lunedì 29 luglio 2013

Titoli Parmalat: per evitare la prescrizione, dovete inviare la lettera di diffida alla banca entro dicembre 2013

I risparmiatori travolti dalla vicenda Parmalat e che intendono contestare alla banca la violazione della legge hanno ancora pochi mesi per poter sollevare i rilievi all'istituto di credito, chiedendo il risarcimento del danno.

La vicenda Parmalat è molto nota, ed è stata affrontata più volte da Consumatore Informato (vedi blog), ed ha colpito molti risparmiatori rimasti "scottati" dal fallimento del più grande Gruppo alimentare italiano, avvenuto nel dicembre 2003.

Negli ultimi anni, all'esito dei procedimenti penali avviati nei confronti di Parmalat, è emerso che il progressivo indebitamento della società, il quale ha costretto gli amministratori ha falsificare i bilanci, è stato favorito anche dalle banche.

I piccoli risparmiatori, negli anni, hanno deciso di agire anche nei confronti delle banche, chiedendo il risarcimento del danno sofferto a causa del default dichiarato da Parmalat.

Hanno contestato al proprio istituto di credito la violazione delle norme di settore, ottenendo la restituzione dei propri denari investiti in obbligazioni Parmalat attraverso la sentenza del tribunale.

Orbene, il prossimo dicembre 2003 scatta il termine di prescrizione decennale del diritto di risarcimento del danno spettante all'investitore per inadempimento da parte del proprio intermediario finanziario.

Come già evidenziato più volte, il consumatore che intenda contestare alla banca un grave inadempimento contrattuale deve agire entro e non oltre 10 anni dal momento in cui si manifesta il danno lamentato.

Nel caso delle obbligazioni Parmalat, la prescrizione scatta, al più tardi, nel mese di dicembre 2013, ossia dopo 10 anni dal default dichiarato dal Gruppo alimentare di Collecchio.

Coloro che non hanno ancora richiesto alla banca il risarcimento del danno, devono inviare una lettera di diffida con  lettera raccomandata.







domenica 28 luglio 2013

Pratica commerciale scorretta - Unicredit sanzionata per "Conto risparmio sicuro"

Questa settimana proponiamo all'attenzione dei lettori di questo blog il recente provvedimento con il quale l'Antitrust ha sanzionato Unicredit Banca per pratica commerciale scorretta.

L'Antitrust ha sanzionato il Gruppo bancario per i messaggi pubblicitari diffusi attraverso le principali reti televisive italiane, via internet e presso le proprie filiale, con i quali è stato proposto il prodotto bancario "conto risparmio sicuro".

Il sottoscrittore di questo prodotto bancario poteva, depositando un importo presso la banca per un periodo minimo di diciotto mesi, vedere rivalutato il proprio capitale a tassi di interesse ritenuti interessanti dalla stessa Unicredit.

Gli annunci pubblicitari, infatti, lasciavano intendere che la sottoscrizione di questo prodotto bancario avrebbe garantito al cliente un "risparmio sicuro", con capitale garantito e con interessi crescenti sino al 7%.

Il messaggio televisivo indicava, solo in caratteri estremamente ridotti, che trattavasi di proposta pubblicitaria e che vi era la necessità di leggere tutte le condizioni contrattuali, accedendo al sito web di Unicredit, o chiedendone copia presso una delle filiali della banca.

Il prodotto bancario veniva, inoltre, pubblicizzato mediante messaggi radiofonici ove era sostanzialmente riportato il messaggio di cui sopra, rinviando al call center per tutte le informazioni dettagliate in merito a "conto risparmio più".

L'AGCM ha sanzionato la campagna pubblicitaria di Unicredit, accertando che alcune delle informazioni fornite attraverso il messaggio proposto ai consumatori erano parziali, non rappresentando la reale performance del prodotto bancario.

Osserva l'Authority "dagli atti si evince che il tasso di interesse pubblicizzato, che fino al 2012 era pari al 7% e successivamente pari agli inferiori importi indicati nella TAB 1, è riconosciuto esclusivamente per il quinto anno di vincolo delle somme depositate, mentre nei quattro anni precedenti i tassi di interesse sono notevolmente inferiori. Inoltre, è previsto un vincolo temporale minimo di diciotto mesi delle somme depositate, sono imposte limitazioni per svincoli successivi ed è richiesto un deposito minimo di 5.000 euro.

