venerdì 17 settembre 2021

Mutuo in valuta estera - la clausola abusiva non invalida l'intero contratto

Questa domenica torniamo a trattare la vicenda prestiti in valuta estera, e  la validità di questi contratti proposte con insistenza anche ai consumatori italiani.

Abbiamo già trattato questo tipo di vicende (vedi qui), in quanto il presunto vantaggio nella conclusione di questo tipo di contratti di mutuo si è rapidamente azzerato a causa del valore del moneta e il cambio tra le divise. 

La Corte di Giustizia ha avuto modo di intervenire in questa maniera in più circostanze (vedi qui), fornendo alcuni importanti chiarimenti in merito all'applicazione dei principi comunitari all'interno dei vari stati.

Uno degli aspetti più controversi riguardanti questi contratti è legato alla validità dei prestiti, laddove sia riconosciuta la nullità della clausola che disciplina il calcolo del cambio tra le divise e, in ultima istanza, le rate mensili che devono essere pagate dal mutuatario.

Non di rado, il consumatore si è rivolto al giudice chiedendo che, accertata la invalidità del contratto nella parte in cui dispone il calcolo degli interessi dovuti dal mutuatario sulla base di criteri di cambio poco trasparente, disponga la nullità integrale del contratto.

La Corte di Giustizia ha, invece, chiarito che la singola clausola abusiva non può comportare l'automatica invalidità dell'intero contratto, dovendo invece comportare una mera nullità parziale che non compromette l'intero accordo intervenuto tra banca e consumatore.

In tale caso, il giudice nazionale deve limitarsi a sostituire la norma contrattuale nulla, integrando il contratto con la legge nazionale, ossia stabilire il tasso di interesse applicato al contratto in sostituzione di quello convenzionale dichiarato nullo.

"L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che, per quanto riguarda i contratti di mutuo conclusi con un consumatore, commini la nullità di una clausola relativa al divario nel cambio considerata abusiva e obblighi il giudice nazionale competente a sostituire a quest’ultima una disposizione di diritto nazionale che impone l’uso di un tasso di cambio ufficiale, senza prevedere la possibilità, per il giudice, di accogliere la domanda del consumatore interessato diretta all’annullamento dell’intero contratto di mutuo, quand’anche lo stesso giudice ritenga che la conservazione del contratto sia contraria agli interessi del consumatore, in particolare alla luce del rischio di cambio che quest’ultimo continuerebbe a sopportare in base ad un’altra clausola del contratto, purché in compenso il medesimo giudice, nell’esercizio del suo pieno potere discrezionale e senza che la volontà espressa dal consumatore possa prevalere su quest’ultimo, ravvisi che l’applicazione delle misure previste dalla normativa nazionale consente effettivamente di ripristinare la situazione di diritto e di fatto in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di tale clausola abusiva.".

Qui di seguito, la sentenza C-239/2019 del 2 settembre 2021.

SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)

2 settembre 2021 (*)


«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Clausole abusive – Direttiva 93/13/CEE – Articolo 1, paragrafo 2 – Articolo 6, paragrafo 1 – Mutuo denominato in valuta estera – Differenza tra il tasso di cambio applicabile al momento dell’erogazione delle somme mutuate e quello applicabile al momento del rimborso – Normativa di uno Stato membro che prevede la sostituzione di una clausola abusiva con una norma di diritto nazionale – Facoltà del giudice nazionale di pronunciare l’invalidità totale del contratto contenente la clausola abusiva – Eventuale considerazione della tutela offerta da tale normativa e della volontà del consumatore riguardante l’applicazione della stessa»

Nella causa C‑932/19, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Győri Ítélőtábla (Corte d’appello regionale di Győr, Ungheria), con decisione del 10 dicembre 2019, pervenuta in cancelleria il 20 dicembre 2019, nel procedimento 

JZ

contro

OTP Jelzálogbank Zrt.,

OTP Bank Nyrt.,

OTP Faktoring Követeléskezelő Zrt.,

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta da L. Bay Larsen, presidente di sezione, C. Toader e N. Jääskinen (relatore), giudici, avvocato generale: J. Kokott cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento, considerate le osservazioni presentate:

–        per la JZ, da L. Marczingós, ügyvéd;

–        per la OTP Jelzálogbank Zrt., la OTP Bank Nyrt. e la OTP Faktoring Követeléskezelő Zrt., da A. Lendvai, ügyvéd;

–        per il governo ungherese, da M.Z. Fehér e K. Szíjjártó, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da L. Havas e N. Ruiz García, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni, ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che contrappone JZ alla OTP Jelzálogbank Zrt., alla OTP Bank Nyrt. e alla OTP Faktoring Követeléskezelő Zrt. (in prosieguo, congiuntamente: la «OTP Jelzálogbank e a.») in merito ad una domanda di annullamento di contratti di mutuo basata sul carattere abusivo di alcune clausole in essi contenute.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3        A norma del tredicesimo considerando della direttiva 93/13:

