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giovedì 21 aprile 2011

Beppe Scienza: «Tassazione sui fondi comuni: solo briciole dal nuovo regime»

«Tassazione sui fondi comuni:

La Repubblica, 21-03-2011, Affari & Finanza, p. 22



La conversione in legge del cosiddetto decreto Milleproroghe ha abolito la particolare tassazione dei fondi comuni di diritto italiano. Una modifica richiesta da tempo dalle società di gestione e spacciata come vantaggiosa in generale per risparmiatori. Peccato che non sia vero. Peccato anche che, come al solito, i loro pretesi difensori non abbiano battuto ciglio.

Bisogna sapere che dal luglio 1998 è in vigore per i fondi d’investimento una normativa specifica, studiata dall’allora ministro Vincenzo Visco per garantire ai risparmiatori un trattamento fiscale quanto più equo possibile. Questa è la realtà, questo dimostrano i numeri e conferma ciò il fatto che inizialmente gli stessi gestori si erano affrettati a presentarla (a ragione) come uno dei vantaggi del risparmio gestito rispetto al fai-da-te.

Da qualche anno hanno però scoperto che, enfatizzando su qualche esempio estremo, tale normativa poteva diventare il capro espiatorio su cui scaricare le colpe dei loro risultati deludenti e hanno iniziato una campagna contro di essa.

Nella sostanza il meccanismo è semplice. Se uno ha 100 euro in un fondo e questo in un certo periodo rende l’8%, il suo investimento netto non sale a 108 ma solo a 107, perché l’aliquota fiscale del 12,5% viene applicata in modo automatico. Analogamente con una perdita dell’8% non scende a 92 bensì solo a 93 euro, perché l’Erario gli riconosce subito il credito d’imposta sulla perdita, senza che rischi di non riuscire a recuperarlo, come spesso capita. In altri termini i debiti e i crediti fiscali vengono computati già prima che il risparmiatore disinvesta. Per questo si parla di tassazione sul maturato, contrapposta a quella sul realizzato che vale per azioni, reddito fisso ecc., come pure per fondi o simili di diritto estero.

Proprio questa sarebbe la profonda ingiustizia per i clienti dei fondi italiani, sanata solo ora. In effetti la nuova forma di tassazione, in vigore dal 1-7-2011, spesso cambierà pochissimo, in alcuni rari casi fortunati converrà ai risparmiatori e non di rado li danneggerà.

 
Dati sul passato. Merita calcolare l’incidenza dell’attuale sistema di tassazione, tanto vituperato, dalla sua introduzione a fine 2010. Se un meccanismo è pernicioso, nell’arco di 12 anni e mezzo lo si deve vedere. Invece si scopre che con la tassazione sul realizzato i clienti dei fondi comuni italiani avrebbero ottenuto mediamente uno 0,811% anziché lo 0,806% annuo netto. Ma un risparmio annuo dello 0,005% è impercettibile: su 100 mila sono pochi spiccioli (5 euro l’anno), a fronte per altro di costi e minus di gestione di migliaia di euro.

Per giunta ciò varrebbe in assenza di passaggi da un fondo a un altro, frequentissimi in particolare nelle costose e opache gestioni patrimoniali in fondi (gpf); e in tutti i casi di perdita il recupero del credito d’imposta spesso sarebbe andato perso.

Uno sguardo al futuro. Vogliamo essere ottimisti e ipotizzare per esempio un rendimento del 4% lordo composto per cinque anni o addirittura una performance complessiva dell’80% (!) in dieci anni (vedi tabella). Ebbene il vantaggio della nuova tassazione sul realizzato ammonterebbe a un irrisorio 0,03% o a un modestissimo 0,15% annui, numeri sempre molto inferiori ai minori rendimenti o maggiori perdite subiti dai clienti dei fondi comuni. 

Altre ingiustizie. Fermo restando che la normativa in vigore per i fondi italiani era ottima (e alcuni problemi come i crediti cumulati si potevano risolvere senza buttarla a mare), altre sarebbero le iniquità fiscali da eliminare, bellamente ignorate dai tanti sedicenti paladini dei consumatori-risparmiatori. Ne possiamo citare due nell’ambito la previdenza integrativa. La prima riguarda chi riscuote il capitale finale, c.d. montante, di un fondo pensione con una perdita fiscalmente non recuperata, come è capitato a molti andati in pensione a fine 2008 o nel 2009. Ebbene, l’imposta relativa a tale perdita lui non la recupererà in nessun modo, perché non gli viene riconosciuto nessun credito.

La seconda tocca chi incassa il capitale a scadenza di una polizza vita, ottenendo meno di quanto versato. Anche a lui non viene neanche riconosciuto un credito d’imposta da scalare a fronte di guadagni successivi. La normativa specifica (Legge n. 482 del 26-9-1985) risale infatti alle polizze rivalutabili, non esposte al rischio di minusvalenze nominali, a meno di un crac della compagnia d’assicurazione. Ma da anni con le polizze index-linket o unit-linked le perdite sono frequenti.

In entrambi casi è evidente l’ingiustizia rispetto a chi mette i propri risparmi in titoli di stato, azioni ecc. o anche in fondi o gestioni.




sabato 16 aprile 2011

Cassazione: se l'Autorità di controllo non adempie al proprio dovere viene condannata a risarcire i risparmiatori truffati

A volte può capitare che anche il controllore del mercato, la CONSOB, possa essere chiamato a rispondere dei danni causati ai risparmiatori dall'opera truffaldina di qualche società di intermediazione (una SIM nella concreta fattispecie).

L'omesso controllo da parte della CONSOB diventa causa diretta dei danni sofferti dai risparmiatori e fonte di responsabilità per  la CONSOB ex art. 2043 c.c., in quanto "la attività della pubblica amministrazione, ed in particolare della CONSOB, ente pubblico di garanzia di controllo e vigilanza sul mercato dei valori mobiliari e sulla raccolta finanziaria del risparmio, deve svolgersi nei limiti e con lo esercizio dei poteri previsti dalle leggi speciali che la istituiscono, ma anche della norma primaria del neminem laedere, in considerazione dei principi di legalità imparzialità e buona amministrazione dettati dallo art.97 della Costituzione in correlazione con lo art.47 prima parte della Costituzione; pertanto la Consob è tenuta a subire le conseguenze stabilite dallo art. 2043 c.c. atteso he tali principi di garanzia si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale, ancorché il sindacato di questa rimanga precluso al giudice ordinario. L’illecito civile, per la sua struttura, segue le comuni regole del codice civile anche per quanto concerne la ed imputabilità soggettiva, la causalità, lo evento di danno e la sua quantificazione. (cfr. Cass. 2001 n. 3132; 2001 n. 12672; 2003 n. 1191 e vedi Cass. SU 9 marzo 2007 n. 5396 sui poteri di controllo e di autonomia della CONSOB).".

