Highlights Consumatore informato

Caricamento notizie in corso...

giovedì 11 gennaio 2024

Mutuo e extra costi non dovuti: ecco il pensiero del giudice comunitario

L'ultima sentenza che segnaliamo nel 2023 ha ad oggetto il contratto di mutuo e la validità della clausola abusiva con la quale sono previsti dei costi ed interessi eccessivi rispetto al credito concesso.

Al giudice comunitario si è rivolto un tribunale polacco, facendo seguito ad una causa avviata da tre consumatori che avevano stipulato contratti di finanziamento, ove risultava che i mutuatari devono pagare, oltre alla somma presa a prestito maggiorata degli interessi, ulteriori spese e commissioni aggiuntive. 

Il costo effettivo del credito risulta, di conseguenza, estremamente eccessivo e, a parere dei ricorrenti, irragionevole di tali costi, tant'è che la richiesta formulata al giudice polacco è l'accertamento del carattere abusivo delle clausole

Quest'ultimo ha interpellato la Corte di giustizia dell'Unione europea per comprendere l'interpretazione della norma comunitaria rispetto al diritto polacco, al fine di avere un quadro complessivo in materia di clausole abusive in materia di contratti di finanziamento.

Il giudice comunitario ha ribadito alcuni principi:

(1) E' abusiva la clausola che prevede un pagamento "sproporzionato" di costi e spese

In primo luogo, è abusiva la clausola che imponga al contraente di un contratto di mutuo costi extra interessi, laddove sia accertato che le spese o le commissioni determinate a carico del consumatore siano manifestamente sproporzionate rispetto al servizio fornito in cambio.

(2) La clausola abusiva non rende invalido tutto il contratto - nullità parziale

L'accertamento del carattere abusivo della clausola avente ad oggetto eccessivi costi non rende invalido l'intero contratto di finanziamento, ma la sola clausola nulla concretizzando una ipotesi di nullità parziale rimanendo valide le restanti clausole salvo che non vi sia un eccessivo squilibrio nel contratto.
 
(3) Interesse del consumatore all'accertamento del carattere abusivo

L'accertamento del carattere abusivo di una clausola può essere fatto valere da un consumatore solo nel caso in cui abbia uno specifico interesse ad agire.

La Corte spiega l'azione giudiziaria è supportata da interesse laddove sia "diretta a far accertare l’inopponibilità di una clausola abusiva contenuta in un contratto stipulato con un professionista, la prova di un interesse ad agire, qualora si ritenga che un siffatto interesse non sussista quando tale consumatore dispone di un’azione di ripetizione dell’indebito o quando egli può far valere detta inopponibilità nell’ambito della propria difesa contro una domanda riconvenzionale di adempimento presentata nei suoi confronti da tale professionista sulla base di detta clausola.".

Corte di giustizia UE - Sez. IV^ C- 321/22.

domenica 31 dicembre 2023

Cessione in blocco di crediti bancari - legittimazione della finanziaria acquirente

Questa domenica torniamo a trattare la cartolarizzazione dei crediti bancari, e la legittimazione della società acquirente a poter pretendere il pagamento della somma verso il cliente consumatore.

Abbiamo già avuto modo di trattare l'argomento (vedi qui), ma la recente sentenza n. 21821 del 20 luglio 2023 pubblicata dalla Suprema Corte di Cassazione, ci suggerisce di tornare sul tema della prova che il cessionario di crediti in blocco ex art. 58 TUB attesti la propria titolarità del credito e la conseguente legittimazione.

E' noto che in materia di cessione di crediti bancari opera una deroga ai generali principi civilistici di cui agli artt. 1260 c.c. ed in particolare l'art. 1264 c.c., in forza dell'art. 58 TUB, norma che esonera il nuovo creditore dall'ottenere il consenso da parte del debitore ceduto.

L’art. 58, comma II^, TUB prevede che la banca cessionaria pubblichi in Gazzetta Ufficiale l'intervenuta cessione del credito e ciò ai fini dell'opponibilità di tale circostanza ai debitori ceduti.

Ma la mera pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ha valore probatorio attestante la cessione del credito e la legittimazione dell'acquirente all'avvio dell'azione esecutiva verso il debitore?

La Cassazione ha affrontato questo particolare profilo, partendo da una vicenda ove l'intermediario bancario aveva ottenuto il credito all'interno di una cessione in blocco (cartolarizzazione), con comunicazione dell'operazione attraverso l’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale unitamente alla dichiarazione della banca cedente che dava atto dell’intervenuta cessione.