«considerando che si parte dal presupposto che le disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri che disciplinano, direttamente o indirettamente, le clausole di contratti con consumatori non contengono clausole abusive; che pertanto non si reputa necessario sottoporre alle disposizioni della presente direttiva le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative nonché principi o disposizioni di convenzioni internazionali di cui gli Stati membri o la Comunità sono parte; che a questo riguardo l’espressione “disposizioni legislative o regolamentari imperative” che figura all’articolo 1, paragrafo 2 comprende anche le regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo».

4        L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva succitata prevede quanto segue:

«Le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative e disposizioni o principi di convenzioni internazionali, in particolare nel settore dei trasporti, delle quali gli Stati membri o la Comunità sono parte, non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva».

5        L’articolo 3 della suddetta direttiva è redatto nei seguenti termini:

«1.      Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

2.      Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto.

(...)».

6        L’articolo 4, paragrafo 2, della stessa direttiva recita:

«La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

7        L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 prevede che:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

Il diritto ungherese

8        Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della Kúriának a pénzügyi intézmények fogyasztói kölcsönszerződéseire vonatkozó jogegységi határozatával kapcsolatos egyes kérdések rendezéséről szóló 2014. évi XXXVIII. törvény [legge n. XXXVIII del 2014 relativa alla regolamentazione di determinate questioni connesse a una pronuncia della Kúria (Corte suprema, Ungheria) resa nell’interesse dell’uniformità del diritto in merito ai contratti di mutuo conclusi dagli istituti di credito con i consumatori; in prosieguo: la «legge DH 1»]:

«La presente legge si applica ai contratti di mutuo conclusi con i consumatori tra il 1º maggio 2004 e la data di entrata in vigore della presente legge. Ai fini della presente legge, rientrano nella nozione di contratti di mutuo conclusi con i consumatori tutti i contratti di mutuo o di credito, nonché di leasing finanziario basati su valuta estera (registrati o concessi in valuta estera e rimborsati in fiorini ungheresi) o su fiorini ungheresi e conclusi tra un istituto finanziario e un consumatore, se una clausola generale o una clausola che non sia stata oggetto di negoziato individuale ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, o dell’articolo 4, paragrafo 1, viene inserita nel suddetto contratto».

9        Ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2, di tale legge:

«1.      In un contratto di mutuo concluso con un consumatore, è nulla – a meno che non si tratti di una condizione contrattuale oggetto di negoziato individuale – la clausola in virtù della quale l’istituto di credito decide di applicare il tasso di acquisto al momento dell’erogazione dei fondi destinati all’acquisto del bene oggetto del mutuo o del leasing finanziario, mentre al rimborso si applica il tasso di vendita, o qualsiasi altro tasso di cambio di tipo diverso da quello fissato al momento dell’erogazione dei fondi.

2.      La clausola viziata da nullità in forza del paragrafo 1 è sostituita – fatto salvo il disposto del paragrafo 3 – da una disposizione che prevede l’applicazione del tasso di cambio ufficiale fissato dalla Banca nazionale [di Ungheria] per la valuta corrispondente, sia per quanto riguarda l’erogazione dei fondi sia per quanto riguarda il rimborso (compreso il pagamento delle rate mensili e di tutti i costi, le spese e le commissioni espressi in valuta)».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

10      Il ricorrente nel procedimento principale è un consumatore domiciliato in Ungheria. Le convenute nel procedimento principale sono tre istituti finanziari aventi anch’essi sede nel territorio ungherese.

11      Il 16 maggio 2007 il ricorrente nel procedimento principale ha concluso con la OTP Bank un contratto di prestito personale. Il 4 giugno 2007 lo stesso ha concluso con la OTP Jelzálogbank e la OTP Bank, un contratto di mutuo per l’acquisto di un’abitazione, garantito da un’ipoteca. Il 4 settembre 2008 ha concluso con la OTP Bank un contratto di prestito ai fini del rifinanziamento di un debito anteriore. I prestiti concessi in forza di questi tre contratti sono stati tutti denominati in valuta estera.

12      Successivamente, i primi due contratti sono stati risolti dalla OTP Bank e dalla OTP Jelzálogbank, che hanno ceduto i loro crediti alla OTP Faktoring Követeléskezelő. Per contro, il terzo contratto è cessato a seguito della sua esecuzione da parte del ricorrente nel procedimento principale.

