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sabato 30 novembre 2024

Trading on line truffa: i suggerimenti della Polizia postale

Fonte: Comunicato stampa
30 ottobre 2024
Falso trading online, la truffa informatica sulle attività di compravendita di azioni e titoli finanziari in rete, è un fenomeno criminale in espansione che produce un guadagno illecito di milioni di euro, rappresentando, nel panorama delle frodi online, la truffa che genera il profitto più cospicuo, alimentando peraltro l’interesse della criminalità organizzata.

Nel 2023 la Polizia Postale ha ricevuto oltre 3400 denunce di truffe legate alle false proposte di investimenti online, con un incremento del 12% rispetto all'anno precedente, per un valore complessivo dei fondi sottratti di oltre 111 milioni di euro.

I falsi investimenti finanziari vengono pubblicizzati con messaggi creati ad hoc, capaci di indurre gli utenti del web a fidarsi di proposte ingannevoli, grazie all’uso illecito di marchi e loghi di importanti aziende. Le potenzialità offerte dall’intelligenza artificiale rappresentano un prezioso strumento nelle mani dei cybercriminali: l’utilizzo di semplici software consente loro di realizzare video promozionali che riproducono voce e aspetto di amministratori delegati, politici, personalità amate dal pubblico, a cui vengono attribuite parole mai dette al fine di promuovere l’offerta.

La vittima dell’inganno viene “agganciata” al telefono, su social e siti d’incontri, indotta a comunicare i propri dati e infine persuasa a investire online, affidandosi ai consigli di un truffatore che si finge broker professionista con il versamento di una piccola somma iniziale. In un secondo momento, viene convinta a investire altro denaro, perché crede che il suo rendimento stia crescendo velocemente. L’ultima fase della truffa consiste nella richiesta del versamento di presunti “costi di sblocco” per recuperare il capitale investito, ma in nessun caso il denaro versato tornerà nella disponibilità della vittima.

L’arma più efficace per contrastare questo fenomeno criminale è la prevenzione. La realtà non è sempre quella che appare sulla Rete:

  • Non credere alla promessa di guadagni fuori mercato
  • Non condividere dati personali, bancari, credenziali di accesso con presunti agenti finanziari;
  • Verifica l’attendibilità chi ti propone l’investimento, visitando i siti della Consob e della Banca D’Italia;
  • Utilizza esclusivamente piattaforme ufficiali evitando di cliccare su banner pubblicitari;
  • La richiesta di un pagamento ulteriore, con il pretesto di sbloccare il capitale investito, è la modalità utilizzata dai cybercriminali per estorcere altro denaro che non verrà comunque restituito. 

Se ti riconosci in questa tipologia di truffa, fai subito denuncia: la tempestività è fondamentale per attivare gli accertamenti volti all’identificazione degli autori e al possibile recupero delle somme.

Per informazioni e segnalazioni rivolgiti alla Polizia Postale tramite il sito ufficiale www.commissariatodips.it.

Qualunque cosa accada, hai diritto ad essere tutelato.

domenica 6 ottobre 2024

L'azione collettiva e clausole abusive - i limiti indicati dal giudice europeo

Può una azione collettiva ottenere la dichiarazione di nullità/inefficacia di una clausola contrattuale in quanto abusiva, magari redatta in modelli distanti anni l'uno dall'altro?

La questione è stata sottoposta all'attenzione della Corte di giustizia dell'Unione europea, la quale si è espressa con provvedimento che trovate di seguito.

Un giudice nazionale si era rivolto al giudice comunitario, rivolgendo due questioni pregiudiziali di non secondaria importanza:

a) Con una azione collettiva è possibile accertare delle clausole abusive a possibilità di accertare la presenza di clausole abusive nei modelli contrattuali predisposti dal professionista.

b) Come deve essere considerata il carattere abusivo della clausola, riferita al “consumatore medio” dell'azione collettiva, laddove i contratti sono stati conclusi in periodi diversi.

Il giudice comunitario ha così dato riscontro alle richieste formulate dal giudice nazionale: 

Sul punto (a):1) L’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che: consentono a un giudice nazionale di procedere al controllo della trasparenza di una clausola contrattuale nell’ambito di un’azione collettiva diretta contro numerosi professionisti dello stesso settore economico e riguardante un numero molto elevato di contratti, purché tali contratti contengano la medesima clausola o clausole simili.".

Sul punto (b): "2) L’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che: consentono a un giudice nazionale, investito di un’azione collettiva diretta contro numerosi professionisti del medesimo settore economico e avente ad oggetto un numero molto elevato di contratti, di procedere al controllo della trasparenza di una clausola contrattuale basandosi sulla percezione del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, quando tali contratti si rivolgono a categorie specifiche di consumatori e tale clausola è stata utilizzata per un periodo molto lungo. Tuttavia, se, durante tale periodo, la percezione globale del consumatore medio riguardo a detta clausola è stata modificata dall’intervento di un evento oggettivo o di un fatto notorio, la direttiva 93/13 non osta a che il giudice nazionale proceda a tale controllo tenendo conto dell’evoluzione della percezione di tale consumatore, fermo restando che la percezione pertinente è quella esistente al momento della conclusione di un contratto di mutuo ipotecario.».".