Pertanto, i messaggi oggetto del presente procedimento sono idonei ad indurre in errore i consumatori con riguardo all'effettivo rendimento ottenibile complessivamente dal prodotto e alle sue caratteristiche, in quanto omettono di fornire tutte le informazioni essenziali per effettuare una scelta finanziaria consapevole.

In particolare, i messaggi omettono di specificare o non evidenziano con sufficiente chiarezza, che il tasso di interesse massimo, superiore a quello offerto nel medesimo periodo da operatori commerciali concorrenti per conti di deposito con vincolo a dodici mesi, è riconosciuto, in realtà, solo ad esito di un vincolo di lunga durata, ovvero di cinque anni, ed esclusivamente per il quinto anno".

Il messaggio pubblicitario, quindi, ha rappresentato solo parzialmente le caratteristiche del prodotto bancario, favorendo l'errore in chi lo visioni e non riesca a comprenderne a pieno le caratteristiche del prodotto bancario.

L'Autorità Garante Concorrenza e Mercato ha, quindi, sanzionato Unicredit per violazione dell'art. 27, comma 9 del Codice del Consumo, per pratica commerciale scorretta. 

Potete leggere, di seguito, il Provvedimento n. 24402/2013. 

AGCM Provvedimento n. 24402 2013

sabato 27 luglio 2013

"Non tocca ai risparmiatori salvare l'economia del paese"

Fonte: "La Stampa"
 venerdì 5 luglio 2013 
Professore, il tesoretto accumulato dai Piemontesi in questi anni è un'ulteriore conferma del fatto che la crisi spinge a non investire la propria ricchezza?
«Mantenere liquidità per far fronte a eventuali periodi di difficoltà è un comportamento del tutto logico. I 110 miliardi accumulati dai piemontesi e depositati sui conti correnti, in particolare, si spiegano con le preoccupazioni che spingono i risparmiatori a non rischiare comprando titoli, fondi ecc. che possono sempre scendere di prezzo o peggio»
Però, passare dai 55 miliardi del 2005 ai 110 del 2012 nonostante una crisi economica così pronunciata è singolare...

«È sicuramente un dato significativo per il Piemonte. Meriterebbe solo capire in che misura all'aumento dei depositi corrisponde una diminuzione degli investimenti a medio-lungo termine».

Consumi e investimenti sono crollati: risparmiare così tanto fa male all'economia sul lungo periodo?

«In altri termini tali comportamenti non sarebbero etici? Io non credo che il singolo risparmiatore debba porsi l'obiettivo di contribuire a salvare l'economia del Paese (e in che modo poi?). Se vuole privilegiare la liquidità, evitando investimenti di lungo periodo, non c'è nulla di biasimevole in tale scelta»

Tutta questa liquidità di cui le banche dispongono non potrebbe essere impiegata per concedere prestiti alle imprese?

«In teoria sì, con una tale disponibilità sarebbe possibile erogare mutui e prestiti vari. Ma i banchieri, non solo in Italia, preferiscono comprare titoli di Stato e soprattutto del proprio Stato. Tale comportamento favorisce i buoni rapporti coi loro rispettivi governi. Si è creata una complicità tacita, se non esplicita, fra banchieri e politici, da alcuni giustamente criticata»

Ma ciò va a scapito di investimenti altrettanto necessari per la ripresa...

«Sì, d'altro canto prestare denaro a imprese può comportare rischi anche maggiori. C'è poi un altro aspetto di cui tener conto: stiamo parlando di risparmi accumulati dai piemontesi, ma non bisogna pensare che tali risparmi verrebbero per forza reinvestiti in Piemonte. Negli istituti bancari le scelte di fondo su come impiegare le risorse non vengono prese a locale. Insomma, l'ultima parola su come utilizzare quella liquidità spetta alle sedi centrali e non alle sedi territoriali»

Esistono strumenti alternativi al deposito bancario per i propri risparmi?

«Certo, una valida alternativa sono i buoni fruttiferi postali. Esattamente come da un conto corrente, conto deposito o libretto non vincolato è sempre possibile prelevare quanto investito senza rischi di perdite. In più non c'è nessun costo o commissione e invece, volendo, una protezione dall'inflazione. Ovviamente poi uno può investire in impieghi a medio-lungo termine (Btp, obbligazioni, azioni ecc.), ma la scelta tra mantenere liquide le proprie risorse o investirle altrimenti, spetta solo e unicamente al singolo risparmiatore».










domenica 14 luglio 2013

Recupero crediti e pratica commerciale aggressiva - interviene l'Antitrust

Questa domenica proponiamo il recente provvedimento amministrativo con il quale l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato una società di recupero crediti per pratica commerciale aggressiva.

