martedì 15 maggio 2018

I giudici italiani alla "rincorsa" dei bitcoin: controversie e soluzioni - nullo il contratto di commercializzazione a distanza di bitcoin privo di informativa precontrattuale

Come abbiamo già visto in passato (vedi qui), il bitcoin è una criptovaluta digitale distribuita e generata da una rete decentralizzata «peer to peer» (vale a dire, una rete di server uguali tra loro). Questo significa che non esiste alcuna banca o autorità centrale che stampa moneta e influenza il valore di un bitcoin, il quale è dunque affidato solo alle leggi della domanda e dell'offerta. Non c’è un ente centrale ma database distribuito che traccia le transazioni, e sfrutta la crittografia per gestire gli aspetti funzionali come la generazione di nuova moneta e l'attribuzione di proprietà dei bitcoin.

Il fatto che il bitcoin sia una criptovaluta tra le più controverse, elusive e diffuse nella nascente economia digitale, non significa, però, che i governi e le autorità di vigilanza non si stiano attivando per regolare il fenomeno. D'altronde, l'anonimato (o, ancor meglio, l'assenza di tracciabilità) di cui gode questa valuta digitale pone non pochi problemi sia sotto il versante fiscale che sotto quello dell'antiriciclaggio e del finanziamento del terrorismo internazionale (si veda, a tal riguardo, i pioneristici tentativi avviati sin dal D.Lgs. 231/2007 per porre un freno ai  movimenti virtuali di denaro riciclato). 

In questo quadro molto complesso e foriero di nuovi sviluppi, si muove la prima sentenza di un giudice italiano (v. sentenza n. 195/2017 del Tribunale di Verona) che equipara il bitcoin ad un contratto d'investimento. 

Il caso prende le mosse da una società che ha effettuato il bonifico di un'ingente quantità di valuta reale per ottenere da un intermediario finanziario la "consegna" virtuale di valuta bitcoin, ed acquistare su un portale online le quote di partecipazione di una "start up". Tuttavia, per i medesimi non è stato possibile prelevare i bitcoin dall'account creato e gestito a distanza dall'intermediario, né riconvertirli a breve termine in valuta reale, e ciò fino al fallimento della società a cui faceva capo l'intermediario. Come si può notare, emerge il problema della distanza e " virtualità" delle transazioni e, soprattutto, dell'assenza di precisi oneri di informativa da ricondurre, eventualmente, a siffatta operazione. 

Infatti, la motivazione offerta dal giudice rispetto alla domanda di nullità dell'attore ha preso le mosse, testuali parole, dal "rapporto (necessariamente contrattuale) che si perfezionò tra gli odierni attori e la società convenuta, in forza del quale - al di fuori della benché minima "puntuazione" informativa e di qualsivoglia tracciatura formale (...) ebbe luogo il cambio di valuta reale con "bitcoin"." 

In altre parole, si è trattato, in primo luogo, di dare una qualificazione contrattuale all'operazione in esame e, in secondo luogo, di verificare se questa andava assoggettata alla disciplina consumeristica sugli oneri informativi a favore dell'investitore non professionista. 

Sotto il primo versante, il giudice, rifacendosi a definizioni già offerte dalla Corte di Giustizia, ha così statuito: " 
L’operazione di cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti è qualificabile - dal lato dell’operatore - come attività professionale di prestazioni di servizi a titolo oneroso, svolta in favore di consumatori."

Infine, il giudice ha optato per ricondurre all'operazione in oggetto gli obblighi informativi precontrattuali previsti, nel dettaglio , dagli artt. 67 - decies e ss. cod. cons. ed, in sintesi, relativi alla tipologia di investimento ed alla loro adeguatezza verso il consumatore. Dall'inosservanza di tali obblighi discende la nullità (c.d. nullità relativa) del contratto e l'obbligo, da parte dell'intermediario, di restituire le somme. 

In conclusione, sebbene non si sia ancora trovato un punto fermo, è di particolare interesse come la giurisprudenza incominci a ricondurre tali fenomeni, così volatili, sotto categorie "forti" e richiedere oneri stringenti di informativa, alla stregua di un prodotto finanziario. 

Di seguito, il testo del provvedimento.

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