La Corte d’Appello di Aquila aveva ritenuto non sufficiente, ai fini della legittimazione del creditore, la mera produzione in giudizio della documentazione appena richiamata, sostenendo che “la relativa prova passava necessariamente mediante la produzione del contratto di cessione, ovvero altra documentazione contrattuale negoziata con la banca cedente riconducibile al rapporto ceduto”.

Il Giudice di legittimità ha ritenuto, al contrario, che “in caso di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell’art. 58 TUB, è sufficiente, allo scopo di dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario, la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione, sicché, ove i crediti ceduti sono individuati, oltre che per titolo (capitale, interessi, spese, danni, etc.), in base all’origine entro una certa data ed alla possibilità di qualificare i relativi rapporti come sofferenze in conformità alle istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, il giudice di merito ha il dovere di verificare se, avuto riguardo alla natura del credito, alla data di origine dello stesso e alle altre caratteristiche del rapporto, quali emergono dalle prove raccolte in giudizio, la pretesa azionata rientri tra quelle trasferite alla cessionaria o sia al contrario annoverabile tra i crediti esclusi dalla cessione”.

In altri termini, la Cassazione ritiene sufficiente, ai fini della prova della legittimazione della finanziaria, la mera produzione dell'avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale, sempreché contenga in modo chiaro ed univoco i dati dai quali emerga che il credito per il quale agisce è ricompreso tra quelli oggetto di cessione in blocco.

Diversamente, sarà necessario produrre ulteriori documenti che dimostrino la sua titolarità del credito per il quale agisce in giudizio.

Qui di seguito, la sentenza n. 21821/2023 della Cassazione. (visibile con browser Opera - VPN attivo).

giovedì 28 dicembre 2023

Si all'Antitrust che sospende il trasferimento di clienti tra Intesa Sanpaolo e Isybank

Fonte: comunicato stampa
30 novembre 2023
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha adottato un provvedimento cautelare nei confronti di Intesa Sanpaolo e di Isybank per impedire il passaggio alla banca digitale dei correntisti che non forniscano il proprio consenso espresso. Questa operazione al momento ha riguardato circa 300 mila clienti su un totale di 2,4 milioni che Intesa Sanpaolo intenderebbe trasferire a Isybank. Sono stati oltre 5.000 i consumatori (di cui più di 3.000 dopo l’avvio dell’istruttoria) che hanno chiesto l’intervento dell’Autorità.

Per l’Autorità il trasferimento è stato previsto con modalità non conformi alle disposizioni del Codice del Consumo.

mercoledì 29 novembre 2023

Credito bancario: il giudice chiarisce quando è legittima la cartolarizzazione

Il provvedimento oggetto della nostra segnalazione riguarda una particolare forma di tutela dei consumatori che deve essere garantita anche in vicende molto delicate (e dolorose), come ad esempio nel caso di pignoramento e vendita della casa del debitore.

Molto spesso, il pignoramento immobiliare viene avviato e portato avanti dalla banca che deve recuperare il proprio credito verso il cliente che non ha pagato le rate del mutuo, o comunque non ha adempiuto a tutti gli obblighi monetari verso l'istituto di credito.

Questi crediti sono, in talune circostanze, oggetto di cartolarizzazione, venendo venduti ad una particolare società, S.P.V. (special purpose vehicle), chiamata a gestire massa di posizioni debitorie, nella ricerca del recupero della somma a credito.

Il Tribunale di Termini Imerese, con un recentissimo provvedimento molto ben articolato e che potete trovare di seguito, ha avuto modo di chiarire (e chiarirci) come avviene questo procedimento di cartolarizzazione e quali requisiti devono essere rispettati.

Nella vicenda di cui trattasi, una banca aveva cartolarizzato un insieme di crediti, cedendoli ad una S.P.V., la quale aveva avviato una azione di pignoramento di un immobile di un debitore, per uno dei crediti ricevuti.

Il debitore aveva proposto opposizione al pignoramento immobiliare, contestando alla società mandataria la sua legittimazione ad agire verso il debitore, per omesso rispetto della normativa di settore.

Il giudice, dovendo dare seguito alla contestazione sollevata dal consumatore, ha operato una interessante ricostruzione delle norme che regolano la cartolarizzazione bancaria.

Questa particolare forma di cessione dei crediti bancari è regolata dalla Legge n. 130/1990, la quale prevede il seguente schema:

1.- una banca che disponga di una serie di crediti bancari "in difficoltà" (ossia con clienti che non pagano le rate), li vende ad un soggetto terzo, usualmente una società di cartolarizzazione o S.P.V.;

2.- Quest'ultima emette dei titoli (obbligazioni o notes) incorporati ai singoli crediti acquistati, collocandoli sul mercato mobiliare al fine di ottenere la liquidità necessaria per poter pagare la banca cedente e le spese necessarie per il recupero del credito;

3.- In seguito procede con le azioni giudiziarie al recupero del credito, al fine di rimborsare l'acquirente dell'obbligazione della somma ricevuta, aumentata di interessi e ottenere, allo stesso tempo, un profitto dall'intera operazione. 