13      Nell’ambito del ricorso proposto dinanzi alla Veszprémi Törvényszék (Corte di Veszprém, Ungheria), competente in primo grado, il ricorrente nel procedimento principale ha invocato la nullità dei tre contratti di mutuo summenzionati, eccependo, più in particolare, il carattere abusivo delle clausole di tali contratti che prevedevano che il tasso di cambio applicabile al momento dell’erogazione delle somme mutuate fosse diverso da quello applicabile a titolo di rimborso delle stesse. Con sentenza del 3 luglio 2019, il giudice di primo grado ha respinto tale ricorso in quanto infondato.

14      Il ricorrente nel procedimento principale ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio, la Győri Ítélőtábla (Corte d’appello regionale di Győr, Ungheria), sostenendo in particolare, da un lato, che le conseguenze del carattere abusivo di siffatte clausole relative a un divario nel cambio dovevano essere determinate conformemente alla sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak (C‑260/18, EU:C:2019:819) e, dall’altro, che le informazioni che gli erano state fornite dai mutuanti in merito al rischio di cambio erano insufficienti.

15      Dalla decisione di rinvio risulta che, nel corso del 2014, il legislatore ungherese ha adottato diverse disposizioni dirette a porre rimedio alle clausole che fissano in modo abusivo il tasso di cambio nell’ambito dei contratti di mutuo denominati in valuta estera conclusi con i consumatori. Pertanto, in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, della legge DH 1, è viziata da nullità, a meno che non sia stata oggetto di un negoziato individuale, una clausola contenuta in un contratto del genere ai sensi della quale, per quanto riguarda l’erogazione dei fondi, si applica il tasso di acquisto della valuta estera di cui trattasi, mentre, per quanto riguarda il rimborso, si applica il tasso di vendita di tale valuta o qualsiasi altro tasso di cambio di tipo diverso da quello applicato al momento dell’erogazione. Inoltre, il paragrafo 2 del medesimo articolo stabilisce che la clausola relativa al divario nel cambio, colpita da nullità, è sostituita, in forza di tale legge, da una disposizione volta all’applicazione di un unico tasso di cambio, fissato dalla Banca nazionale d’Ungheria per la valuta estera di cui trattasi.

16      La decisione di rinvio indica inoltre che, a seguito delle sentenze del 14 marzo 2019, Dunai (C‑118/17, EU:C:2019:207), e del 3 ottobre 2019, Dziubak (C‑260/18, EU:C:2019:819), un numero sempre maggiore di consumatori chiede ai giudici ungheresi di disporre l’annullamento integrale del proprio contratto di mutuo piuttosto che la sostituzione della clausola abusiva e la conservazione della parte residua di tale contratto, in quanto ritengono che l’applicazione delle disposizioni di diritto nazionale pertinenti non li tuteli sufficientemente. Tuttavia la maggioranza dei giudici aditi ritiene che, qualora non si possa accertare il carattere abusivo delle clausole relative al rischio di cambio, non sia per loro possibile annullare un contratto di mutuo a causa della sola invalidità delle clausole relative al divario nel cambio in esso contenute, e dunque estendere le conseguenze giuridiche dell’invalidità di queste ultime clausole all’intero contratto, discostandosi in tal modo dalle disposizioni dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della legge DH 1.

17      Inoltre in un comunicato stampa dell’11 ottobre 2019, la Kúria (Corte suprema) ha dichiarato che la sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak (C‑260/18, EU:C:2019:819), non ha aperto nuove possibilità di ricorso per i consumatori ungheresi, poiché le considerazioni svolte in quella sentenza, sul rimedio adeguato per il carattere abusivo delle clausole relative al divario nel cambio e al rischio di cambio, erano legate al fatto che il diritto polacco, esaminato nella causa che ha dato origine a tale sentenza, non prevedeva norme di carattere suppletivo come quelle introdotte dal legislatore ungherese, che erano state prese in considerazione nella sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282).

18      Pertanto il giudice del rinvio si chiede se le disposizioni dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della legge DH 1 siano incompatibili con l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in quanto le suddette disposizioni di diritto nazionale si applicano quand’anche il consumatore leso abbia espresso una volontà contraria, e se, in caso affermativo, dette disposizioni debbano essere disapplicate dal giudice adito.

19      Alla luce di quanto sopra, la Győri Ítélőtábla (Corte d’appello regionale di Győr, Ungheria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13] sia contrario a una norma di diritto nazionale che, in un contratto di prestito concluso con un consumatore, dichiara nulla – a meno che non si tratti di una condizione contrattuale negoziata individualmente – la clausola in virtù della quale l’istituto di credito decide che al momento dell’erogazione dei fondi destinati all’acquisto del bene oggetto del prestito o del leasing finanziario si applica il tasso d’acquisto, mentre al rimborso si applica il tasso di vendita, o qualsiasi altro tasso di cambio di tipo diverso da quello fissato al momento dell’erogazione dei fondi, e sostituisce tale clausola nulla, per quanto riguarda sia l’erogazione sia il rimborso, con una disposizione diretta ad applicare il tasso di cambio ufficiale [fissato] dalla banca nazionale [di Ungheria] per la valuta di cui trattasi, senza che si debba considerare se, tenuto conto di tutte le clausole del contratto, detta disposizione tuteli effettivamente il consumatore contro le conseguenze particolarmente lesive, e senza nemmeno dare la possibilità al consumatore di esprimere la propria volontà in merito a se intenda chiedere una tutela in forza di tale normativa».

