lunedì 12 settembre 2022

Promotore finanziario infedele: quando paga la banca?

Nella casistica è molto frequente il caso del promotore finanziario (oggi “consulente finanziario” o “private banker”) che, con artifici e raggiri, sottrae la disponibilità del denaro del cliente, integrando di volta in volta diversi reati (ad esempio la truffa, l’appropriazione indebita di somme del cliente, e via dicendo); questa sottrazione è facilitata dalla scarsa accortezza dei clienti, che aderiscono alle richieste poco ortodosse provenienti dai consulenti infedeli.  

In linea molto generale (vedi qui), la giurisprudenza ordinaria applica le due norme fondamentali in materia, gli articoli 31, comma 3, Testo Unico Finanziario e 2049 codice civile, fino a riconoscere la responsabilità oggettiva dell’intermediario per qualsiasi fatto del promotore finanziario che abbia causato un danno al cliente.

Di fronte ad una responsabilità oggettiva dell’intermediario, nella quale si ragiona sul fatto materiale e non sulla colpa, è dunque necessario approfondire il concetto di occasionalità necessaria: esso indica lo stretto legame che sussiste tra l’incarico affidato dalla banca al consulente finanziario e il fatto, anche illecito, di quest’ultimo. Se il legame tra il fatto e l’incarico permane, allora è possibile tenere la banca come responsabile solidale. 

Si potrebbe, a questo punto, anche affermare che la banca integri di un contatto sociale qualificato, che le imporrebbe di vigilare sul fatto materiale del promotore: ma resta pur sempre che la essa deve conservare una sfera di  dominio sui fattori che causano l’evento; altrimenti vi sarebbe uno scollamento evidente tra la posizione di garanzia e il fatto materiale.

In sintesi, la responsabilità or ora commentata sussiste: 

- se il danno è stato cagionato dal promotore nello svolgimento della propria attività;

- se la banca ha agevolato il promotore a cagionare il danno.

Tuttavia, anche se la protezione offerta al cliente è apparentemente così ampia, occorre che il consumatore presti estrema attenzione a come i rapporti col consulente si dipanano nella loro concretezza e materialità: almeno è questa la massima di prudenza che si ricava dalla pronuncia oggi in commento del Tribunale di Milano datata 21 luglio 2020. 

La circostanza che l’intermediario sia una figura remota a sfondo dei funambolismi del consulente finanziario non è sempre la garanzia di un’automatica “rivalsa” verso la banca, allorquando quando il promotore si dilegua con le somme distratte. 

Vediamo, più nel dettaglio, la vicenda, evidenziando proprio quegli elementi che, secondo il giudice meneghino, hanno portato addirittura ad escludere che il promotore effettuasse la gestione del patrimonio del cliente sotto l’egida della banca intermediaria. La vicenda, infatti, presenta gli elementi sintomatici di un rapporto di preposizione nella quale viene del tutto travalicata l’attività istituzionale del consulente finanziario nell’alveo della banca.  

Nell’arco di trent’anni il medesimo promotore ha gestito i capitali conferitigli dalla famiglia di un cliente della banca: dapprima quelli del padre e del figlio, che sul finire degli anni novanta hanno conferito ingenti capitali in effetti contanti ai fini di investimento finanziario da effettuarsi presso l’istituto di credito; quindi quelli del solo figlio, nel frattempo divenuto erede, il quale ha venduto gli immobili paterni e ha conferito le somme ricavate, sempre in effetti contanti, per rimpinguare il capitale destinato agli investimenti.  

Sennonché, quando il cliente ha manifestato il bisogno di ottenere liquidità, il promotore finanziario lo ha dissuaso a disinvestire le somme, poiché erano state tutte investite in operazioni a lungo termine su titoli esteri, il cui repentino disinvestimento avrebbe comportato delle ingenti perdite.

Peraltro, il rapporto di preposizione è stato proseguito anche dopo che il promotore finanziario aveva interrotto la collaborazione con la banca, sottacendo tale importante circostanza al cliente. Il rapporto è proseguito a titolo personale, in una cornice nella quale l’ex promotore, nonostante ulteriori solleciti da parte del cliente, non ha smobilitato tutti gli investimenti.

Soltanto in sede giurisdizionale è emerso che il promotore finanziario, tenendo due distinte contabilità, ha distratto diverse somme, riuscendo a fare registrare sul conto titoli del cliente (non quello della banca, s’intende) soltanto una minima parte degli strumenti finanziari

La restante parte, riferita invece ad imprecisati investimenti, né è mai stata registrata dalla banca né è mai stata rendicontata. Il cliente, infatti, non è stato in grado di dimostrare un solo ordine di acquisto di intestato alla banca, come pure un solo rendiconto ufficiale.

Anzi, le prove offerte del cliente consistono in rendicontazioni (o meglio, imprecise stime di valore) vergate dal promotore finanziarie in carta libera. A ciò si aggiunge che l’operatività del cliente è consistita nella consegna di denaro contante al promotore finanziario senza il rilascio di ricevute e in investimenti che non sono mai transitati dalla banca.

Le circostanze valorizzate dal giudice presentano concorrono ad escludere che la banca, pur essendo in una posizione di garanzia, avesse l’obbligo giuridico di attivarsi per impedire il fatto del promotore, il quale ha avuto la “diabolica” accortezza di separare le gestioni. Per di più, i conferimenti per gli investimenti sono avvenuti per effetti contanti o con assegni e, fatto determinante e aberrante, alcuni ordini di disinvestimento sono consistiti in richieste di ordini di bonifico a terzi per il pagamento di fatture passive della società amministrata dall’attore, come pure in assegni in bianco, consegnati da privati al cliente che, a propria volta, li ha versati in banca. 

Tribunale di Milano - Sez. VI^ Civ. sentenza del 20 luglio 2020

Responsabilità banca per attività del promotore - Tribunale di Milano by Consumatore Informato on Scribd

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