E' chiaro che il valore a cui viene ceduto il credito dalla banca alla S.P.V. è inferiore rispetto a quello effettivamente dovuto dal cliente inadempiente, e per il quale la società cartolarizzante procede con le azioni esecutive di recupero del credito.

Per quest'ultima attività di recupero del credito (definita anche attività di servicing), la  S.P.V. si avvale di altra società mandataria chiamata ad eseguire l'attività pratica di recupero dei crediti attraverso un servizio di riscossione.

La legge n. 130/1999 prevede che queste società incaricate devono presentare particolari requisiti, certificati attraverso la loro iscrizione all'art. 106 del Testo Unico Bancario, trattandosi di attività riservata.

La Banca d'Italia, con comunicazione datata 11 novembre 2021, a peraltro previsto la possibilità di prevedere una forma alternativa di servicing: "In particolare, a fronte di una cornice normativa fondata sulla centralità del servicer quale soggetto sottoposto a vigilanza prudenziale, si sono affermate prassi caratterizzate da una netta distinzione tra il cd. “master servicer”, soggetto vigilato responsabile dei soli compiti di garanzia, non delegabili, previsti dalla legge n. 130/99 e lo “special servicer”, operatore incaricato delle attività di recupero, titolare di licenza ex art. 115 TULPS ma non vigilato da questo Istituto. 

L’affidamento allo “special” dell’incarico di recupero avviene sovente mediante schemi contrattuali complessi, che ruotano intorno alla figura dell’investitore (anche nella scelta dello special stesso) e relegano su un piano meramente formale il ruolo del servicer vigilato, con incertezze nell’individuazione del perimetro delle responsabilità, nell’ambito della gestione del portafoglio soprattutto nelle ipotesi di underperformance dei recuperi. Ne è conseguita opacità nella individuazione dei soggetti effettivamente coinvolti nelle attività di recupero dei crediti e limitazioni ai poteri dell’Organo di vigilanza, a fronte di un impianto normativo che invece attraverso il presidio sull’esternalizzazione di funzioni operative importanti (FOI), mira ad assicurare che i servicers siano in grado di monitorare e gestire i rischi connessi alle attività affidate a soggetti terzi, rimanendone responsabili.".  

Di fatto, viene prevista anche la possibilità di avere un "master servicer" iscritto all'Albo previsto a mente dell'art. 106 TUB ed un "special servicer" titolare di licenza ex art. 115 TULPS, che svolge tutte le attività pratiche e funzionali per il recupero del credito e che rimane sotto il controllo e responsabilità del "master servicer".

Tutti questi passaggi sono considerati necessari per accertare la titolarità del credito e la legittimità della pretesa avanzata dalla S.P.V. verso il debitore, con i controlli del caso così come operati dal giudice nella vicenda che potete leggere di seguito.

In conclusione, la società che agisce in giudizio per il recupero di un credito cartolarizzato deve provare di essere iscritta all'albo art. 106 TUB (o titolare di licenza ex art. 115 TULPS) e in assenza di tale presupposto, la stessa deve ritenersi non legittimata al recupero del credito.

Tribunale di Termini Imerese - provvedimento del 10 novembre 2023. (Visibile con browser Opera - VPN attivo)

martedì 31 ottobre 2023

Consulente finanziario combina guai con l'aiuto del cliente? ridotto il risarcimento del danno

Sono sempre frequenti le vicende che riguardano investitori rimaste vittime dalla condotta scorretta dei consulenti finanziari e/o promotori, i quali causano danni al patrimonio del cliente o, ancor peggio, si appropriano del denaro di quest'ultimo.

In questo blog abbiamo descritto molte di queste vicende, anche quelle che hanno riguardato i finti promotori finanziari (vedi qui), ma anche i casi più semplici di professionista scorretto ed infedele, oppure che opera al di fuori del mandato ricevuto.

In generale, la banca per la quale il consulente presta la propria opera è chiamata a rispondere per i danni cagionati dal proprio dipendente (un esempio), in forza dell'art. 31 comma 3 del Testo Unico della Finanza.

Può accadere, però, che l'inerzia del cliente o, ancor peggio, l'acquiescenza dello stesso alla condotta scorretta del consulente possa essere valutato come elemento che attenua o esclude la responsabilità del promotore infedele.