Procedimento dinanzi alla Corte

20      Il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di sottoporre la presente causa a procedimento accelerato, in applicazione dell’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura. A sostegno della sua domanda, detto giudice ha riferito che migliaia di controversie simili erano all’epoca pendenti in Ungheria e che una risposta fornita rapidamente alla questione sottoposta alla Corte avrebbe contribuito ampiamente alla certezza del diritto e all’applicazione effettiva del medesimo.

21      Dall’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura risulta che, su domanda del giudice del rinvio o, in via eccezionale, d’ufficio, quando la natura della causa richiede un suo rapido trattamento, il presidente della Corte, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, può decidere di sottoporre un rinvio pregiudiziale a procedimento accelerato, in deroga alle disposizioni di detto regolamento di procedura.

22      Il 6 febbraio 2020 il presidente della Corte ha deciso, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, di respingere la domanda di procedimento accelerato.

23      Infatti, da una giurisprudenza costante della Corte emerge che il numero rilevante di persone o di situazioni giuridiche potenzialmente interessate dalla decisione che un giudice del rinvio deve adottare dopo aver adito la Corte in via pregiudiziale non può, in quanto tale, costituire una circostanza eccezionale tale da giustificare il ricorso a un procedimento accelerato. Lo stesso vale per il numero rilevante di cause che potrebbero essere sospese in attesa della decisione della Corte sul rinvio pregiudiziale [v., in tal senso, sentenze dell’8 dicembre 2020, Staatsanwaltschaft Wien (Ordini di bonifico falsificati), C‑584/19, EU:C:2020:1002, punto 36, e del 25 febbraio 2021, Gmina Wrocław (Conversione del diritto di usufrutto), C‑604/19, EU:C:2021:132, punto 47].

24      Inoltre, alla luce delle indicazioni fornite dal giudice del rinvio al riguardo, occorre precisare che una divergenza tra giudici nazionali quanto all’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, di per sé, non basta a giustificare che il rinvio pregiudiziale sia sottoposto a procedimento accelerato. L’importanza di garantire l’applicazione uniforme all’interno dell’Unione europea di tutte le disposizioni che fanno parte del suo ordinamento giuridico è infatti insita in ogni domanda presentata ai sensi dell’articolo 267 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 14 gennaio 2021, The International Protection Appeals Tribunal e a., C‑322/19 e C‑385/19, EU:C:2021:11, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

 Sulla questione pregiudiziale

Sulla ricevibilità

25      Nelle loro osservazioni scritte la OTP Jelzálogbank e a. in sostanza sostengono che la questione pregiudiziale è irricevibile in quanto non presenta alcun nesso con il procedimento principale ed è di natura ipotetica, giacché da un lato le clausole relative al divario nel cambio, che formano oggetto del procedimento principale, sono escluse dall’ambito di applicazione della direttiva 93/13 in forza dell’articolo 1, paragrafo 2, di quest’ultima, e dall’altro lato tali clausole sono inesistenti a motivo del loro annullamento retroattivo ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della legge DH 1, senza che la volontà del consumatore interessato possa produrre alcun effetto al riguardo.

26      A tal proposito si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte, le quali godono di una presunzione di rilevanza. Pertanto, se la questione sollevata verte sull’interpretazione o sulla validità di una norma giuridica dell’Unione, la Corte, in linea di principio, è tenuta a statuire, salvo che appaia in modo manifesto che l’interpretazione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà o l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile a tale questione (v., in tal senso, sentenze del 4 giugno 2020, Kancelaria Medius, C‑495/19, EU:C:2020:431, punti 21 e 22, e del 22 aprile 2021, Profi Credit Slovakia, C‑485/19, EU:C:2021:313, punto 38).

27      Per quanto riguarda il procedimento principale, come risulta dagli elementi del fascicolo di cui dispone la Corte, ciascuno dei contratti di mutuo di cui trattasi nel procedimento principale è stato espresso in valuta estera e conteneva, in particolare, una clausola in forza della quale le somme erogate a favore del consumatore interessato dovevano essere convertite in fiorini ungheresi sulla base del tasso di acquisto di tale valuta praticato dall’istituto finanziario mutuante, mentre il calcolo delle rate mensili di rimborso dei prestiti doveva essere effettuato sulla base del tasso di vendita di detta valuta applicato dallo stesso istituto. Inoltre, dalla decisione di rinvio risulta che l’articolo 3 della legge DH 1 prevede che siffatte clausole relative al divario nel cambio siano dichiarate nulle, a meno che non siano state negoziate individualmente, e siano sostituite da una disposizione che imponga l’applicazione di un tasso di cambio ufficiale unico, fissato dalla Banca nazionale di Ungheria.

