanzie sul piano organizzativo e patrimoniale.
La convenuta, nella memoria conclusionale (pag. 14 ss.), deduce altresì che il rapporto contrattuale intercorso tra Gi. e Ma. non è comunque ad essa imputabile, per avere il secondo agito senza poteri rappresentativi (recte: esorbitando dai limitati poteri rappresentativi attribuitigli quale responsabile dell'Area Finanza): a prescindere dal difetto di prova dell'assunto, si tratta di un'inammissibile contestazione tardiva, che implica la ben diversa prospettazione della conclusione del contratto di gestione patrimoniale in nome e per conto della banca, ancorché da parte di un falsus procurator.
Va dunque accolta la domanda principale diretta alla declaratoria di nullità, per mancanza di forma scritta, del contratto tra l'attore Gi.Fr. e la convenuta, relativo alla prestazione del servizio di investimento, previa sua qualificazione come contratto di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi, secondo l'accezione sopra indicata.
Da questo accertamento, in base alla regola quod est nullum nullum producit effectum, conseguono le obbligazioni restitutorie desumibili dai principi propri della ripetizione d'indebito oggettivo (art. 2033 c.c.), pertanto l'attore ha diritto alla restituzione delle somme affidate in gestione patrimoniale alla banca (vedi supra), detratto l'importo di quanto via via prelevato (Euro 206.738,46), pari ad un saldo attivo di Euro 132.315,50 (vedi c.t.u., pag. 6).
Non spetta invece la restituzione delle somme che, secondo l'opponente, furono ingiustificatamente addebitate sul conto corrente a titolo di spese, commissioni ed imposte relative alle operazioni di investimento compiute nel corso del rapporto, poiché la ripetizione delle somme investite (i.e. conferite alla banca per la gestione mediante i versamenti nel conto corrente tramite assegni circolari, bonifici e giroconti) assorbe ogni aspetto dell'indebito, ristabilendo la situazione anteriore all'invalida instaurazione del rapporto: concludendo diversamente, l'attore conseguirebbe sine causa gli importi in esame, oltre a quanto da lui versato, con indebita locupletazione.
Va a questo punto precisato che con il ripristino della situazione anteriore alla conclusione del contratto nullo avente ad oggetto la prestazione del servizio di gestione patrimoniale e con la restituzione da parte della banca di quanto ricevuto per la gestione, con detrazione di quanto già prelevato, è definito ogni rapporto tra le parti in relazione alle poste registrate nel conto corrente di corrispondenza.
In particolare, non rilevano sul piano restitutorio eventuali plusvalenze (così come eventuali minusvalenze) che i titoli abbiano generato, ovvero l'accredito di dividendi, cedole e premi, inerendo ciò ai risultati della gestione, che rimangono comunque imputati alla banca: al contrario, come già detto, l'effetto restitutorio conseguente alla dichiarata nullità del contratto di gestione deve limitarsi, per l'investitore, alla restituzione degli strumenti finanziari ancora in deposito presso la banca, nei quali è stato investito il patrimonio conferito, e per la banca alla restituzione di quanto ricevuto per l'investimento, detratto quanto già prelevato dall'investitore, sopportando (od eventualmente lucrando) la seconda i risultati della gestione.
L'accoglimento della domanda di nullità non consente l'esame della domanda di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale (comprensiva anche della violazione degli obblighi di informazione e trasparenza previsti dal TUF e dal relativo regolamento d'attuazione), che presuppone, ovviamente, la conclusione di un valido contratto.
Circa la dedotta responsabilità extracontrattuale, si osserva che la violazione dell'obbligo di correttezza e buona fede da parte della banca, a mezzo del suo dipendente, potrebbe venire in rilievo ai sensi del combinato disposto degli artt. 2049 (che imputa al datore di lavoro l'illecito compiuto dal dipendente) e 1338 c.c. (la responsabilità precontrattuale configura, com'è noto, una species della responsabilità aquiliana), ciò che tuttavia presuppone l'incolpevole affidamento dell'altra parte nella validità del contratto, non ravvisabile allorché la causa della nullità risieda nella mancanza della forma scritta del negozio, stabilita da una norma legislativa della quale deve presumersi la conoscenza.