Di seguito la sentenza


Corte di Cassazione
 Sez. Terza Civ.
 -
 Sent. del 23.03.2011, n. 6681

[omissis]
Svolgimento del processo



1. Con citazione notificata il 27 gennaio 1997 il sig. B.G. ed altri centoventinove risparmiatori convenivano dinanzi al Tribunale di Roma la Commissione Nazionale per la società e la borsa - breviter CONSOB - chiedendone la condanna, a titolo di responsabilità aquiliana ai sensi dello art. 2043 c.c. per il risarcimento dei danni per la perdita totale degli investimenti effettuati su sollecitazione della Sfa società servizi finanziari amministrativi dal luglio 1990 e fino al novembre 1992, e della Sfa commissionaria srl. dal marzo 1990 al maggio 1992. Si costituiva la Consob e contestava il fondamento delle pretese. Nel corso del giudizio intervenivano altri risparmiatori nell’interesse proprio.

2.11 Tribunale di Roma con sentenza del 26 luglio 2004 rigettava tutte le domande proposte dai risparmiatori intervenuti in quanto prive di autonome conclusioni verso la Consob, accoglieva invece le domande di tutti gli attori - con la eccezione di quella di I.S. per difetto di prova - ritenendo che la Commissione non avesse operato con diligenza e la condannava al risarcimento integrale dei danni ed alle spese di lite.

3. Contro la decisione proponeva appello la Consob chiedendo previamente la sospensione della efficacia esecutiva e nel merito il rigetto delle domande; anche i risparmiatori intervenuti nel giudizio di primo grado proponevano impugnazione ed i due gruppi di parti impugnanti, contrassegnati dai numeri di ruolo 10134 del 2004 e 6277 del 2005 davano luogo a procedure che venivano riunite a quella contrassegnata dal n. 820 del 2009.

4. La Corte di appello, sulle conclusioni rassegnate dalle varie parti, con sentenza del 17 novembre 2007, così decideva:

dispone la separazione delle cause riunite a quella del 2009 n.820 considerata ai fini della decisione; dichiara inammissibile la costituzione in appello di I.S. compensando le spese del grado con la Consob; rigetta lo appello incidentale proposto da B.O.D. e lo condanna alla rifusione delle spese del grado in favore della Consob; rigetta lo appello della Consob nei confronti degli altri appellati e la condanna alla rifusione delle spese del grado.

Contro la decisione ricorre la Consob proponendo sette motivi di cesura; resistono BE.Fa., ed altri sette con unico controricorso.

La parte ricorrente ha prodotto memoria.



MOTIVI DELLA DECISIONE



5. Per chiarezza espositiva si darà dapprima una sintesi dei motivi della parte ricorrente, ed a seguire una loro analisi valutativa, tenendo conto anche delle considerazioni rassegnate nel controricorso.

C.A. Sintesi dei motivi del ricorso Consob.

5.1. Nel primo motivo si deduce error in iudicando per la violazione degli artt. 101, 121 e 156 c.p.c. e del diritto della difesa, in relazione allo art. 360 n. 2 c.p.c.

La censura si incentra sul punto in cui la Corte di appello ha confermato la decisione del Tribunale che ha ritenuto di non dover tenere conto dei rilievi contenuti nella consulenza tecnica di parte della Consob per la ragione che le risultanze di detta consulenza non hanno formato oggetto di contraddittorio in quanto trasfuse nella comparsa conclusionale di primo grado. Il quesito di diritto a ff. 21 e 22 ripete la censura nella forma della domanda retorica, che presuppone una risposta affermativa.

5.2. Nel secondo motivo si deduce error in iudicando per violazione dello art. 112 c.p.c. in relazione allo art. 360 n. 3 c.p.c. ed il vizio della motivazione in merito al fatto che la consulenza tecnica di parte conteneva delle osservazioni critiche alla relazione del Consulente di ufficio, meritevoli di essere considerate, e che la omessa considerazione delle critiche determina la violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Il quesito a ff. 24 ripropone tale tesi, ma senza indicare o richiamare nel dettaglio le censure.

5.3. Nel terzo motivo si deduce error in iudicando, in relazione alla violazione o falsa applicazione degli artt. 3, 4 e 18 quater della legge istitutiva della Consob legge_216_1974 con riferimento alla identificazione della condotta colposa efficiente della Consob, la quale, avendo rilasciato il 15 marzo 1989 la autorizzazione alla sollecitazione al pubblico risparmio, alla Sfa distribuzione spa poi divenuta Sfa Sim, avrebbe poi omesso di compiere la diligente vigilanza, anche quando risultò evidente che la società in questione faceva parte di un più vasto gruppo, ricollegatesi alla Sfa distribuzione ed alla Sfa Commissionaria, che svolgevano intermediazione finanziaria senza autorizzazione alcuna.

La tesi, illustrata nel quesito a ff. 26, è che sulla base delle tre norme richiamate tale controllo, successivo alla autorizzazione,non doveva essere compiuto.

5.4. Nel quarto motivo si deduce lo error in iudicando per la violazione dello art. 3 della legge 2 gennaio 1991 n. 1, in relazione allo art. 360 n. 3 del cod. proc. civile ed il vizio della motivazione in ordine allo addebito secondo cui la CONSOB non esercitò diligentemente la attività di verifica prodromica al rilascio delle autorizzazioni, rilasciate il 21 dicembre 1991, avvalendosi di poteri di ispezione e di controllo. Il quesito sintetico a p. 41 esprime la tesi secondo cui erroneamente la Corte di appello ha ampliato la ratio legis della norma invocata, assumendo che la Consob non aveva soltanto un potere di controllo meramente formale, e là dove ha ritenuto che potesse esercitare un potere di sospensione.

5.5. Nel quinto motivo si deduce ancora error in iudicando in relazione alla violazione delle norme del regolamento di attuazione della legge 1991 n. 1, ed in particolare dello art. 7 approvato con deliberazione n. 5386 del 2 luglio 1991. La tesi, ribadita nel sintetico quesito a p. 46 è che la Corte avrebbe ampliato la portata della norma, nel punto in cui ha ritenuto che il controllo prodromico avesse una portata sostanziale anziché formale e che in repressione potesse esistere un potere di sospensione per la Consob.