Stiamo trattando quella che nel nostro codice civile viene definito con il concorso di colpa del creditore disciplinato all'art. 1227 "Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito  secondo  la  gravità  della  colpa  e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore  avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.".

E' il caso affrontato dall'arbitro per le controversie in materia finanziaria, con la decisione n. 6159/2022 che trovate di seguito.

Nel caso di specie, il consulente finanziario aveva tenuto una condotta spregiudicata con le somme messe a disposizione dello stesso dal cliente, con investimenti che si sono rivelati poco soddisfacenti con riduzione del patrimonio dell'investitore.

La vicenda è finita davanti all'arbitro, il quale è stato chiamato ad affrontare diverse eccezioni che non vengono in questa sede trattate, operando infine una valutazione complessiva della condotta tenuta dalle parti, ossia sia il promotore della banca che il cliente.

Se da un lato, l'ACF ha appurato la condotta inadempiente tenuta dal consulente, il quale aveva omesso di informare l'investitore in merito alla tipologia, natura e rischi dei vari investimenti, nonchè non effettuare alcuna valutazione di adeguatezza, dall'altra è stato accertato che il cliente ha partecipato attivamente alla creazione del danno lamentato.

L'aver avvallato gli investimenti spregiudicati, oppure non l'aver evidenziato che certe operazioni erano contrarie al proprio profilo di rischio può essere manifestazione di consenso alla condotta scorretta del professionista e può giustificare una riduzione del danno subito così come chiarito dall'ACF: "appare meritevole di accoglimento l’eccezione, formulata dal resistente, riguardo ad un concorso di colpa della ricorrente nella produzione del danno. Sotto questo profilo appare particolarmente rilevante la circostanza che è la stessa ricorrente ad ammettere di avere creato condizioni favorevoli alla possibilità che il consulente sviluppasse un’attività più rischiosa e non in linea con una sua propensione maggiormente conservativa, accettando di sottoscrivere un questionario che pure sapeva non riflettere adeguatamente il proprio profilo di investitrice. Né si può sottacere che altro profilo di poca diligenza della ricorrente è consistito nell’aver tollerato che questa attività si protraesse per più anni, senza preoccuparsi di monitorare i propri investimenti e di confrontarsi periodicamente con il consulente.".

Arbitro per le Controversie Finanziarie - decisione n. 6159/2022. (visibile con browser Opera - VPN attivo).

venerdì 29 settembre 2023

Responsabilità per investimento negativo: il nesso causale può essere presunto

Il provvedimento della Cassazione oggetto del nostro intervento odierno rientra nel florido, mai esaurito, filone delle pronunce in materia di vendita di titoli obbligazionari Argentina, vicenda che ha riguardato molti risparmiatori coinvolti nel crack dello Stato sudamericano del 2001 (vedi qui).

La recente ordinanza della Suprema Corte ha il merito di ricordare alcuni principi che caratterizzano la responsabilità dell'intermediario finanziario nella vendita dei tango bond, ed in particolare ha voluto analizzare il nesso causale (collegamento) tra la violazione degli obblighi informativi gravanti sulla banca e il danno occorso all'investitore.

La banca, infatti, risponde per i danni derivanti dai dalla violazione dei propri doveri di informazione al cliente, al quale omette di rendere noto il rischio di investimento piuttosto che il proprio conflitto di interessi o l'inadeguatezza dell'operazione finanziaria.

Richiamando i precedenti già intervenuti in materia (Cass. 29 dicembre 2011, n. 29864 - Cass. 27 aprile 2018, n. 10286 - Cass. 14 novembre 2018, n. 29353) il provvedimento ricorda che la banca deve risarcire il danno cagionato all'investitore qualora abbia provveduto alla vendita senza aver adempiuto ai propri obblighi informativi.

Il danno risarcibile consiste, osserva la Cassazione, "«nell'essere stato posto a carico di detto cliente un rischio, che presumibilmente egli non si sarebbe accollato»: danno che può essere poi liquidato in misura pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento dell'acquisto e quello degli stessi al momento della domanda risarcitoria.".

Tale obbligo informativo non può essere limitato (o addirittura escluso) dalla circostanza che l'investitore sia esperto e propenso ad investimenti ad alto rischio, in quanto la banca è comunque obbligata a fornire al cliente tutte le informazioni inerenti la natura, i rischi  e le caratteristiche del valore mobiliare oggetto di compravendita.