28      È vero che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 esclude dall’ambito di applicazione di quest’ultima le clausole contrattuali che riproducono «disposizioni legislative o regolamentari imperative», espressione che, alla luce del tredicesimo considerando della stessa direttiva, comprende allo stesso tempo le disposizioni di diritto nazionale applicabili tra i contraenti indipendentemente da una loro scelta, nonché quelle di natura suppletiva, vale a dire che si applicano in via residuale, ossia allorché non è stato convenuto alcun altro accordo tra i contraenti al riguardo (v., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2020, Gómez del Moral Guasch, C‑125/18, EU:C:2020:138, punti da 29 a 32, e ordinanza del 14 aprile 2021, Credit Europe Ipotecar IFN e Credit Europe Bank, C‑364/19, EU:C:2021:306, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

29      Inoltre la Corte ha già dichiarato che il suddetto articolo 1, paragrafo 2, doveva essere interpretato nel senso che l’ambito di applicazione della direttiva 93/13 non comprende clausole che riproducono disposizioni imperative di diritto nazionale, inserite dopo la conclusione di un contratto di mutuo stipulato con un consumatore e volte a sostituire una clausola di quest’ultimo viziata da nullità, imponendo un tasso di cambio fissato dalla Banca nazionale dello Stato membro interessato, come stabilito dalla legislazione ungherese e, più precisamente, dalle disposizioni dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della legge DH 1 (v., in tal senso, sentenze del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring, C‑51/17, EU:C:2018:750, punti da 62 a 64 e 70, e del 14 marzo 2019, Dunai, C‑118/17, EU:C:2019:207, punto 37).

30      Tuttavia, come risulta dalla decisione di rinvio, la questione sollevata non riguarda le clausole contrattuali inserite a posteriori nei contratti di mutuo in forza della normativa ungherese pertinente, considerate in quanto tali, bensì l’impatto di tale normativa sulle garanzie di tutela derivanti dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 rispetto alla clausola relativa al divario nel cambio contenuta inizialmente nei contratti di mutuo in questione. Orbene, in un contesto di fatto e di diritto analogo, nella causa che ha dato origine alla sentenza del 14 marzo 2019, Dunai (C‑118/17, EU:C:2019:207), la Corte ha proceduto all’interpretazione di detto articolo. Pertanto, non risulta che l’oggetto della controversia principale esuli dall’ambito di applicazione di tale direttiva, come delimitato dall’articolo 1, paragrafo 2, della stessa.

31      Più precisamente, la questione sollevata è diretta, in sostanza, a determinare se la giurisprudenza ungherese menzionata al punto 16 della presente sentenza, secondo la quale non si può porre fine al rapporto contrattuale nel suo insieme per il solo motivo che le clausole relative al divario nel cambio sono invalide, sia compatibile con il sistema di tutela dei consumatori istituito dalla direttiva 93/13, nei limiti in cui la sostituzione di tali clausole con una disposizione di legge abbia luogo in modo oggettivo e automatico, senza consentire ai giudici nazionali di tener conto di tutte le circostanze del caso di specie, in particolare di una volontà contraria del consumatore.

32      Poiché una risposta a tale questione è utile al giudice del rinvio per consentirgli di dirimere la controversia di cui è investito, ne consegue che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

Nel merito

33      Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che, per quanto riguarda i contratti di mutuo conclusi con un consumatore, commina la nullità della clausola relativa al divario nel cambio considerata abusiva e obbliga il giudice nazionale competente a sostituire a quest’ultima una disposizione di diritto nazionale che impone l’applicazione di un tasso di cambio ufficiale, senza prevedere che tale giudice possa accogliere la domanda del consumatore interessato volta ad ottenere l’annullamento integrale del contratto di mutuo, sebbene lo stesso giudice reputi la conservazione del contratto contraria agli interessi del consumatore, in particolare relativamente al rischio di cambio che quest’ultimo continuerebbe a sopportare in base ad un’altra clausola dello stesso contratto.