Il soggetto sanzionato aveva, come si evince dalla lettura del provvedimento, inoltrato a molti consumatori, attraverso vari avvocati, atti di citazione presso diverse sedi dei Giudici di Pace, chiedendo il pagamento di determinati crediti.

Le varie azioni legali, però, non sono mai effettivamente partite in quanto le domande giudiziali non sono state successivamente iscritte a ruolo presso le diverse cancellerie dei GdiP.

La pratica commerciale contestata dall'Antitrust alla società è quella di aver minacciato di promuovere azioni legali manifestamente temerarie o infondate, in quanto aventi ad oggetto crediti scaduti o prescritti.

L'invio dell'atto di citazione aveva come unico fine quello di mettere pressione psicologica sui consumatori, e costringerli a pagare crediti ormai inesistenti.

AGCM - Provvedimento 15/06/2013

domenica 7 luglio 2013

Le Sezioni Unite della Cassazione decideranno in merito alla legittimità della TCG

La Tassa di Concessione Governativa (conosciuta anche con l'acronimo TCG) è una imposta che lo Stato Italiano, dal 1995, richiede agli intestatari di abbonamento a telefonia mobile.

E’ una imposta introdotta con il DPR 26 ottobre 1972, n. 641 ("Disciplina delle tasse sulle concessioni governative"), normativa successivamente adeguata alle novità legislative comunitarie, ed è ancora oggi riscossa dall’ Agenzia delle Entrate attraverso le compagnie telefoniche, le quali trattengono euro 12,91 mensili, nel caso di contratto intestato ad azienda o ditta individuale, e di euro 5,16 se l’utenza è intestata a privato.

Negli ultimi anni la legittimità della TCG è stata messa in discussione, e sono aumentate le decisioni con le quali le commissioni provinciali hanno dichiarato la illegittimità di questa pretesa dello Stato (vedi).

La Cassazione, invece, ha sempre assunto una posizione contraria, ossia ha ritenuto legittima la pretesa dello Stato, affermando che tale imposta è giustificata dalla concessione governativa prevista per coloro che intendono usufruire del servizio pubblico.

Questo orientamento è stato, però, rivisto di recente dalla Corte di Cassazione, la quale ha rimesso alle Sezioni Unite della Cassazione la questione legittimità della TCG.

La Cassazione, con Ordinanza n. 12056 del 2013 e che è possibile leggere di seguito, ha ritenuto che la questione debba essere decisa dalle Sezioni Unite della Cassazione, la quale è stata chiamata a risolvere il contrasto.

La Cassazione ha, in particolare, evidenziato che la riforma nel settore delle telecomunicazioni intervenuta nel 2003, con il D. Lgs. 259/2003, ha reso tutt'altro che certa l'applicazione della Tassa di Concessione Governativa nei confronti degli intestatari di abbonamento di telefonia mobile.

Vi sarebbe, o almeno questo si può intendere dall'Ordinanza della Cassazione, un vuoto legislativo in materia, o comunque non vi sarebbero i presupposti di legge per la pretesa tributaria fatta valere nei confronti dei contribuenti.

In particolare, osserva la Cassazione, il contratto sottoscritto dal cliente con la compagnia telefonica non può essere equiparato a documento sostitutivo del provvedimento amministrativo (licenza di esercizio)  che giustifica il pagamento dell'imposta per la concessione governativa da parte del contribuente.

Per tali ragioni, quindi, la Corte ha ritenuto necessario l'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, al fine di chiarire in modo definitivo la questione ed appurare se l'amministrazione finanziaria può chiedere il pagamento della concessione governativa ai contribuenti.

Cosa fare? come abbiamo già suggerito in una trasmissione radiofonica di Trentino inBlu, conviene inviare una lettera di diffida all'Agenzia delle Entrate, nonché alla compagnia telefonica, per chiedere la restituzione delle somme trattenute a titolo di imposta TCG.

Con la lettera dovete bloccare i termini di prescrizione e chiedere l'immediata restituzione delle somme illegittimamente trattenute dallo Stato (vedi).

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