5.6. Nel sesto motivo si deduce il vizio della motivazione nel punto in cui la Corte di appello ritiene rilevante, ai fini della considerazione della condotta illecita, la tardiva sospensione di Sfa Sim e di Italia Finanziaria dello Albo Sim dopo lo accertamento delle irregolarità riscontrate. Il motivo non contiene quesiti, ma si attarda a precisare come invece la Consob, attraverso una intensa attività ispettiva ed una sistematica denuncia alla autorità giudiziaria ebbe ad accertare le gravissime irregolarità di tutti gli ulteriori fatti riscontrati nel corso delle ispezioni. Ma a tale argomento se ne aggiunge a ff.46 la solita clausola di esenzione, sostenendosi che comunque le ispezioni esulavano dallo ambito della competenza della Commissione medesima. Sempre nel corpo del motivo si assume che il nuovo regime della legge del 1991 n. 1 implicava la possibilità di misure cautelari solo se le irregolarità anteriori alla entrata in vigore, continuavano anche dopo tale regime che aveva aumentato i poteri di controllo della Consob - come si legge a p. 4 7 del ricorso.

5.7. Nel settimo motivo si deduce error in iudicando in relazione alla applicazione della clausola generale del neminem laedere, in relazione allo art. 360 n. 3 c.p.c, sul rilievo che nella fattispecie di illecito in esame, manca la prova che il danno lamentato dai risparmiatori fosse conseguenza immediata e diretta delle autorizzazioni rilasciate nei confronti della Sfa distribuzione e di Italia Fiduciaria.

6. Analisi critica dei motivi.

Il primo motivo, che deduce un error in iudicando produttivo della violazione del contraddittorio sostanziale tra le parti è, nella sua formulazione e proposizione di quesito, inammissibile sotto vari profili: difetta di autosufficienza, posto che le ragioni critiche della relazione di parte non vengono in evidenza, rendendo impossibile a questa Corte di ricercarle altrove, e di specificità, posto che la allegazione tardiva della consulenza in sede di conclusioni era in lesione del diritto a contraddire delle altre parti. Non sussiste dunque alcuna violazione delle norme violate e la formulazione del motivo è incompleta e contraddittoria proprio con riguardo alle tesi propugnate nel quesito, come rilevato anche in sede di controricorso.

Nel secondo motivo si deduce invece una palese violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in relazione alla mancata considerazione delle critiche del consulente di parte della Consob. La inammissibilità del motivo discende dalla preclusione processuale che precede, non senza rilevarne la manifesta infondatezza, sul rilievo che per costante giurisprudenza di questa Corte la consulenza di parte costituisce semplice allegazione difensiva di carattere tecnico e priva di valore probatorio, e dunque la valutazione del giudice di merito che ne prescinda, ma che sia coerente al raccolto probatorio, non contiene alcuna violazione del principio primo della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Nel terzo motivo si deduce error in iudicando con riferimento alla originaria normativa della legge 1974 n.216, sostenendosi nel relativo quesito, che non contiene il riferimento al successivo regolamento Consob del 1985, la tesi garantista del controllo meramente formale della Commissione nella raccolta delle informazioni relative al gruppo di appartenenza della società destinataria della autorizzazione, garanzia che impediva di vigilare successivamente sullo operato di tale gruppo.

Il motivo assume un ruolo centrale per lo esame del presente contenzioso, nel quale il fatto dannoso che si prospetta come illecito civile, secondo le regole di cui allo art. 2043, esige da un lato la precisazione dei termini temporali dello illecito, ben delineati della citazione introduttiva, e d’altro lato lo accertamento di tutti gli elementi strutturali dello illecito, tra cui quello della imputabilità per colpa lata, o della imputabilità soggettiva è quello che viene per primo dedotto nel motivo in esame come error in iudicando, sul rilievo che tale esigibilità di condotta virtuosa non sarebbe richiesta dalla legislazione istitutiva della Commissione come ente pubblico indipendente la cui funzione fondamentale è quella del controllo dei mercati di borsa cui si aggiunge con la novellazione della legge del 1991 n. 1, art. 1 lettera f. e art. 3 comma secondo e terzo, la funzione del controllo al momento del rilascio della autorizzazione alle società di intermediazione mobiliare con il rinvio per le norme di dettaglio al potere regolamentare della Consob. Funzione di proteggere la tutela del risparmio, in una correlazione costituzionalmente orientata dagli artt. 41 e 47 della Costituzione.

Il motivo nella sua formulazione a p. 26, appare inammissibile in relazione alla sua assoluta mancanza di collegamento tra le fattispecie dello illecito succedute nel tempo tra il 1990 e 1992 ma a carattere continuativo, di guisa che gli atti e le attività di impoverimento dei risparmiatori, evidenziano un illecito civile continuato e con effetti lesivi permanenti, tale da creare un danno ingiusto che in definitiva si appropria dell’intero risparmio versato senza alcun adempimento in tutto o in parte restitutorio da parte delle società finanziarie e loro collegate.

Il quesito tende a delimitare nel tempo la responsabilità della Commissione ma non la esclude per la durata della gestione del risparmio che entra sotto il vigore della legge nuova che conferisce poteri sostanziali di vigilanza e controllo, che esercita un potere precettivo che deve necessariamente operare nei confronti del soggetto sollecitatore ed a tutela del soggetto sollecitato che è il risparmiatore.

Essendo inadeguata la formulazione del quesito, per la sua incompletezza in ordine alla delimitazione del fatto dannoso e della temporalizzazione della condotta soggettivamente imputabile, il motivo resta inammissibile ai sensi dello art.366 bis c.p.c..

Nel quarto motivo si deduce error in iudicando in relazione alla novellazione del 1991 ed in relazione alla imputazione alla negligenza della Consob, che in data 27 dicembre 1991 concedeva alla Sfa Distribuzione spa la autorizzazione ad esercitare la attività di intermediazione mobiliare e di gestione dei patrimoni, disponendone la iscrizione allo Albo delle Sim.

Anche questo motivo è strumentale per lo esonero della Consob da imputazioni soggettive civili per colpa omissiva, ma tale tesi, formalmente garantista per lo organo di controllo, contrasta con la stessa legge di novellazione che accresce i poteri della Consob che non è soltanto organo di vigilanza del mercato dei valori, ma è anche organo di garanzia del risparmio pubblico e privato.