Corte di giustizia Unione europea - Sez. IV^ sentenza C - 450/2022. (visibile con browser Opera - VPN attivo)

sabato 14 settembre 2024

Mutuo indicizzato - Milano in favore dei consumatori

Nuovo capitolo nella vicenda mutui indicizzati che ha riguardato molti consumatori italiani, convinti di poter ottenere un mutuo versando pochi interessi alla banca e successivamente strangolati dalla conversione euro/franco svizzero e costretti a versare rate estremamente esose.

Questo blog ha trattato la questione in più occasione, contestando la validità dei contratti conclusi da Barclays Bank, come riconosciuto anche dall'Arbitro Bancario (vedi qui).

Il Tribunale di Milano ha affrontato, ancora una volta, la vicenda ed è stato chiamato a valutare la validità delle condizioni contrattuali contenute in un contratto concluso tra dei consumatori e Barclays.

I) le clausole incriminate del contratto di Barclays Bank

Il Tribunale di Milano ha giudicato il carattere abusivo delle clausole di mutuo indicizzato di Barclays, in particolare l'art. 4 disciplina il tasso di interesse applicato dalla banca mutuante ed in particolare il cambio tra euro/franco svizzero, presupposto per il calcolo degli interessi da applicare al cliente.

Il successivo art. 4 bis del contratto di mutuo prevede l'apertura di un deposito a nome della banca sul quale vengono accreditati eventuali accrediti o addebiti derivanti dal cambio applicato al contratto di mutuo.

L'art. 7 dispone, infine, l'ipotesi di estinzione anticipata del contratto di mutuo indicizzato, il quale prevede l'obbligo di ricalcolo della posizione, con versamento delle somme previste in favore della banca, altresì precisando: "In caso di estinzione parziale, la somma restituita dalla parte mutuataria alla banca determina la quota di capitale estinto. Sulla base della quota di capitale estinto viene calcolata la quota di capitale residuo.

Questo capitale residuo è la base di ricalcolo del piano di ammortamento per la durata rimanente del mutuo. Il tasso utilizzato per il ricalcolo sarà quello applicato al contratto di mutuo alla data di estinzione.".

Ma come avviene il calcolo degli interessi per questo contratto indicizzato? l'art. 7 bis del contratto di Barclays chiarisce il sistema di calcolo, attraverso la possibilità di conversione del tasso riferito franco svizzero a quello dell'euro con uno di quelli previsti per i prodotti offerti dalla banca.

Questo sistema, molto complesso e non molto trasparente, ha portato il cliente a dover versare alla banca un importo, a titolo di interessi, notevolmente elevato e non adeguato al prestito ottenuto.

II) Tribunale di Milano - clausole abusive e nulle

Il giudice milanese è stato chiamato a giudicare il carattere vessatorio ed abusivo delle clausole 4, 4bis e 7 del mutuo di Barclays e, quindi, l'eventuale contrasto delle stesse rispetto all'art. 4 della Direttiva comunitaria n. 93/13.

E il ragionamento seguito dal giudice si è fondato sull'orientamento indicato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, la quale ha puntualizzato che: "nell'ambito di un contratto di mutuo espresso in valuta estera, il requisito di trasparenza delle clausole di tale contratto che prevedono che la valuta estera sia la moneta di conto e che l'euro sia la moneta di pagamento e che hanno l'effetto di far gravare il rischio di cambio sul mutuatario, è soddisfatto quando il professionista ha fornito al consumatore informazioni sufficienti ed esatte che consentano a un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, di comprendere il funzionamento concreto del meccanismo finanziario in discussione e di valutare quindi il rischio delle conseguenze economiche negative, potenzialmente gravi, di clausole del genere sui suoi obblighi finanziari nel corso dell'intera durata del contratto medesimo" (Corte di giustizia UE C - 776/2021).

Correttamente, a parere di chi scrive, il Tribunale di Milano richiama i principi generali che devono regolare i rapporti tra professionista e consumatore, e ciò sul presupposto che in questo tipo di rapporti esiste una disparità che deve essere ovviata dal professionista fornendo alla controparte svantaggiata, attraverso la redazione di un contratto con clausole trasparenti e comprensibili (Corte di giustizia UE  3 marzo 2020 C‑125/2018 Marc Gómez del Moral Guasch contro Bankia SA).

Nella vicenda tasso indicizzato, il contratto Barclays contiene informazioni trasparenti e comprensibili per i clienti?

"Nel caso in esame, peraltro, la banca proponendo a consumatori interessati a contrarre un mutuo per l’acquisto della prima casa che in apparenza era un mutuo fondiario a rata fissa e interesse variabile con garanzia ipotecaria e, quindi, un tipico contratto di finanziamento, aveva obblighi informativi ancora più stringenti in quanto avrebbe dovuto rendere edotti i contraenti del complesso meccanismo della determinazione dei tassi di interesse, della doppia indicizzazione e del funzionamento del deposito fruttifero anche mediante esemplificazioni di ipotesi di estinzione anticipata dopo due/cinque/ dieci anni considerata la durata particolarmente lunga di tali contratti, considerato, peraltro, che come ha ammesso la banca, fino al 2010 questa tipologia di mutuo era “un prodotto molto vantaggioso per i mutuatari” e la banca ha cessato di stipulare tale tipologia di mutuo all’inizio del 2011. L’obbligo di informazione mediante esemplificazioni e chiarimenti rientra nell’obbligo di buona fede oggettiva che nel caso in esame non è stato osservato.".