34      Per quanto riguarda il contesto in cui si inserisce tale questione, dal fascicolo a disposizione della Corte e dalle sue sentenze relative alla normativa ungherese in materia (v., in tal senso, sentenze del 3 dicembre 2015, Banif Plus Bank, C‑312/14, EU:C:2015:794, punti 43 e 44, e del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring, C‑51/17, EU:C:2018:750, punti 26 e 27) risulta che nel solco della sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), la Kúria (Corte Suprema) ha pronunciato la sentenza n. 2/2014 PJE (Magyar Közlöny 2014/91., pag. 10975), resa nell’interesse dell’uniformità del diritto civile in merito ai contratti di mutuo conclusi tra professionisti e consumatori. Secondo tale sentenza, le clausole relative al divario nel cambio contenute nei contratti di mutuo denominati in valuta estera, in quanto prevedono un’asimmetria tra il tasso di acquisto di tale valuta applicato al momento dell’erogazione delle somme e il tasso di vendita della stessa valuta applicato per il calcolo delle rate mensili di rimborso delle somme mutuate, devono essere considerate abusive, dal momento che in particolare la banca riceve dal consumatore una remunerazione pari alla differenza tra detti tassi di cambio senza fornire allo stesso consumatore un servizio in corrispettivo. Quanto invece alle clausole relative al rischio di cambio, per effetto delle quali il rischio di un aumento del valore di detta valuta grava unicamente sul consumatore in corrispettivo dell’applicazione di un tasso di interesse più vantaggioso di quello offerto per un mutuo espresso in valuta nazionale, la citata pronuncia indica che tali clausole non possono essere vagliate sotto il profilo dell’abusività, dato che esse, in linea di principio, vertono sull’oggetto principale del contratto, ai sensi della normativa nazionale volta a recepire l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

35      In tale scenario è stata adottata la legge DH 1 (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2019, Dunai, C‑118/17, EU:C:2019:207, punto 36), i cui effetti sono contestati dal ricorrente nel procedimento principale. Più concretamente, quest’ultimo chiede al giudice del rinvio di disapplicare, nel caso di specie, l’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della suddetta legge, in quanto ritiene più conforme ai propri interessi che ciascuno dei contratti di cui trattasi nel procedimento principale non sia semplicemente modificato, bensì integralmente annullato, in considerazione della presenza in ciascuno di essi di una clausola relativa al divario nel cambio dichiarata abusiva e nulla.

36      Il giudice del rinvio dubita di poter accogliere tale domanda, tenuto conto della giurisprudenza prevalente in Ungheria che opera un’applicazione rigida della legge DH 1, limitandosi a sostituire con effetto retroattivo qualsiasi clausola relativa al divario nel cambio viziata da nullità, in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale legge, con una disposizione di diritto nazionale, ossia quella di cui all’articolo 3, paragrafo 2, di detta legge, che impone l’uso del tasso di cambio ufficiale stabilito dalla Banca nazionale di Ungheria, senza dichiarare invalido il contratto di cui trattasi nella sua interezza.

37      In primo luogo il suddetto giudice chiede se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 osti a una disposizione di diritto nazionale che, come quella di cui all’articolo 3 della legge DH 1, impedisce al giudice adito di accogliere la domanda del consumatore diretta all’annullamento di un contratto di mutuo basata sul carattere abusivo di una clausola relativa al divario nel cambio, quand’anche tale giudice ritenga che la conservazione del contratto sia contraria agli interessi del consumatore, in particolare alla luce del rischio di cambio che quest’ultimo continuerebbe a sopportare in base ad un’altra clausola del contratto.

38      Orbene, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 14 marzo 2019, Dunai (C‑118/17, EU:C:2019:207), che si inserisce in un contesto di diritto e di fatto analogo a quello di cui alla presente causa, la Corte è già stata chiamata a rispondere ad una questione analoga.

39      In primo luogo, ai punti 36 e 37 di tale sentenza, per quanto riguarda le clausole che sostituiscono la clausola abusiva relativa al divario nel cambio e che diventano retroattivamente parte integrante dei contratti di mutuo in forza della normativa ungherese esaminata in detta causa, in specie l’articolo 3 della legge DH 1, la Corte ha constatato che siffatte clausole, in quanto riproducono disposizioni legislative imperative, non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13, poiché quest’ultima non si applica, conformemente al suo articolo 1, paragrafo 2, alle condizioni contenute nel contratto stipulato tra un professionista e un consumatore che sono determinate da una normativa nazionale.

40      Inoltre, per quanto riguarda la clausola relativa al divario nel cambio originariamente inserita nei contratti di mutuo e l’impatto della suddetta normativa sulle garanzie di tutela che derivano dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 con riferimento a tale clausola, la Corte ha dichiarato in sostanza, ai punti 38 e 40 della succitata sentenza, che, nei limiti in cui il legislatore ungherese ha rimediato ai problemi connessi alla prassi riguardante i contratti corredati di una clausola relativa al divario nel cambio, imponendo la sostituzione di quest’ultima e salvaguardando la validità dei contratti interessati, tale orientamento corrisponde all’obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione nell’ambito della direttiva succitata e, segnatamente, del suo articolo 6, paragrafo 1, ossia ripristinare l’equilibrio tra le parti, salvaguardando al contempo, in linea di principio, la validità del contratto nel suo complesso, e non annullare qualsiasi contratto contenente clausole abusive.