Sul punto il motivo non coglie la chiara ratio decidendi espressa dalla Corte di appello romana a ff. 7 ed 8 della motivazione, dove pone in evidenza lo elemento della continuità delle gestioni finanziarie sotto la nuova legge del 1991 e che ben poteva la Consob esercitare un efficiente controllo sulla onorabilità del plesso amministrativo della società autorizzanda, non rilevando la mancata produzione dei carichi pendenti a carico del Milano e non attivandosi a richiedere notizia sulla effettività della cessione delle quote di controllo e di nuova amministrazione coniugale. Tardivi appaiono, rispetto agli esiti delle ispezioni, i provvedimenti di sospensione delle società decotte ed insolventi rendendo totale la perdita di risparmi investiti fiduciariamente.

Il quesito del motivo a p. 49 appare inammissibile per la incompletezza della sintesi di riferimento tra il fatto dannoso costituente danno ingiusto e condotta del soggetto agente da ritenersi non imputabile, malgrado la attribuzione di poteri istruttori, ispettivi ed inibitori, non tempestivamente esercitati per impedire la continua e ininterrotta espropriazione e distruzione dei risparmi sollecitati.

In conclusione né il quarto né il quinto motivo valgono ad elidere la imputabilità soggettiva della Commissione, per colpa grave e continuata.

Nel quinto motivo si deduce ancora l’error in iudicando per avere i giudici del merito, applicando la richiamata normativa del 1991 e dello art. 7 del regolamento di attuazione, valutato la illegittimità dello atto autorizzatolo pur in presenza di verifiche ispettive e di ispezioni straordinarie negative - come rilevato ai pp. 7 ed 8 della sentenza di appello. Il quesito, così come formulato, è privo di decisività, in ordine alla interpretazione costituzionalmente orientata del provvedimento autorizzatorio, che non è di mero accertamento, ma di discrezionalità vincolata alla valutazione di requisiti sostanziali di affidabilità, onorabilità, trasparenza, di guisa che possono assumere rilievo impeditivo le eventuali irregolarità riscontrate a mezzo di procedura ispettiva ovvero sulla base della incompletezza della documentazione, al punto che ex post potrà disporsi la cancellazione dallo albo Sim.

La valutazione dello illecito come circostanziato appare dunque compiuta con un prudente apprezzamento delle prove, sia per la imputabilità soggettiva che per il danno evento che ne deriva, trattandosi di causalità giuridica da omissioni costituenti inadempimento di un obbligo di garanzia, data la rilevanza costituzionale del risparmio pubblico e privato, (cfr. Cass. 3.3.2001 n. 3132).

Il sesto ed il settimo motivo vengono in esame congiunto per la intrinseca connessione. Ed in vero il sesto motivo denuncia come vizio di motivazione lo accertamento della colpa negligente e colpevole, sostenendo la tesi della adozione di provvedimenti di sospensione cautelare e di cancellazione, mentre il settimo affronta finalmente il nodo dello illecito, ma limitandone la analisi allo aspetto decisamente complesso, che attiene al nesso di causalità che si vuole diretta e immediata, proponendosi tuttavia nel quesito, a ff. 68, un quesito diverso rispetto a tale argomento, insistendosi ancora una volta nella tesi della non imputabilità soggettiva della Consob.

Il quesito evidenzia la inammissibilità del motivo, per la mancata formulazione della fattispecie circostanziata dello illecito, in relazione alla quale il nesso di causalità attiene ad una condotta antigiuridica e colposa da cui deriva un danno ingiusto al risparmiatore investitore. Vedi sul punto la concisa ma precisa argomentazione della Corte di appello sulla qualifica della condotta colposa efficiente della Consob.

Il principio di diritto che si ricava come dictum di nomofilachia da questa complessa ma istruttiva vicenda, è dunque il seguente: che la attività della pubblica amministrazione, ed in particolare della CONSOB, ente pubblico di garanzia di controllo e vigilanza sul mercato dei valori mobiliari e sulla raccolta finanziaria del risparmio, deve svolgersi nei limiti e con lo esercizio dei poteri previsti dalle leggi speciali che la istituiscono, ma anche della norma primaria del neminem laedere, in considerazione dei principi di legalità imparzialità e buona amministrazione dettati dallo art.97 della Costituzione in correlazione con lo art.47 prima parte della Costituzione; pertanto la Consob è tenuta a subire le conseguenze stabilite dallo art. 2043 c.c. atteso che tali principi di garanzia si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale, ancorché il sindacato di questa rimanga precluso al giudice ordinario. L’illecito civile, per la sua struttura, segue le comuni regole del codice civile anche per quanto concerne la ed imputabilità soggettiva, la causalità, lo evento di danno e la sua quantificazione. (cfr. Cass. 2001 n. 3132; 2001 n. 12672; 2003 n. 1191 e vedi Cass. SU 9 marzo 2007 n. 5396 sui poteri di controllo e di autonomia della CONSOB).

Al rigetto del ricorso segue la condanna della Consob alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate alle parti resistenti come in dispositivo.



P.Q.M.



Rigetta il ricorso e condanna la Consob in favore dei resistenti alle spese del giudizio, considerando la costituzione unitaria, in Euro 15.000,00 di cui 1600,00 per spese oltre accessori e spese generali come per legge.



Depositata in Cancelleria il 23.03.2011





giovedì 14 aprile 2011

Da Trentino inBlu al Blog: titoli Alitalia - a che punto siamo?

Si conclude con Alitalia il nostro breve percorso attraverso le vicende finanziarie che hanno caratterizzato gli ultimi anni con gravi danni nei confronti dei piccoli risparmiatori.

La compagnia di bandiera fallisce
Il fallimento di Alitalia dell' agosto 2008 è una notizia annunciata ed aspettata dal mercato, tant'è che i titoli della ormai ex compagnia di bandiera erano stati sospesi dal mercato borsistico ben tre mesi prima.

L'esigenza di salvare Alitalia e la sua italianità (si ricordi la famosa vicenda Air France e ancor prima KLM) portano a svendere gli assets del vettore ad un gruppo di imprenditori italiani con la tristemente famosa divisione tra “bad company/ good company”.

Con questa operazione, in altri termini, viene creata una nuova società nella quale confluisce il patrimonio positivo della vecchia Alitalia e che può tornare ad operare.

