Molti risparmiatori italiani reagiscono come il proverbiale cane di Pavlov. Appena gli prospettano di non pagare tasse, accettano qualunque proposta-trappola dell’industria del risparmio gestito: polizze vita, fondi pensione ecc. E di regola si danno la zappa sui piedi.
La vendita di presunti piani pensionistici denominati "For You", avvenuta nei primi anni 2000, da parte di istituti di credito appartenenti al Gruppo Banca Monte dei Paschi è salita alle cronache degli ultimi anni a seguito dei ripetuti interventi con i quali i giudici hanno dichiarato la nullità di queste operazioni. Ed anche la recente sentenza n. 15559/2015 della Cassazione ha ad oggetto questo particolare tipo di investimento finanziario, presentato dalla banca come "piano pensionistico integrativo dai profilo di rischio molto basso". E la Cassazione, chiamata ancora una volta ad analizzare questo particolare tipo di contratto, ha ritenuto non valido questo rapporto finanziario, che non può essere qualificato come un piano previdenziale, ma come un vero investimento con trasferimento dell'alea di rischio verso il cliente/risparmiatore. E la Corte di Cassazione osserva che in questa tipologia di investimento, si ravvisa un esclusivo trasferimento del rischio verso il consumatore, senza che tale circostanza sia resa nota dalla banca, la quale addirittura si prende quale garanzia i titoli del cliente, e dalle ulteriori garanzie inserite nel contratto. E la banca avrebbe dovuto chiarire al cliente la natura e la tipologia di questa operazione, solo all'apparenza con finalità previdenziale, mentre in realtà altro non è che un investimento finanziario. Per tale ragione, la Cassazione arriva a decidere che il ricorso di Monte dei Paschi debba essere rigettato perchè questo tipo di contratto "non integra, ai fini del secondo comma dell'art. 1322 cod. civ., un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, per contrasto con i princpi generali ricavabili dagli artt. 47 e 38 della Costituzione circa la tutela del risparmio e l'incoraggiamento delle forme di previdenza anche privata, quello perseguito mediante un contratto atipico fondato sullo sfruttamento delle preoccupazioni del cliente da parte degli operatori professionali, mediante operazioni negoziali complesse di rischio e di unilaterale riattribuzione del proprio rischio d'impresa, in ordine alla gestione di fondi comuni comprendenti anche titoli di dubbia o problematica redditività nel portafoglio, in capo a colui a cui il prodotto è stato espressamente presentato come rispondente alle sue esigenze di previdenza complementare, quale piano pensionistico a profilo di rischio molto basso e con possibilità di disinvestimento senza oneri in qualunque momento; pertanto, non è efficace per l'ordinamento il contratto atipico il quale, in dette circostanze, consista, tra l'altro, nella concessione di un mutuo, di durata ragguardevole, all'investitore destinato all'acquisto di prodotti finanziari della finanziatrice ed in un contestuale mandato alla banca ad acquistare detti prodotti anche in situazione di potenziale conflitto di interessi". Qui il testo della sentenza della Corte di Cassazione.
Questa è la soluzione raggiunta dal Tribunale di Torino nella incredibile vicenda oggetto della controversia sottoposta alla sua decisione.
La vicenda affrontata dal giudice era alquanto complessa in quanto l'attore era un cliente particolare della banca, avendo aperto un rapporto di conto corrente ed un rapporto di gestione patrimoniale in Italia pur vivendo in Sud Africa.
La banca era solita inviare tutti i documenti via posta al cliente, residente all'estero, tramite posta ordinaria. L'istituto di credito aveva chiarito al cliente, sia contrattualmente che attraverso le comunicazioni dei propri dipendenti, che la chiusura dei rapporti bancari doveva necessariamente avvenire con comunicazione sottoscritta dallo stesso correntista. Non era prevista alcuna attività via fax o posta elettronica.
Tra il settembre e il novembre del 2008, la banca riceveva distinti ordini di borsa da un indirizzo di posta elettronica - successivamente dimostratosi falso - con il quale un truffatore disponeva la chiusura della gestione patrimoniale e il trasferimento dell'ingente somma ricavata su conti correnti esteri (Indonesia e Sud Africa). I soldi del cliente venivano, quindi, trasferiti a terzi attraverso bonifici su estero e, cosa più importante, senza il consenso del titolare del conto. Il cliente della banca, venuto a conoscenza dei trasferimenti di queste somme di denaro senza suo consenso, sporgeva denuncia (sia in Sud Africa che in Italia) e disconosceva gli ordini di disinvestimento sostenendo che le firme apposte sui documenti elettronici non erano sue; non era suo nemmeno l'indirizzo di posta elettronica dal quale erano stati impartiti i diversi ordini al dipendente della filiale. Il Tribunale di Torino ha osservato, in primo luogo, che il disconoscimento delle sottoscrizioni, tra l'altro inviate come allegato alle e-mail truffaldine, comporta la esclusione della paternità del documento rispetto al piccolo risparmiatore. Conseguentemente, la banca ha autorizzato le operazioni di chiusura di gestione patrimoniale e di bonifico verso terzi, solo sulla base di e-mail inviate al dipendente della filiale. Il Tribunale di Torino ha considerato nullo il finto ordine di chiusura del conto gestione, in quanto disposti attraverso una modalità non prevista dal contratto di gestione patrimoniale sottoscritto dal cliente. Conseguentemente, il Tribunale di Torino ha dichiarato nulli gli ordini di borsa ed ha ordinato alla banca di restituire al cliente tutti i soldi trasferiti via bonifico. Di seguito, potete leggere la sentenza con la descrizione della vicenda affrontata dal giudice.