E la violazione di tale obbligo informativo è ancor più grave, secondo il giudicante, considerando che: "....che avrebbero imposto alla banca un onere informativo rafforzato nei confronti dei clienti che avrebbero dovuto essere resi edotti dell’effettivo esborso a cui andavano incontro e delle conseguenze in cui sarebbero incorsi in caso di estinzione anticipata del mutuo, considerata la durata ventennale e trentennale dei contratti.".

Nel caso di specie, il giudice ha dato applicazione al principio di chiarezza e trasparenza che deve sempre contraddistinguere la redazione del contratto sottoposto al consumatore, e che trova la sua disciplina nel Codice del consumo all'art. 35: "Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile."

Il mancato rispetto di tali presupposti possono, come accaduto nel caso affrontato dal giudice, far dichiarare nulle e non vincolanti per il consumatore le clausole vessatorie, condizionando il ricalcolo della posizione con la banca mutante.

Tribunale di Milano - Sez. VI^ Civ. - sentenza n. 6054/2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

sabato 3 agosto 2024

Obbligazioni Rickmers: si al risarcimento del danno se la banca non ti informa sui rischi di investimento

Si può ottenere il risarcimento del danno nel caso in cui la banca, attraverso il promotore finanziario, non fornisce informazioni accurate e trasparenti in merito ai rischi collegati all'investimento nelle obbligazioni estere.

Questo è, in buona sostanza, quanto ha stabilito l'Arbitro per le Controversie Finanziaria a cui si è rivolta una consumatrice, rimasta "scottata" dall'investimento in titoli Rickmers 06/18 8,875% (cod. ISIN DE000A1TNA39) suggerito dal promotore di una banca e azzeratosi in seguito a causa del fallimento della società emittente.

Nel caso di specie, il titolo Rickmers 8,875% 06/2018 (Codice ISIN DE000A1TNA39) è stato proposto all'investitrice, senza renderle noti specifici rischi connessi all’investimento in bond emessi fuori dai mercati regolamentati e con un rating basso (BB).

Era peraltro emesso che l'emissione obbligazionaria proposta alla consumatrice era finalizzata ad ottenere nuova liquidità, al fine di poter sanare i debiti pregressi. 

Per tale ragione, il prestito obbligazionario prevedeva la possibilità di insolvenza indiretta (c.d. crossing default), ovverosia l’inadempimento nel rimborso del prestito anche nel caso di altre insolvenze della società Rickmers.

Occorre osservare che il rischio di default consiste nella possibilità che al verificarsi di precise circostanze, il soggetto finanziatore possa attivare protezioni contrattuali che possono arrivare fino alla possibilità di non provvedere al rimborso del finanziamento. 

Tutte queste informazioni non erano state comunicate alla piccola investitrice, la quale si è rivolta all'ACF per chiedere il risarcimento del danno sofferto a causa della condotta inadempiente dell'intermediario finanziario, attraverso il promotore finanziario.

E l'arbitro ha riscontrato la grave carenza informativa da parte della banca, la quale ha fornito informazioni generiche e non pertinenti con l'investimento in titoli Rickmers, così giustificando l'inadempimento informativo da parte del Professionista: "Non risulta agli atti, invece, alcuna informativa sulle caratteristiche e i rischi specifici delle Obbligazioni ad elevata rischiosità oggetto di contestazione, come desumibile anche dal tasso di rendimento nominale dell’8,875%, dichiarate in default in data 11 giugno 2018, data di scadenza. Né tali informazioni risultano altrimenti fornite nel modulo d’ordine con cui le suindicate Obbligazioni sono state acquistate dalla Ricorrente.".

L'assenza di specifiche informazioni inerenti al titolo Rickmers hanno giustificato la condanna al risarcimento del danno della banca convenuta.

ACF - decisione n. 7341 del 10 giugno 2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

sabato 13 luglio 2024

Credito bancario cartolarizzato: la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non prova la cessione del credito

Si torna a parlare di crediti cartolarizzati, questione tutt'altro che marginale, in quanto riguarda molti consumatori rimasti, purtroppo, insolventi verso le banche.

Ciò che capita con una certa frequenza, è che al creditore originario (la banca con cui abbiamo firmato il contratto di mutuo) se ne sostituisce un altro (e un altro ancora), il quale si presenta alla nostra porta chiedendo il pagamento del proprio credito.

Questo tipo di vicenda è stata già trattata in questo blog (vedi qui), ed in particolare abbiamo evidenziato come sia molto importante per chi ricevere richieste di pagamento da parte di una società diversa da quella con cui ha firmato il contratto, accertare la legittimazione da parte di chi bussa alla nostra porta.