I debiti della vecchia Alitalia, invece, rimangono in mano ai risparmiatori, i quali devono attendere il 2009 per poter ottenere una offerta dal Governo Italiano, vero regista di tutta l'operazione.


L'offerta ALITALIA – CTZ 2012

Il Governo propone agli obbligazionisti una offerta di concambio sul modello argentino, ossia offre circa 71 euro per gli obbligazionisti e 0,27 euro per ogni azione. Tale offerta, però non è in denaro contante, bensì in titoli di Stato infruttiferi con scadenza a fine 2012: i CTZ 2012 (vedasi “ALITALIA - ECCO IL DECRETO CONCAMBIO TITOLI DEL MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE”).

L'offerta di concambio dei titoli Alitalia è stata considerata positiva dal Prof. Beppe Scienza, il quale in un recente articolo si è così espresso “Per i risparmiatori italiani la vicenda dell'Alitalia è giunta a conclusione. La Banca d'Italia ha consegnato a banche, sim ecc. i titoli di Stato offerti in cambio delle sue obbligazioni e azioni. La scadenza ultima di fine 2010 è stata rispettata. Un po' antipatico il fatto che il Tesoro avesse promesso di provvedervi entro l'estate, ma in compenso i nuovi titoli, cioè i Ctz 31-12-2012 con codice Isin IT0004662356, sono già quotati.
Per ogni cento euro di nominale originario gli obbligazionisti ne hanno ricevuti 71 di Ctz, fatto salvo un limite massimo. Vendendo ora, ricavano quasi 68 €. Non è un pugno di mosche, anche se con l'accordo con Air France avrebbero portato a casa ben di più.” (“I cattivi consigli della stampa economica italiana. I risparmiatori devono guardarsi da chi si presenta come loro paladino oltre che da banche, assicuratori e promotori finanziari”).

L'offerta avanzata dal Governo ed accettata da molti piccoli investitori appare positiva, in quanto i risparmiatori otterrano, nel 2012, un importo quasi pari al 70% del valore nominale investito. Certamente, l'investitore in titoli Alitalia ha perso parte del proprio capitale e non ha maturato alcun vantaggio dall'investimento, ma almeno è stata salvaguardata parte consistente del suo patrimonio investito in valori mobiliari decotti.

venerdì 8 aprile 2011

operazione trasparenza della Consob per le OPA

comunicato stampa Consob
"La Consob ha approvato oggi le modifiche al regolamento emittenti, che definiscono la nuova disciplina in materia di offerte pubbliche di acquisto e di scambio (opa/opsc).


La normativa – che tiene conto delle osservazioni pervenute dal mercato nel corso di due consultazioni e dell’incontro pubblico con gli operatori finanziari – dà attuazione alla direttiva europea in materia di opa anche alla luce delle ulteriori modifiche legislative apportate al Testo unico della finanza negli ultimi due anni nonché delle esperienze applicative e dell’analisi comparata del quadro internazionale.

Gli obiettivi principali sono: rafforzare le tutele degli azionisti di minoranza e la trasparenza informativa; semplificare gli adempimenti e le procedure; assicurare la parità di trattamento tra investitori italiani ed esteri; favorire la partecipazione attiva alla governance delle imprese.

Le nuove regole entreranno in vigore il 2 maggio 2011. Alcune norme, tuttavia, avranno efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della delibera in Gazzetta Ufficiale, prevista nei prossimi giorni. Questo vale, in particolare, per le offerte sui titoli di debito, i casi di inapplicabilità della disciplina dell’opa, le esenzioni dall’opa obbligatoria. Sono previsti, inoltre un regime transitorio generale ed uno specifico per il computo dei derivati ai fini delle offerte obbligatorie.

Tra le novità di maggior rilievo:

•la possibilità, in caso di successo di opa promosse dall’azionista di controllo o da altri soggetti insider, di riaprire i termini del periodo d’offerta, per consentire l’adesione anche agli azionisti che in un primo momento hanno scelto di non conferire i titoli;

•l’estensione della best price rule (l’obbligo di allineare il prezzo d’offerta al prezzo più alto pagato dall’offerente) anche ai sei mesi successivi alla chiusura dell’offerta;

•il computo, ai fini del superamento della soglia del 30% e della determinazione del prezzo, anche degli acquisti di strumenti finanziari derivati di qualsiasi tipo (compresi quelli con regolamento in contanti);

•il coinvolgimento degli azionisti di minoranza in alcuni casi di esenzione dall’obbligo di opa;

•una più precisa identificazione delle condotte che si configurano come concerto tra azionisti;

•la semplificazione della normativa italiana in materia di offerte su titoli di debito, al fine di adeguarla al quadro internazionale nonché l’esclusione dall’ambito applicativo della disciplina opa delle operazioni di ristrutturazione del debito soggette alle approvazioni dei titolari dei relativi strumenti (cosiddette consent solicitation).

Ad esito delle consultazioni sono stati affinati alcuni punti, tra cui:

•il computo di tutti i derivati ai fini dell’obbligo di opa, pur rimanendo un elemento qualificante della nuova disciplina, è stato limitato – come richiesto dal mercato - attraverso l’inserimento di alcune ipotesi di esenzione;

•la definizione dell’azione di concerto è stata affinata, venendo incontro alle osservazioni degli operatori, anche attenuando le presunzioni automatiche;

•la semplificazione degli obblighi di trasparenza e l’applicabilità della best price rule nei sei mesi successivi alla chiusura dell’offerta.

Sul sito www.consob.it sono disponibili, insieme alla delibera n. 17731 del 5 aprile 2011, l’executive summary nonché gli esiti della seconda consultazione pubblica. "

fonte: http://www.consob.it/

giovedì 7 aprile 2011

Da Trentino inBlu al Blog: Lehman Brothers - a che punto siamo?

PREMESSA

Il fallimento di Lehman Brothers rappresenta il punto più basso (o punto iniziale?) della crisi economica che ha avvolto il sistema bancario mondiale del 2008 e che a tutt'oggi non si è ancora risolto.

Una banca prestigiosa con un giudizio di merito (rating) elevato collassa all'improvviso e attesta il fallimento dell'intero sistema del credito fondato sui mutui subprime.

CRONOLOGIA DI UNA CADUTA

Descriviamo i passaggi che hanno portato alla caduta del sistema bancario americano ed in particolare alla crisi Lehman

8 febbraio 2007: arrivano i primi segnali di crisi – colossi bancari come HSBC e New Century Financial Corp annunciano pesanti perdite nel proprio portafoglio di subprime USA

Aprile 2007: in Europa si manifestano i primi segnali della crisi bancaria. Negli Stati Uniti, Bear Stearns – uno degli istituti bancari più esposti in titoli garantiti da mutui subprime, annuncia la propria difficoltà a mantenere l'impegno in tali operazioni.