Quanto alla richiesta di risarcimento del danno morale, si osserva che la relativa pretesa risulta tardivamente avanzata solo nella memoria conclusionale e che in ogni caso manca la dimostrazione dell'illecito penale nei confronti dell'attore (e non nei confronti della banca sua ex datrice di lavoro), di cui la convenuta dovrebbe rispondere ex artt. 2049, 2059 c.c. e 185 c.p.
L'assenza di condanne risarcitorie assorbe altresì l'eccezione fondata sul concorso del fatto colposo del danneggiato, ex art. 1227 c.c.
In conclusione, la convenuta dev'essere condannata al pagamento in favore dell'attore Gi.Fr. della somma di Euro 132.315,50.
E' opportuno precisare che, come già detto, gli effetti restitutori conseguenti alla declaratoria di nullità si estendono, specularmente, anche agli strumenti finanziari acquistati dalla banca per conto dell'investitore ed ancora giacenti in deposito.
Nella specie la convenuta ha chiesto invece la restituzione del "controvalore dei titoli esistenti sul dossier ...", quindi una condanna a corrispondere il tantundem, che ha un diverso oggetto (sulla necessità di apposita domanda di restituzione della prestazione eseguita in mancanza di causa cfr. e pluribus Cass. 03/02/2006, n. 2439, nell'analogo caso della retroattività degli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento, ex art. 1458 c.c.); inoltre, era onere della banca indicare specificamente i titoli di cui avrebbe dovuto chiedere la restituzione, in quanto ancora in deposito, non apparendo utilizzabile a tal fine la c.t.u., che si limita ad indicare genericamente il controvalore dei titoli giacenti al 28/02/2002 (pag. 12).
Sulla predetta somma sono dovuti gli interessi al tasso legale per il ritardato pagamento, ex art. 1224, primo comma, c.c., trattandosi di debito di valuta.
Circa la decorrenza degli interessi, può ritenersi esistente il requisito della mala fede dell'accipiens, ex art. 2033 c.c., poiché la banca era ovviamente in grado di conoscere la natura indebita dei versamenti effettuati dall'attore ai fini di investimento, in difetto di un contratto di gestione patrimoniale in forma scritta: gli interessi sono dunque dovuti dal giorno del pagamento: tenuto conto delle date dei singoli versamenti e prelevamenti (vedi c.t.u., pag. 6), essi decorrono dal 29/06/2004, data dell'ultimo prelievo di Euro 25.000,00, che diede origine al residuo attivo di Euro 132.315,50, sino al saldo.
Quanto all'attrice Is., il Tribunale ritiene che, a causa dell'assoluta impossibilità di ricostruire attendibilmente i versamenti ed i prelevamenti fatti, nonché di distinguere quali siano stati effettuati a titolo di incremento/decremento di disponibilità da investire/disinvestire in strumenti finanziari e quali invece si riferivano all'ordinaria attività dell'impresa, che utilizzò promiscuamente il conto corrente in esame (vedi le considerazioni del c.t.u. a pagg. 6 - 7), non vi siano elementi probatori sufficienti da cui inferire né il tipo di contratto di investimento intercorso tra le parti né l'entità del patrimonio impiegato né l'andamento della gestione, ove di ciò si fosse trattato.
Peraltro, dal mancato adempimento della banca all'ordine di esibizione avente ad oggetto i documenti necessari per ricostruire i rapporti tra le parti non possono trarsi decisivi argomenti di prova a favore della Is. S.r.l., poiché anch'essa ha contribuito a determinare, con il suo comportamento, tale lacuna probatoria, avendo omesso di produrre la sua documentazione contabile, nella quale doveva esservi traccia sia delle causali dei singoli versamenti e prelevamenti sia delle operazioni di investimento, ai fini della redazione del bilancio a fini civilistici (vedi le condivisibili considerazioni del c.t.u. a pagg. 7 e 9).
Ne consegue il rigetto di tutte le domande, ivi comprese quelle risarcitorie per omesso adempimento dei doveri di informazione dell'intermediario, che implicano comunque la prova a carico dell'investitore dei fatti costitutivi della domanda, ed in particolare dell'ammontare del patrimonio impiegato per l'investimento, onde valutare il danno emergente ed il lucro cessante, e prim'ancora la prova dello specifico servizio di investimento svolto dall'intermediario, salva la presunzione relativa ex art. 23, comma 6, TUF.