Stiamo parlando del caso di cessione del credito  e del particolare privilegio concesso alle banche, in deroga ai principi previsti ex artt. 1260 c.c. e seguenti che prevedono l'obbligo di consenso del debitore ceduto al cambio del creditore.

E' noto, infatti, che l'art. 58, comma II^, TUB dispone che la cessione possa avvenire con la semplice pubblicazione della comunicazione in Gazzetta Ufficiale, con piena opponibilità al debitore ceduto.

Il punto problematico, emerso anche di recente (clicca qui), riguarda l'attendibilità probatoria della comunicazione rispetto alla legittimazione ad agire davanti ad un tribunale da parte del nuovo creditore.

Il caso affrontato dalla Suprema Corte e che potete leggere di seguito, riguarda proprio i doveri probatori che ricadono sulla società cessionaria (ossia quella che ha acquisito il credito da altra banca) che agisce nel giudizio esecutivo per recuperare il credito.

Secondo il giudice di legittimità, infatti, che chi agisce per il recupero del credito deve non solo dichiarare, ma anche provare, la cessione e che il mero avviso in Gazzetta Ufficiale non è sufficiente a provare il contratto di cessione e l'inclusione in tale atto del credito oggetto di pretesa. La comunicazione in Gazzetta Ufficiale assolve, osservano gli Ermellini, il solo obbligo di notifica al debitore ceduto.

Nel caso di cessione del credito, infatti, l'avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale ex artt. 1 e 4 l. n. 130/1999 e 58 TUB, non è stato considerato sufficiente a fornire la certezza sulla legittimazione sostanziale ad avanzare delle pretese di pagamento del credito, presupposto che può essere assolto solo con il deposito del contratto e della indicazione della posizione debitoria collegata e ceduta

Corte di Cassazione - ordinanza n. 15010/2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

domenica 30 giugno 2024

Non pago più rate del finanziamento se non mi consegnano la macchina

Questa domenica torniamo ad interessarci dei contratti di finanziamento finalizzati all'acquisto di un bene/servizio e al particolare collegamento che si crea tra i due rapporti.

Non di rado, infatti, accade che il bene o il servizio oggetto di finanziamento non viene consegnato, oppure risulta presentare dei difetti tali da renderlo non utilizzabile, cosicché il consumatore si trova costretto a pagare delle rate per un prodotto non ricevuto o non utilizzabile.

Nel blog potete trovare diversi nostri precedenti interventi (clicca qui), con i quali abbiamo chiarito come la normativa bancaria, in particolare l'art. 125 - quinquies con la riforma del 2010, ha disciplinato in modo specifico questo tipo di eventi, stabilendo che: "Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile.".

Quindi, nel caso di inadempimento da parte del venditore (fornitore di beni o di servizi), il consumatore può risolvere il contratto dopo aver formalmente messo in mora il professionista.

Il secondo comma dispone che: "La risoluzione del contratto di credito comporta l'obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l'obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l'importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso.".

Il consumatore non solo non deve pagare più le rate per l'acquisto del bene non ricevuto (o difettato), ma ha anche il diritto a farsi restituire le somme pagate alla banca.

Questo diritto, invero, è stato disciplinato anche per i contratti precedenti al 2010, grazie agli interventi dei giudici che hanno "creato" l'insieme di norme in seguito introdotto nel Testo Unico Bancario, come ci ricorda la Corte di Cassazione, Sezione I, con l'ordinanza del 29 febbraio 2024 n. 5365 che potete leggere di seguito, ed avente ad oggetto una vicenda precedente al 2010,  quindi prima dell'entrata in vigore dell’art. 125-quinquies TUB.

Nel caso di specie, il contratto di finanziamento era stato concluso per l'acquisto di un veicolo, il quale non era stato in seguito consegnato, costringendo il consumatore a chiedere l'interruzione del finanziamento.

La Suprema Corte ha ribadito i principi già sviluppati anche a livello comunitario, come ad esempio la Corte di Giustizia Europea (Causa C-509/2007 con sentenza del 23 aprile 2009), secondo la quale esiste il diritto per l'acquirente di far dichiarare risolto il contratto di finanziamento collegato a quello principale rimasto inadempiuto, anche nel caso in cui nel contratto di vendita non sia prevista una clausola di esclusiva tra venditore e finanziatore.

La Cassazione, richiamando i principi formati con gli interventi giurisprudenziali, individua un collegamento negoziale fondamentale tra il contratto di compravendita e quello di finanziamento, tant'è che la sorte del primo non può non riguardare anche il secondo.

Ne consegue che nel caso di inadempimento del primo, anche per omessa consegna del prodotto (macchina), il consumatore ha diritto ad interrompere il pagamento delle rate del finanziamento e chiedere la restituzione dell'importo già versato alla banca.

Corte di Cassazione - Sez. I^ Civ. - sentenza n. 5365/2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

venerdì 14 giugno 2024

Vicenda Euribor - nuovo intervento della Cassazione

Passo indietro nella vicenda Euribor da parte della Cassazione nella vicenda che ha riguardato coloro che hanno sottoscritto, o comunque pagato interessi, nel periodo 29 settembre 2005/30 maggio 2008.