41      La Corte ha precisato che il legislatore nazionale rimaneva tenuto a rispettare i requisiti derivanti dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e che la circostanza che una clausola contrattuale sia stata dichiarata, a norma di legge, abusiva e nulla, poi sostituita, al fine di far persistere il contratto in parola, non può avere l’effetto di indebolire la tutela garantita ai consumatori da tale direttiva, come ricordata al punto 39 della presente sentenza (v., in tal senso, sentenze del 14 marzo 2019, Dunai, C‑118/17, EU:C:2019:207, punti da 41 a 43, e del 29 aprile 2021, Bank BPH, C‑19/20, EU:C:2021:341, punti da 77 a 79).

42      Infine, per quanto riguarda i limiti, che possono essere frapposti da uno Stato membro alla facoltà del giudice di annullare il contratto nella sua interezza in considerazione dell’esistenza di una clausola abusiva, la Corte ha dichiarato che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non osta ad una normativa nazionale che vieta al giudice adito di accogliere una domanda diretta all’annullamento di un contratto di mutuo, che sia basata sull’abusività di una clausola relativa al divario nel cambio, a condizione che la constatazione dell’abusività di tale clausola consenta di ripristinare la situazione di fatto e di diritto in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di tale clausola abusiva, in particolare dando vita ad un diritto alla restituzione dei benefici indebitamente ottenuti, a suo discapito, dal professionista sulla base di detta clausola abusiva, il che spetta al giudice adito verificare (v., in tal senso, sentenze del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punti da 61 a 66; del 14 marzo 2019, Dunai, C‑118/17, EU:C:2019:207, punti 44, 45 e 56, e del 29 aprile 2021, Bank BPH, C‑19/20, EU:C:2021:341, punti 51 e 52).

43      Tutte queste considerazioni sono pienamente trasponibili ad una controversia come quella di cui trattasi nel procedimento principale e pertinenti al fine di rispondere alla questione sollevata nella presente causa.

44      Pertanto, secondo la giurisprudenza della Corte presa in esame ai punti 41 e 42 della presente sentenza, dal momento che il ricorso proposto trova la propria origine nella clausola relativa al divario nel cambio contenuta inizialmente nei contratti di mutuo stipulati con la OTP Jelzálogbank e a., spetta al giudice del rinvio verificare se la normativa nazionale applicabile, a mente della quale le clausole di tal genere sono viziate da nullità e vengono sostituite, abbia consentito di ripristinare, in fatto e in diritto, la situazione in cui il ricorrente nel procedimento principale si sarebbe trovato in assenza di una clausola abusiva siffatta, in particolare riconoscendo a quest’ultimo, in quanto consumatore, un diritto alla restituzione dei benefici indebitamente ottenuti, dai professionisti interessati (v., per analogia, sentenze del 14 marzo 2019, Dunai, C‑118/17, EU:C:2019:207, punto 44 e giurisprudenza ivi citata, e del 29 aprile 2021, Bank BPH, C‑19/20, EU:C:2021:341, punti 51 e 52).

45      Occorre aggiungere che tale controllo giudiziario nei confronti della clausola relativa al divario nel cambio non pregiudica quello che può essere effettuato, alla luce della direttiva 93/13, relativamente alle altre clausole dei contratti di cui trattasi nel procedimento principale, come quelle relative al rischio di cambio, tenendo tuttavia conto dei fattori di esclusione della valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali previsti all’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva.

46      In secondo luogo, il giudice del rinvio interroga la Corte sulla facoltà, o addirittura sulla necessità, per ogni giudice adito, di accogliere la domanda del consumatore interessato diretta all’annullamento integrale del contratto di mutuo di cui trattasi, anziché all’annullamento della sola clausola relativa al divario nel cambio e alla sua sostituzione con una disposizione nazionale, come previsto dalla normativa nazionale applicabile nel procedimento principale.

47      A tal riguardo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il diritto ad una tutela effettiva del consumatore include la sua facoltà di rinunciare a far valere i diritti derivanti dal sistema di tutela contro l’uso di clausole abusive da parte dei professionisti istituito dalla direttiva 93/13 a favore dei consumatori. Spetta perciò al giudice nazionale tenere in considerazione, se del caso, la volontà espressa dal consumatore quando quest’ultimo, consapevole del carattere non vincolante di una clausola abusiva, dichiara tuttavia di opporsi a che sia esclusa, dando così un consenso libero e informato a tale clausola (v., in tal senso, sentenze del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punti 53 e 54; del 29 aprile 2021, Bank BPH, C‑19/20, EU:C:2021:341, punti 46 e 47, e ordinanza del 1° giugno 2021, Banco Santander, C‑268/19, non pubblicata, EU:C:2021:423, punti 30 e 31).