Giugno 2007: si acuisce la crisi mutui in Europa. Varie banche annunciano conti in rosso e sicuri tagli;

Agosto 2007: si accentua lo stato di emergenza di alcuni istituti bancari inglesi. La Northern Rock e Barclays chiedono un finanziamento straordinario alla Bank of England. In America si moltiplicano i casi di piccoli istituti bancari che dichiarano la propria difficoltà economico/finanziaria.

7 agosto 2007: American Home Mortgage Investment Corporation si dichiara insolvente

9 agosto 2007: la Banca Centrale Europea, dopo aver atteso gli eventi, decide di immettere sul mercato quali 100 miliardi di euro per venire incontro alle banche in difficoltà.

20 agosto 2007: la FED avvia una serie di misure in favore delle banche. Taglia il tasso di sconto e si impegna a ritirare i titoli bancari tossici dal mercato.

Settembre 2007: i clienti della Northern Rock chiedono di estinguere i depositi. Il Governo Inglese si impegna a garantire i correntisti per i propri risparmi.

Dicembre 2007: la crisi bancaria si avverte anche nei giudizi di solvibilità dele banche: le principali società internazionali di rating abbassano il grado di merito di molti istituti di credito.

Febbraio 2008: la Northern Rock viene nazionalizzata

Marzo 2008: JP Morgan Chase acquista Bear Stearns

Luglio 2008: continuano i fallimenti di piccoli istituti di credito americanti – gli USA nazionalizzano Fannie Mae e Freddie Mac (tra i più grandi produttori di finanza strutturata fondata su mutui subprime).

15 settembre2008: fallisce Lehman Brothers

La sequenza temporale degli eventi appena proposta è parziale e si ferma alla fine di Lehman Brothers. Successivamente alla scomparsa di una delle banche americane più prestigiose e storiche, altri istituti di credito hanno sofferto pesanti crisi e sono stati oggetto di operazioni di salvataggio.
Quali conseguenze per gli obbligazionisti? Il fallimento di Lehman ha danneggiato, ancora una volta, gli acquirenti di obbligazioni, i quali si sono trovati con titoli privi di alcun valore.
L'avvio della procedura di fallimento (ancora in corso) ha certificato la fine di Lehman ed ha costretto molti risparmiatori ad inserirsi nella procedura del Chapter 11 pur nella consapevolezza che le possibilità di ottenere parte delle somme percepite è assai minima.

MA I TITOLI LEHMAN NON ERANO GARANTITI DA PATTI CHIARI?

Uno degli aspetti più particolare delle obbligazioni Lehman Brothers è che le stesse godevano, fino a qualche giorno prima della dichiarazione di insolvenza, di buon grado di merito attribuito dalle società di rating indipendenti: Lehman ed i suoi titoli vantavano rating “A”.

Tale giudizio di merito aveva permesso ai titoli Lehman di essere inclusi nella lista “obbligazioni a basso rischio” redatta dal Consorzio Patti Chiari (ABI), in quanto considerati titoli affidabili e di buon rendimento.
Il fallimento di Lehman e il conseguente default dei titoli obbligazionari ha certificato il fallimento dell'esperimento Patti Chiari ed ha dimostrato che tale iniziativa, lacunosa e tutt'altro che affidabile, non ha portato alcun significativo miglioramento nei rapporti cliente/banca. Occorre ricordare che il titolo Lehman è rimasto nella lista “obbligazioni a basso rischio” fino al giorno del fallimento del colosso bancario americano.
Le banche italiane, approfittando del giudizio benevolo dato da Patti Chiari a Lehman, hanno proseguito a vendere titolo pericolosi sino al 15 settembre 2008, sostenendo la solidità delle obbligazioni proprio perchè inserite in tale lista.
Il Tribunale di Torino è di recente tornato sulla vicenda Lehman ed ha individuato una responsabilità della banca per non aver adeguatamente informato il cliente sui rischi di investimento ed anzi aver chiaramente indicato che l'obbligazione era inserita nella lista Patti Chiari. Nel caso in cui il titolo avesse subito forti cali, la banca avrebbe informato tempestivamente la cliente di tale circostanza al fine di valutare se mantenere o meno l'investimento in Lehman Brothers.
Il giudice ha osservato che nella concreta fattispecie la banca aveva assunto un obbligo informativo successivo come si evince dall'indicazione contenuta nell'ordine di investimento: "N.B. in base agli andamenti di mercato il titolo potrà uscire dall'elenco successivamente alla data dell'ordine. Il cliente sarà tempestivamente informato se il titolo subisce una variazione significativa del livello di rischio".
La banca avrebbe dovuto informare il cliente dell'imminente rischio insolvenza dei titoli Lehman. Tale mancanza configura una responsabilità della banca per i danni patiti dal risparmiatore (vedi Lehman Brothers: IntesaSanpaolo condannata al risarcimento del danno per omessa informativa).

A CHE PUNTO SIAMO?
La procedura fallimentare sta procedendo ed esiste la possibilità per i risparmiatori che si siano inseriti nel Chapter 11 di Lehman di ottenere parte delle proprie somme investite.

La via alternativa è quella di agire nei confronti dell'intermediario finanziario che vi ha venduto questi titoli anche se tale strada deve essere valutata con la dovuta attenzione.



sabato 2 aprile 2011

La mera dicitura "dichiaro di aver ricevuto le condizioni contrattuali regolanti il rapporto assicurativo, di averne preso atto e di accettarle integralmente" non è sufficiente a dimostrare l'avvenuta informativa da parte della banca nei confronti del cliente in merito alle caratteristiche della polizza index linked Lehman Brothers