Molti consumatori che speravano di poter ottenere un parziale rimborso degli interessi versati, anche alla luce della sentenza della Suprema Corte del 13 dicembre 2023, n.  34889 (vedi qui), provvedimento che ha riconosciuto il diritto ai clienti delle banche di avere un rimborso per i tassi variabili "gonfiati" a causa del cartello europeo bancario tra Crédit Agricole, Hsbc e Jp Morgan Chase che aveva manipolato i tassi di riferimento (qui un recente approfondimento).

Con la nuova sentenza numero 12007/2024 del 3 maggio 2024, che trovate di seguito, la Cassazione ha fatto un passo indietro, limitando fortemente il diritto di rimborso spettante ai consumatori, obbligando questi ultimi a dover provare che la banca mutante, nel caso in cui non rientri nel cartello sanzionato dall'Antitrust europea, fosse al corrente dell'esistenza dell'accordo manipolativo dell'Euribor. 

Questa prova è tutt'altro che facile, anche perché i privati consumatori non hanno i mezzi per trovare tale prova, tanto da rendere poco conveniente una azione legale verso la banca.

A ciò si aggiunga che, laddove sia accertata la condotta scorretta dell'intermediario bancario, l'eventuale rimborso dovrebbe essere calcolato nella differenza tra il tasso applicato dalla banca e il tasso minimo del BTP per un anno, così come disposto a mente dell'art. 117, comma 7 TUB, con evidente riduzione delle prospettive di soddisfazione per il ricorrente.

Cassazione Sez. III Civ. - sentenza n. 12007/2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

sabato 11 maggio 2024

Sezioni Unite della Cassazione chiamate a risolvere la vicenda euribor

La questione Euribor manipolato finisce, come scontato, alla decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, proprio alla luce dell'evidente contrasto sorto in giurisprudenza su questo punto.

La questione è stata trattata dalla Cassazione (Ordinanza n. 34889/2023 clicca qui), la quale ha evidenziato la nullità dei contratti bancari, ove il tasso di interesse è collegato all'Euribor.

Il giudice di legittimità ha richiamato la decisione della Commissione dell'Unione europea, la quale ha condannato il cartello che, tra il 2005 e il 2008, ha manipolato il tasso di riferimento dell'euribor.

Secondo la Cassazione, infatti, l'intesa vietata, e oggetto di censura a livello comunitario, ponendosi in contrasto con l'art. 2 della l. n. 287 del 1990 (cd. "legge antitrust") produce i propri effetti non solo nei rapporti tra le banche oggetto di condanna, ma anche nei contratti conclusi tra i consumatori e le varie banche e fondati su una determinazione del tasso di interesse "alterata".

Per tutti i contratti bancari, limitatamente al periodo 2005/2008, sarebbe possibile invocare la nullità parziale con conseguente richiesta di restituzione dei maggiori interessi versati da parte del consumatore (per un approfondimento sulla vicenda Eurbor, clicca qui).

La tesi sviluppata dalla Corte di Cassazione al termine del 2023 è stata oggetto di pronta censura da parte di alcuni tribunali italiani (primo fra tutti, il Tribunale di Torino vedi qui), i quali si sono discostati dal giudice di legittimità.