Corte di Cassazione - Sez. I^ Civ. - Ordinanza n. 18293/2023 (visibile con brower Opera - VPN attivo)

mercoledì 2 agosto 2023

Danni subiti dal consulente finanziario? la banca risarcisce il cliente

Sono sempre frequenti i danni subiti dagli investitori che si sono affidati ai consulenti finanziari (o i promotori o family banker), i cui suggerimenti non sono risultati così positivi e corretti.

Spesso, però, i danni cagionati dal promotore finanziario sono conseguenti da condotte scorrette ed in violazione dei doveri a cui il professionista deve attenersi quando entra in contatto con il cliente.

Il caso affrontato dal Tribunale di Milano, con il provvedimento che trovate di seguito, riguarda l'ipotesi in cui il promotore/consulente, in violazione delle norme previste in materia, si fa consegnare dal cliente la somma di denaro (o l'assegno bancario) dietro la promessa di destinare tale importo all'investimento con la banca.

Accade, invece, che la somma viene trattenuta dal professionista, il quale fa credere all'investitore di aver operato in suo favore attraverso falsa documentazione.

L'art. 31 del  D. Lgs. n. 58/1998 (T.U.F.) dispone che la banca debba rispondere per i danni cagionati dal promotore finanziario: "Il soggetto che conferisce l'incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal consulente finanziario abilitato all'offerta fuori sede, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale".

La responsabilità della banca è, come ribadito dal Tribunale di Milano, oggettiva e quindi l'intermediario risponde per qualsiasi danno causato dalla condotta del promotore finanziario.

La sentenza chiarisce il presupposto che origina la responsabilità della banca per il comportamento illecito del promotore: "[...] all'allocazione del danno per il solo effetto della riconducibilità dello stesso alle mansioni affidate al preposto secondo il criterio del "nesso di occasionalità necessaria". Secondo la giurisprudenza, invero, affinché sussista la responsabilità della banca è necessario che ricorrano i seguenti presupposti: il rapporto di presupposizione, ossia un rapporto che implichi un potere di direzione e vigilanza del preponente sul preposto; il fatto illecito commesso dal preposto; il nesso di occasionalità necessaria tra incombenze affidate e danno arrecato. Con riguardo in particolare all'occasionalità necessaria, si ritiene che tale requisito sia ravvisabile in tutte le ipotesi in cui il comportamento del promotore rientri nel quadro generale delle attività funzionali dell'intermediario finanziario che lo ha assunto e lo retribuisce per le incombenze che gli affida."

Il criterio della occasionalità necessaria, presupposto per l'identificazione della responsabilità della banca per il danno cagionato dal promotore, si poggia su due principi:

a.- il consulente/promotore deve aver compiuto la condotta contestata nello svolgimento della propria attività;

b.- la banca deve aver agevolato la condotta illecita del promotore, ad esempio omettendo l'attività di vigilanza sulla sua attività.

Nel caso di specie, il Tribunale ha individuato la sussistenza del presupposto (a), nel fatto che il promotore lavorava per la banca all'epoca dei fatti, anche se lo stesso istituto di credito aveva affidato il cliente ad altro promotore nel 2003.

Spiega il Giudice: "Occorre a questo punto chiarire se il promotore abbia agito nell'ambito delle incombenze lui affidate dall'istituto bancario o se invece questi abbia operato al di là di detti confini, perpetrando condotte del tutto esorbitanti e idonee a interrompere il nesso di occasionalità necessaria, presupposto imprescindibile per radicare la responsabilità della Banca".

Nella fattispecie oggetto di giudizio, secondo il Tribunale risulta accertato che il consulente abbia utilizzato materiale della banca, spendendo il nome di quest'ultima nei confronti del cliente/vittima.

Sotto il secondo profilo (b), il giudice ritiene provata la carenza di vigilanza da parte dell'intermediario finanziario rispetto all'attività svolta dal suo promotore.

Accertata la responsabilità della banca, il Tribunale ha voluto accertare se il cliente abbia attivamente concorso alla causazione del danno ex art. 1227 c.c., osservando subito, però, che tale norma trova una applicazione particolare nei rapporti banca/cliente, nel senso che non può essere previsto uno specifico obbligo di diligenza in capo al contraente debole.

In termini più semplici, la responsabilità collusiva del cliente per il danno lamentato può sussistere solo nel caso in cui vi sia un comportamento collusivo o quantomeno di sua fattiva acquiescenza rispetto alla condotta del promotore (vedasi Cass Civ. Sez. III^ 30161/2018).

Nel caso di specie, nulla può essere contestato all'investitore, il quale deve essere risarcito per il danno cagionato dalla banca e dal suo promotore.

Tribunale di Milano - Sez. VI^ Civ. dott.ssa Adriana Cassano Cicuto

Trasforma questo post