Il Tribunale di Milano si è di recente pronunciato in materia di vendita di polizze assicurative indicizzate, individuando la responsabilità precontrattuale del venditore per il danno subito dalla cliente.
Il giudice, chiamato a verificare se la Compagnia assicuratrice avesse adempiuto all'obbligo di informare la cliente in merito al prodotto "pseudo assicurativo" sostiene che la mera dicitura "dichiaro di aver ricevuto le Condizioni contrattuali regolanti il rapporto assicurativo, di averne preso atto e di accettarle integralmente" contenuta nel contratto non è sufficiente a dimostrare l'adempimento di tale dovere informativo.
Il giudice indica quali informazioni l'intermediario avrebbe dovuto fornire al risparmiatore per soddisfare l'esigenza di completa informativa: " come da prassi- cosa fosse una polizza index linked e in particolare che il suo rendimento era indicizzato all'andamento di un paniere di titoli, che il premio versato era legato ad un'obbligazione zero coupon emessa da una primaria banca d'affari internazionale e segnatamente Lehman Brothers, che la polizza prevedeva la corresponsione di un importo a favore dei eneficiari in caso di morte del sottoscrittore.".
Il giudice sostiene, quindi, che tale prodotto - solo all'apparenza assicurativo, ma in realtà prettamente finanziario- avrebbe dovuto portare il professionista (il soggetto venditore) a meglio chiarire la natura del prodotto ed i rischi collegati a tale forma di investimento.
In assenza di tale informativa, il venditore risponde dei danni sofferti dalla cliente per responsabilità precontrattuale (culpa in contrahendo).



TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE SESTA CIVILE

Dott. Laura Cosentini         - Pres.

Dott. Amina Sionetti          - Giudice

Dott. Guido Macripò         - Giudice rel.


sentenza n. 9575/2010 (29/07/2010)

omissis

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disattesa l'eccezione di mutamento di rito sollevata dalla banca convenuta.
Nessun dubbio, invero, che in base alla normativa vigente anche le polizze united linked ovvero le polizze index linked, ossia le assicurazioni le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni ovvero a indici o ad altri valori di riferimento (v. art. 2 D. Lvo n. 209/05) siano prodotti finanziari, e in particolare prodotti emessi da imprese di assicurazione (v. art. 1 comma 1 lett. w - bis) del D. Lgs. 58/98.