Anche la Procura Generale della Cassazione, come potete leggere di seguito, ha contestato il provvedimento della Cassazione, così motivando la propria posizione: "Ciò posto va innanzitutto ricordato che L’EURIBOR è un tasso di interesse di riferimento ampiamente utilizzato sui mercati monetari internazionali e il cui scopo è rispecchiare il costo dei prestiti interbancari in euro. L’EURIBOR, definito come un indice del «tasso al quale sono offerti depositi a termine in euro nel mercato interbancario da una banca primaria a un’altra banca primaria all’interno della zona euro» (http://www.euribor-ebf.eu/euribor-org/about-euribor.html), si basa sulle quotazioni individuali dei tassi ai quali ciascuna delle banche del panel ritiene che un’ipotetica banca primaria presterebbe fondi a un’altra banca primaria. In effetti, secondo il codice di condotta Euribor della Federazione bancaria europea (FBE), «le banche del panel forniscono quotazioni giornaliere del tasso […] che, secondo ciascuna banca del panel, una banca primaria sta applicando a un’altra banca primaria per i depositi a termine in euro nel mercato interbancario all’interno della zona euro» (Codice di condotta Euribor della Federazione bancaria europea, pag. 17.). L’EURIBOR è calcolato (Dai tassi comunicati dalle banche del panel vengono eliminati quelli rientranti nella fascia del 15 % più alta e del 15 % più bassa. Successivamente si calcola la media dei tassi rimanenti, che vengono arrotondati al terzo decimale.) in base alle comunicazioni inviate dalle «banche del panel» partecipanti (Al momento dell’infrazione, le banche del panel erano 44,) ogni giorno di negoziazione tra le 10.45 e le 11.00, ora di Bruxelles, a Thomson Reuters, l’agenzia incaricata di eseguire i calcoli per conto della Federazione bancaria europea. Presso ciascuna delle banche del panel vi sono persone incaricate di comunicare le quotazioni per conto della banca in questione. Di norma queste persone fanno parte del diparti mento tesoreria della banca. L’EURIBOR è determinato e pubblicato ogni giorno lavorativo alle 11:00, ora di Bruxelles (10:00 ora di Londra). Ogni banca del panel fornisce un contributo per ciascuno dei 15 tassi di interesse diversi dell’EURIBOR [uno per ciascuna delle scadenze (tenor), che vanno da una settimana a dodici mesi]. L’EURIBOR non ha una scadenza overnight. Questo ruolo è assunto dall’EONIA, che è un tasso di interesse over night calcolato con l’aiuto della Banca centrale europea come media ponderata di tutte le operazioni di prestito non garantito overnight effettuate da certe banche nel mercato interbancario. Le banche che contribuiscono all’EONIA sono le stesse banche del panel che contribuisce all’EURIBOR. Le diverse scadenze dell’EURIBOR (1 mese, 3, 6 o 12 mesi) fungono da componenti di prezzo per gli EIRD basati sull’EURIBOR. Per gli EIRD, la rispettiva scadenza dell’EURIBOR che sta giungendo a maturazione o viene nuova mente fissata a una data determinata può determinare il flusso di cassa che una banca riceve dalla controparte dell’EIRD oppure il flusso di cassa che la banca deve pagare alla controparte in quella data. In funzione delle posizioni di negoziazione/esposizioni assunte per suo conto dai suoi operatori, una banca può avere un interesse per un fixing EURIBOR elevato (quando riceve un importo calcolato in base all’EURIBOR), basso (quando deve pagare un importo calcolato in base all’EURIBOR) o forfettario (quando non ha una posizione significativa in nessuna delle due direzioni). L'Euribor non è, dunque, un tasso fissato dalle Banche, ma è, al contrario, un dato oggettivo, rilevato e pubblicato da un'agenzia terza, rappresentato dalla media ponderata (escludendo dal computo il 15% dei valori più alti e più bassi) dei tassi applicati, nelle operazioni interbancarie, da un gruppo consistente delle più rilevanti banche europee (all’epoca dell’infrazione facevano parte del panel 44 banche).".

Chiarito in cosa consiste l'Euribor, la Procura osserva che nonostante siano state accertate le condotte illegittime da parte della banche che hanno composto il cartello, "non emerge una chiara indicazione che tali pratiche abbiano concretamente alterato il valore dell'Euribor.".

Nemmeno sotto il profilo del valore probatorio esiste una aderenza con quanto affermato dalla Cassazione, la quale ritiene che la decisione della Commissione assume valore di prova privilegiata della manipolazione dei tassi presupposto per la nullità parziale del contratto bancario: la Procura criticamente osserva che: "In mancanza di prova circa l’incidenza di tali condotte nella concreta determinazione del tasso Euribor appare davvero arduo sostenere la potenziale invalidità dei tassi di interesse che fanno riferimento all'Euribor, e ciò, soprattutto per le banche estranee a tali pratiche illecite.".

Alla luce di questa discutibile posizione assunta dalla Procura Generale, possiamo solo attendere l'intervento risolutivo delle Sezioni Unite della Cassazione.

Procura Generale della Cassazione (visibile con browser Opera - VPN attivo)

giovedì 21 marzo 2024

Euribor alterato. Torino si allontana dalla Cassazione

Come era facile immaginare, la sentenza della Corte di Cassazione con la quale è stata dichiarata la nullità parziale dei contratti di finanziamento (mutuo o leasing) a tasso variabile per il periodo 2005/2008 (vedi qui), ha avuto immediato riscontro contrario dai giudici di merito.

Ed è stato il Tribunale di Torino ad aprire il fronte contrario all'orientamento espresso dal Giudice di legittimità, ribadendo una posizione già assunta (e mantenuta) tempo fa (vedi qui).

Nei prossimi mesi si formeranno gli schieramenti tra i giudici dei vari tribunali, e non ci resterà che attendere un ulteriore intervento risolutivo da parte degli Ermellini.

- Cosa ne pensa il Tribunale di Torino

Come anticipato, il Tribunale di Torino non ha mai aderito alla tesi della invalidità tout court di ogni contratto di finanziamento coinvolto nella vicenda Euribor, ritenendo che la nullità della clausola relativa agli interessi debba essere subordinata alla prova della partecipazione della banca al cartello censurato dalla Commissione europea.

In termini più semplici, il giudice piemontese ritiene che gli effetti dell'intesa illecita, con manipolazione dell'Euribor per il periodo 2005/2008, non possano riguardare le banche che non hanno fatto parte dell'accordo, con conseguente validità delle clausole inserite nei contratti di finanziamenti, anche se tecnicamente nulle.

Secondo il giudice, infatti, "Non è possibile qualificare come contratto “a valle”, agli effetti della repressione dell’intesa anti-concorrenziale, qualsiasi contratto di credito in corso di esecuzione negli anni tra il 2005 e il 2008 e parametrato all’Euribor, a prescindere dall’accertamento — decisivo — dell’adesione dell’impresa bancaria all’intesa per la manipolazione del prezzo".