Si passa ora all'esame del rapporto processuale con i terzi chiamati, iniziando dalla posizione di St.Ma.
Il Tribunale osserva che nel caso concreto si versa in un'ipotesi di chiamata del terzo che, secondo la convenuta, è l'esclusivo obbligato nei confronti degli attori, sulla base di un rapporto giuridico (mandato conferito dall'opponente al terzo in proprio) alternativo rispetto a quello dedotto in giudizio da questi ultimi. In altri termini, non si tratta di una chiamata in garanzia impropria - fondata su un titolo diverso da quello dedotto in giudizio dagli attori -, con la quale la banca chiede di essere tenuta indenne dagli effetti pregiudizievoli conseguenti all'eventuale accoglimento delle domande principali, ma dell'estensione della causa a colui che, secondo la convenuta, è l'esclusivo soggetto passivo delle domande riconvenzionali degli attori e che dovrebbe quindi essere direttamente condannato a favore di questi ultimi, con assoluzione della chiamante.
Così inquadrata la fattispecie processuale, ne consegue che l'accertamento della legittimazione passiva in senso sostanziale della banca esclude la fondatezza della contraria pretesa rivolta contro il terzo, anche sotto il profilo dell'estensione automatica delle domande degli attori nei di lui confronti.
Quanto al rapporto con le compagnie assicuratrici, è dirimente osservare che la domanda di garanzia impropria avanzata contro di esse ha ad oggetto il loro obbligo "... di indennizzare la Bp. dei danni arrecati all'attore ..." (vedi le conclusioni "in via ulteriormente subordinata" della convenuta, sub lett. III), vale a dire è subordinata all'accertamento della responsabilità risarcitoria della banca per i danni causati dalla condotta del funzionario infedele, con la conseguenza che, essendo stata esclusa tale responsabilità, sia sotto il profilo contrattuale che extracontrattuale (per le ragioni sopra esposte), e non potendosi assimilare l'obbligazione restitutoria da indebito oggettivo sine causa (per nullità del contratto) a quella risarcitoria da inadempimento o fatto illecito, l'obbligazione indennitaria fatta valere in questa sede dall'assicurata non viene in rilievo.
L'esito finale della lite tra gli attori e la convenuta evidenzia la soccombenza prevalente della convenuta nei confronti di Gi. (la cui domanda era comunque più ampia di quella accolta) e la soccombenza di Is. nei confronti della banca, pertanto sussistono i presupposti per la compensazione integrale delle spese di giudizio, anche alla luce della sostanziale identità delle questioni trattate dalla difesa degli attori e del mancato adempimento della banca all'ordine di esibizione, della cui non imputabilità non vi è alcuna prova.
Le spese di c.t.u. rimangono definitivamente a carico di attori e convenuta al 50% (vedi decreto di liquidazione del G.I. di data 31/10/2008).
Sussistono giusti motivi di compensazione integrale delle spese di giudizio anche tra la convenuta e i terzi chiamati, per la natura secondaria delle questioni relative ai loro rapporti processuali.




P.Q.M.



Il Tribunale di Trento, in composizione collegiale, ogni diversa o contraria azione, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
1. Dichiara la nullità del contratto tra Gi.Fr. e la convenuta, previa sua qualificazione come contratto di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi, per mancanza di forma scritta, e per l'effetto condanna la convenuta al pagamento in favore del Gi. della somma di Euro 132.315,50, oltre agli interessi legali dal 29/06/2004 al saldo.
2. Rigetta le domande di Is. S.r.l.
3. Rigetta ogni ulteriore o diversa domanda, anche contro i terzi chiamati.
4. Compensa integralmente inter partes le spese di giudizio, ponendo le spese di c.t.u. a definitivo carico degli attori, da un lato, e della convenuta, dall'altro, al 50% ciascuno.
Così deciso in Trento il 3 dicembre 2009.
Depositata in Cancelleria il 22 gennaio 2010.

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