48      Inoltre, la Corte ha dichiarato analogamente che, nei limiti in cui detto sistema di tutela contro le clausole abusive non si applica se il consumatore vi si oppone, quest’ultimo deve a fortiori avere il diritto, in applicazione di questo medesimo sistema, di opporsi ad essere tutelato avverso le conseguenze pregiudizievoli provocate dall’invalidazione del contratto nel suo complesso qualora non intenda invocare detta protezione, nelle circostanze indicate nella sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), ossia nell’ipotesi in cui l’eliminazione della clausola abusiva obbligherebbe il giudice a dichiarare invalido tale contratto nella sua interezza, esponendo in tal modo il consumatore a conseguenze particolarmente pregiudizievoli, sicché quest’ultimo ne sarebbe penalizzato (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punti da 46 a 48, 55 e 56).

49      Tuttavia, con riferimento ai criteri che permettono di valutare se un contratto possa essere mantenuto in assenza delle clausole abusive ed ai limiti tracciati dal diritto dell’Unione, che devono essere rispettati in proposito dagli Stati membri, la Corte ha precisato che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non può essere interpretato nel senso che, al momento della valutazione suddetta, il giudice adito può basarsi unicamente sull’eventuale vantaggio, per il consumatore, derivante dall’annullamento di detto contratto nel suo complesso. In via di principio, è alla luce dei criteri previsti dal diritto nazionale che, in una situazione concreta, deve essere esaminata la possibilità di mantenere un contratto di cui alcune clausole sono state dichiarate nulle e, conformemente all’approccio obiettivo adottato dalla Corte, la posizione di una delle parti contraenti non può essere presa in considerazione, nel diritto nazionale, quale criterio determinante per disciplinare la sorte futura del contratto (v., in tal senso, sentenze del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič, C‑453/10, EU:C:2012:144, punti 32 e 33; del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punti 40 e 41, e del 29 aprile 2021, Bank BPH, C‑19/20, EU:C:2021:341, punti 56, 83 e 90).

50      Pertanto, la volontà espressa dal consumatore interessato non può prevalere sulla valutazione, che rientra nella competenza sovrana del giudice adito, della questione se l’applicazione delle misure previste dalla normativa nazionale pertinente consenta effettivamente di ripristinare la situazione di diritto e di fatto, in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di tale clausola abusiva.

51      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che, per quanto riguarda i contratti di mutuo conclusi con un consumatore, commini la nullità di una clausola relativa al divario nel cambio considerata abusiva e obblighi il giudice nazionale competente a sostituire a quest’ultima una disposizione di diritto nazionale che impone l’uso di un tasso di cambio ufficiale, senza prevedere la possibilità, per il giudice, di accogliere la domanda del consumatore interessato diretta all’annullamento dell’intero contratto di mutuo, quand’anche lo stesso giudice ritenga che la conservazione del contratto sia contraria agli interessi del consumatore, in particolare alla luce del rischio di cambio che quest’ultimo continuerebbe a sopportare in base ad un’altra clausola del contratto, purché in compenso il medesimo giudice, nell’esercizio del suo pieno potere discrezionale e senza che la volontà espressa dal consumatore possa prevalere su quest’ultimo, ravvisi che l’applicazione delle misure previste dalla normativa nazionale consente effettivamente di ripristinare la situazione di diritto e di fatto, in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di tale clausola abusiva.

Sulle spese

52      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara:

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che, per quanto riguarda i contratti di mutuo conclusi con un consumatore, commini la nullità di una clausola relativa al divario nel cambio considerata abusiva e obblighi il giudice nazionale competente a sostituire a quest’ultima una disposizione di diritto nazionale che impone l’uso di un tasso di cambio ufficiale, senza prevedere la possibilità, per il giudice, di accogliere la domanda del consumatore interessato diretta all’annullamento dell’intero contratto di mutuo, quand’anche lo stesso giudice ritenga che la conservazione del contratto sia contraria agli interessi del consumatore, in particolare alla luce del rischio di cambio che quest’ultimo continuerebbe a sopportare in base ad un’altra clausola del contratto, purché in compenso il medesimo giudice, nell’esercizio del suo pieno potere discrezionale e senza che la volontà espressa dal consumatore possa prevalere su quest’ultimo, ravvisi che l’applicazione delle misure previste dalla normativa nazionale consente effettivamente di ripristinare la situazione di diritto e di fatto in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di tale clausola abusiva.

Firme

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