In questi casi, afferma il Tribunale di Torino, il cliente rimasto danneggiato dall'utilizzo dell'Euribor manipolato può, al più, agire nei confronti dell'istituto di credito, avanzando una azione di risarcimento extracontrattuale, sempreché sia attivata entro i termini prescrittivi.

Tribunale di Torino Sez. I^ Civ. G.U. dott. Astuni - sentenza del 29 gennaio 2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

giovedì 1 febbraio 2024

La banca non valuta il merito creditizio. Le conseguenze per la Corte di giustizia

La valutazione creditizia del cliente è un obbligo a carico dell'intermediario bancario e che deve operare prima di concedere un prestito o altra forma di finanziamento.

Abbiamo già trattato l'argomento, segnalando la recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (vedi qui), la quale ha ribadito il generale principio del dovere di valutazione della solidità del cliente che richiede una somma di denaro, il c.d. credit score.

Questo tipo di indagine ha il fine di consentire alla banca di determinare l’affidabilità del soggetto richiedente, presupposto per la concessione del credito. 

In termini più semplici, esiste un valore (indicatore di rischio) che serve per misurare il grado di rischio di insolvenza del cliente, ed è fondato sul valutazioni che riguardano la tipologia del soggetto richiedente, delle sue dichiarazioni (bilanci) e della sua condotta bancaria.

Senza volersi addentrare troppo in questo tipo di controllo, si può però evidenziare che senza questa valutazione che si conclude con l'indicatore di rischio, la banca non potrebbe concedere alcun prestito: diversamente, si configura una concessione abusiva del credito, così come evidenziato dalla Cassazione con la recente pronuncia 1387/2023.

Anche la Corte di giustizia dell'Unione europea è stata chiamata a trattare l'argomento evidenziando le conseguenze nel caso di omissione della valutazione del merito creditizio sotto il profilo delle norme comunitarie. 


- Credito al consumo - omessa valutazione - nullità (se previsto dalla norma nazionale)

La recente sentenza C- 755/22 della Corte di giustizia dell'Unione europea dello scorso 11 gennaio 2024 (Nárokuj s.r.o. contro EC Financial Services, a.s,) ha consentito al giudice comunitario di evidenziare le conseguenze connesse all'omessa valutazione del merito creditizio del cliente che avanza una richiesta di di finanziamento.

In tali casi non si configura tanto una responsabilità dell'intermediario che non ha agito secondo i generali principi di buona fede, trasparenza e correttezza (ex artt. 1175 e 1176 c.c.), ma bensì una caso di nullità del contratto di credito al consumo.

Invero, la stessa Corte di giustizia, nel richiamare l'art. 8 della Direttiva (UE) 2008/48, identifica un determinato obbligo pre contrattuale spettante alla banca a cui si rivolge il consumatore.

Il Giudice comunitario, però, altresì chiarisce se la norma nazionale lo prevede, l'omessa valutazione creditizia può comportare la nullità del contratto di credito

Tale possibilità è contemplata anche laddove il debito sia stato integralmente rimborsato dal consumatore e questi non abbia sofferto alcuna conseguenza pregiudizievole dalla omessa valutazione del credito da parte della banca

E ciò in ragione della finalità perseguita dalla normativa comunitaria, volta a garantire che il consumatore sia sovraindebitato: "Quanto all’esame degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2008/48, da una giurisprudenza costante risulta che l’obbligo di valutare il merito creditizio del consumatore previsto dall’articolo 8 di quest’ultima, in quanto mira a tutelare i consumatori contro i rischi di sovraindebitamento e di insolvenza, contribuisce alla realizzazione dell’obiettivo di detta direttiva, che consiste, come risulta dai considerando 7 e 9 di quest’ultima,[...]".

Nel caso affrontato dalla Corte di giustizia, l'insieme delle norme della Repubblica Ceca prevede, nel caso di violazione del dovere di valutazione del merito creditizio, la sanzione della nullità del contratto di credito al consumo.

La Corte, preliminarmente, ricorda che l’obbligo di valutare il merito creditizio del consumatore, previsto dall’art. 8 della Direttiva (UE) 2008/48, mira a tutelare i consumatori contro i rischi di sovraindebitamento e di insolvenza, e contribuisce alla realizzazione dell’obiettivo di detta direttiva.

Come si evince chiaramente dai considerando 7 e 9 di quest’ultima, infatti, è primario garantire a tutti i consumatori dell’Unione europea un livello elevato ed equivalente di tutela dei loro interessi, al fine di facilitare il sorgere di un efficiente mercato interno del credito al consumo.

Inoltre, alla luce del considerando 26 della direttiva 2008/48, l’obbligo di valutazione del merito creditizio risponde altresì alla finalità di responsabilizzare i creditori, al fine di evitare la concessione di prestiti a consumatori non solvibili.

Tale obbligo previene infatti il rischio di sovraindebitamento o di insolvenza, risultante da una verifica insufficiente, da parte dell’istituto di credito, della capacità e della propensione del consumatore a rimborsare il credito: e tali rischi, sulla situazione del consumatore, possono d’altronde verificarsi anche dopo il rimborso del credito.

Ne consegue che la violazione dell’obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore non può essere sanata per il solo fatto dell’esecuzione integrale del contratto di credito: è irrilevante, peraltro, che il consumatore non abbia mosso alcuna obiezione rispetto a tale contratto durante il periodo di rimborso.

La Corte ricorda che il regime di sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate ai sensi dell’art. 8 della direttiva 2008/48,  deve essere definito in modo tale che le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive.

La Corte ricorda che aveva già dichiarato, in precedenti pronunce, alla luce della finalità della Direttiva, che la sua violazione poteva essere sanzionata, conformemente al diritto nazionale, con la decadenza del diritto del creditore agli interessi.

Peraltro, con riferimento al caso di specie, la Corte ha rilevato che subordinare l’applicazione di una sanzione che implica la nullità del contratto di credito (nonché la decadenza dal diritto, per il creditore, di ottenere il pagamento degli interessi convenuti), alla condizione che il consumatore abbia subito una conseguenza pregiudizievole, potrebbe favorire l’inosservanza, da parte dei creditori, dell’obbligo loro incombente in forza dell’art. 8 della Direttiva 2008/48.

Infatti, questi ultimi potrebbero essere incentivati a non procedere ad una valutazione sistematica ed esaustiva del merito creditizio di tutti i consumatori ai quali concedono crediti, contrariamente agli obiettivi di responsabilizzazione dei creditori e di prevenzione di pratiche irresponsabili, al momento della concessione di crediti ai consumatori.

Ne consegue che, conclude la Corte, il principio di proporzionalità non osta a che uno Stato membro scelga di sanzionare la violazione delle disposizioni nazionali, che garantiscono la trasposizione dell’art. 8 della Direttiva 2008/48, mediante la nullità del contratto di credito e la decadenza del diritto del creditore al pagamento degli interessi convenuti, anche quando il consumatore non abbia subito conseguenze pregiudizievoli per effetto di tale violazione.

Così conclude la sentenza: "[...] gli articoli 8 e 23 della direttiva 2008/48 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che, qualora il creditore abbia violato il suo obbligo di valutare il merito creditizio del consumatore, tale creditore sia sanzionato, conformemente al diritto nazionale, con la nullità del contratto di credito al consumo e la decadenza del suo diritto al pagamento degli interessi convenuti, anche quando tale contratto sia stato integralmente eseguito dalle parti e il consumatore non abbia subito conseguenze pregiudizievoli per effetto di tale violazione.".

Corte di giustizia UE - Sez. III^ C - 755/2022 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

giovedì 11 gennaio 2024

Mutuo e extra costi non dovuti: ecco il pensiero del giudice comunitario

L'ultima sentenza che segnaliamo nel 2023 ha ad oggetto il contratto di mutuo e la validità della clausola abusiva con la quale sono previsti dei costi ed interessi eccessivi rispetto al credito concesso.

Al giudice comunitario si è rivolto un tribunale polacco, facendo seguito ad una causa avviata da tre consumatori che avevano stipulato contratti di finanziamento, ove risultava che i mutuatari devono pagare, oltre alla somma presa a prestito maggiorata degli interessi, ulteriori spese e commissioni aggiuntive. 

Il costo effettivo del credito risulta, di conseguenza, estremamente eccessivo e, a parere dei ricorrenti, irragionevole di tali costi, tant'è che la richiesta formulata al giudice polacco è l'accertamento del carattere abusivo delle clausole

Quest'ultimo ha interpellato la Corte di giustizia dell'Unione europea per comprendere l'interpretazione della norma comunitaria rispetto al diritto polacco, al fine di avere un quadro complessivo in materia di clausole abusive in materia di contratti di finanziamento.

Il giudice comunitario ha ribadito alcuni principi:

(1) E' abusiva la clausola che prevede un pagamento "sproporzionato" di costi e spese

In primo luogo, è abusiva la clausola che imponga al contraente di un contratto di mutuo costi extra interessi, laddove sia accertato che le spese o le commissioni determinate a carico del consumatore siano manifestamente sproporzionate rispetto al servizio fornito in cambio.

(2) La clausola abusiva non rende invalido tutto il contratto - nullità parziale

L'accertamento del carattere abusivo della clausola avente ad oggetto eccessivi costi non rende invalido l'intero contratto di finanziamento, ma la sola clausola nulla concretizzando una ipotesi di nullità parziale rimanendo valide le restanti clausole salvo che non vi sia un eccessivo squilibrio nel contratto.
 
(3) Interesse del consumatore all'accertamento del carattere abusivo

L'accertamento del carattere abusivo di una clausola può essere fatto valere da un consumatore solo nel caso in cui abbia uno specifico interesse ad agire.

La Corte spiega l'azione giudiziaria è supportata da interesse laddove sia "diretta a far accertare l’inopponibilità di una clausola abusiva contenuta in un contratto stipulato con un professionista, la prova di un interesse ad agire, qualora si ritenga che un siffatto interesse non sussista quando tale consumatore dispone di un’azione di ripetizione dell’indebito o quando egli può far valere detta inopponibilità nell’ambito della propria difesa contro una domanda riconvenzionale di adempimento presentata nei suoi confronti da tale professionista sulla base di detta clausola.".

Corte di giustizia UE - Sez. IV^ C- 321/22.

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