Ne consegue che le controversie aventi ad oggetto la vendita anche di tali prodotti finanziari rientrano in base all'art. 1 lett. d) D. L.vo n. 5/03 tra le controversie assoggettate al rito societario.
Poiché la legge regolatrice del processo, secondo l'art. 5 c.p.c., è quella vigente al momento della sua istaurazione e atteso che la giurisdizione e la competenza - e, quindi, anche il rito applicabile attengono appunto al processo, essi si determinano con riferimento alla legge in vigore al momento della proposizione della domanda e non con riferimento alla legge applicabile ai fatti oggetto della controversia (v. anche Cass. S.U. n. 2786/10).
Orbene, attesa l'incidenza in ambito processuale del principio tempus regit actum e rilevato che anche il presente procedimento è stato instaurato con la notificazione dell'atto di citazione in data 14.5.09 è indubbio che il rito societario (visto l'art. 54 comma 1 (L. 69/09) si applica alla presente controverisa, avente ad oggetto il collocamento in data 27.6.05 da parte della banca convenuta all'attrice di una polizza index linked, essendo rilevanti, invece, la data della sottoscrizione della proposta contrattuale e quella dell'accettazione sotto i profili sostanziali della disciplina da applicare al contratto.
Con riferimento all'eccezione di inammissibilità dell'istanza di fissazione udienza sollevata dall'attrice nella nota ex art. 10 D.L.vo n. 5/03, il Tribunale rileva che non è stata riproposta all'udienza del 16.6.2010 e che, anzi, in tale data l'attrice ha chiesto una sollecita sentenza, così evidenziando il suo interesse ad una celere pronuncia sul merito della controversia: il Tribunale ritiene, quindi, che la predetta eccezione di inammissibilità sia stata rinunciata e la stessa non viene esaminata e decisa.
Con riferimento all'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall Banca convenuta in relazione alle domande attoree di nullità della polizza stipulata dalla xxxx ovvero di annullamento della stessa ovvero di risoluzione della stessa per inadempimento contrattuale, il Tribunale ritiene che essa sia meritevole di accoglimento, atteso che il contratto de quo, ossia la polizza Maextra n. xxxxxxx, è stato pacificamente concluso da xxxxxx con la società xxxxxx e non con la xxxxxxx, la quale, quindi, non è parte contrattuale, avendo svolto solo attività di promozione del predetto prodotto finanziario, la cui raccolta della sottoscrizione dell'attrice e il successivo inoltro della proposta alla xxxxx.
Ne consegue che, non essendo la banca convenuta il destinatario degli effetti delle richieste di pronuncia di nullità ovvero di annullamento o di risoluzione della polizza, le domande vanno rigettate per difetto di legitimatio ad causam della convenuta xxxxx spa.
In via subordinata alle predette domande, l'attrice ha proposto la domanda di accertamento della responsabilità extracontrattuale e precontrattuale della banca convenuta, con conseguente condanna al risarcimento dei danni.
Orbene, la banca convenuta è certamente legittimata passiva con riferimento alla domanda risarcitoria proposta, fondata dala comportametno da essa tenuto quale soggetto distributore nella fase precontrattuale e allegato dall'attrice come generatore di un danno.
Va osservato, difatti, in primo luogo che sussisteva un vinvolo contrattuale sorto in data 5.2.02 tra la Compagnia di assicurazione xxx e la convenuta xxxx (v. doc. 2 convenuta "Italian Cooperation Agreement for the distribution of products") in base al quale , come ammesso anche dalla stessa convenuta (v. p. 25 comparsa di risposta), essa era stata nominata esclusivo distributore dei prodotti assicurativi - tra cui la polizza per cui è causa - forniti dall xxxx, e percepiva delle commissioni in relazione a tali prestazioni.
In secondo luogo, essendo ovviamente necessario che il cliente riceva le necessarie informazioni in ordine al contratto che sta per stipulare - come era del resto previsto in modo specifico anche in tema di polizze index linked dalla circolare n. 451/D emanata dall'ISVAP in data 24.7.01, che vista la maggiore complessità e diversificazione dei profili di rischio derivanti dalla stipulazione di tali contratti sottolinea l'esigenza di un'informativa precontrattuale di tali prodotti al pubblico più dettagliata, secondo uno schema fisso di nota inforamtiva- non può affermarsi che il cliente stipulante la polizza tramite uno sportello bancario debba essere tutelato di meno, proprio nella delicata fase precontrattuale, solo perché la Compagnia di assicurazione abbia deciso di avvalersi di distribuzione diverse da quelle rappresentate dagli agenti e dai mediatori di assicurazione, e in particolare si sia avvalso di un canale alternativo rappresentato, come nel caso di specie, dagli sportelli bancari.
Sotto tale profilo rileva il Tribunale, con riferimento alla normativa in vigore al momento della stipulazione dell polizza de qua, che l'art. 109 D.L.vo n. 174/95 prescriveva che "prima" della conclusione del contratto dovessero essere fornite per iscritto al cliente talune informazioni e la citata circolare n. 451/D emanata dall'ISVAP in data 24.7.01 aveva predisposto, quale informativa "precontrattuale", uno schema fisso di nota informativa.
E' chiaro, pertanto, che alla luce della predetta normativa specifica e più in generale del fondamentale canone di buona fede che deve essere osservato ex art. 1337 c.c. nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, non è sufficiente che contestualmente alla sottoscrizione della proposta contrattuale il cliente dichiari, su un modulo prestampato, "di aver ricevuto le Condizioni contrattuali regolanti il rapporto assicurativo, di averne preso atto e di accettarle integralmente": sarebbe, difatti, del tutto inutile a fini di una scelta realmente informata e consapevole di acquisto che il cliente - il quale stai per negoziare, come evidenziato dall'ISVAP, un contratto che presenta maggiore complessità e diversifcicazione del profilo di rischio, qual'è la polizza index linked stipulata dalla xxx riceva l'informativa dettagliata scritta solo contestualmente alla sottoscrizione del contratto ovvero in precedenza ma con un tempo non sufficiente per formarsi una rappresentazione veritiera e corretta quanto meno degli elementi essenziali concernenti la specifica operazione che va a concludere.
Nel caso in esame, a fronte delle deduzioni dell'attrice e della documentazione da essa prodotta, non vi è prova del momento in cui sia stata consegnata alla xxxx l'informativa scritta e, quindi, non vi è la prova che al stessa sia stata consegnata "prima" della formazione del contratto e comunque in epoca precednete alla sottoscrizione della proposta in modo da lasciare alla cliente uno spazio di tempo sufficiente per colmare le asimmetrie informative che sussistevano con riferimento alla polizza index linked rispetto alla controparte, e poter così effettuare una scelta consapevole di negoziazione, tenuto conto altresì del profilo personale della xxxx la quale aveva raggiunto il diploma di scuola media inferiore e svolgeva l'attività di collaboratrice domestica ed era cliente da tempo della banca convenuta.
Del resto, è la stessa banca -contraddicendosi- ad ammettere sia di non aver svolto un ruolo meramente esecutivo, di semplice raccolta della sottoscrizione del cliente e di inoltro alla Compagnia di assicurazione, sia l'esigenza di fornire un'informazione ulteriore oltre a quella scritta laddove essa afferma (v. p. 13 comparsa di risposta) -senza poi chiedere al Tribunale di poter fornire la prova- di aver chiarito proprio prima della stipulazione in data 27.6.05 alla xxx -come da prassi- cosa fosse una polizza index linked e in particolare che il suo rendimento era indicizzato all'andamento di un paniere di titoli, che il premio versato era legato ad un'obbligazione zero coupon emessa da una primaria banca d'affari internazionale e segnatamente Lehman Brothers, che la polizza prevedeva la corresponsione di un importo a favore dei eneficiari in caso di morte del sottoscrittore.
D'altro canto, che anche la banca convenuta -sebbene non fosse la controparte contrattuale della polizza- fosse tenuta a fornire la necessaria informativa precontrattuale, deriva dall'avere essa svolto in concreto -nell'ambito del compito che si era assunto di distribuzione dei prodotti assicurativi della xxxxx un'attività di sollecitazione all'investimnto e comunque alla stipulazione della polizza Maextra (v. p. 13 comparsa di risposta "nel maggio - giugno 2005 veniva prospettata all'attrice la possibilità di sottoscrivere delle polizze vita index linked") nei confronti della propria cliente xxxxxx; avendo la banca deciso autonomamente di svolgere tale attività, la stessa avrebbe dovuto essere svolta quanto meno con osservanza delle predette norme in vigore all'epoca della stipulazione del cocntratto e del fondamentale canone di comportamento di buona fede nelle trattative e nella formazione dello stesso, tenuto altresì conto che il prodotto da essa promosso aveva una natura quanto meno mista di strumento assicurativo e strumento finanziario.
E' priva di pregio l'affermazione della banca convenuta secondo cui non vi sarebbe la prova della conclusione del contratto, atteso che la banca stessa a fornirla poichè tra le clausole della proposta sottoscritta dalla xxxxx è previsto che l'ammontare del premio venga addebitato sul conto corrente intrattenuto dalla stessa con la banca "non appena la xxxx comunicherà alla banca stessa l'avvenuta accettazione della proposta" e la banca non ha contestato di aver addebitato l'importo sul conto corrente dell'attrice, né ha dedotto di averlo -in violazione delle clausole- addebitato prima della conclusione del contratto con la xxxxxx.
Non rileva, d'altro canto, che, nonostante il comportamento antigiuridico tenuto dalla banca convenuta in sede di trattative e di formazione del contratto, il contratto sia stato poi concluso: secondo il condivisibile orientamento del Supremo Collegio (v. Cass. n. 14056/10) la violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase anteriore a qualsiasi rapporto contrattuale espone all'obbligo di risarcire i danni, a prescindere dal fatto che il contratto sia stato poi concluso o meno e che la violazione del dovere di buona fede possa o meno aver inciso sulla validità dello stesso.
Pertanto, in considerazione del suddescritto comportamento antigiuridico tenuto dalla banca, va dichiarata la sua responsabilità precontrattuale con riferimento alla stipulazione in data 27.6.05 della polizza index linked Maextra n.......
Avendo stipulato tale polizza index linked senza avere prima ricevuto l'informativa necessaria per operare una scelta realmente consapevole, la xxx ha subito un danno pari alla perdita del premio unico del valore di euro 5.000,00, atteso che la predetta polizza - a causa del default della Banca Lehman Brothers, che aveva garantito il capitale investito nella polizza- non più ha alcun valore, circostanza quest'ultima non contestata specificatamente dalla banca convenuta.
Invero, nell'ipotesi di violazione della buona fede in contrahendo, il danno risarcibile consiste nel c.d. interesse contrattuale negativo, inteso come la pretesa del danneggiato al ripristino della situaizone in cui si sarebbe trovato qualora il contrtto non fosse mai stato concluso.
Non vi è prova che l'attrice abbia ricevuto, a titolo di cedole annuali, taluni importi nell'anno 2006 e nell'anno 2007.
Pertanto, il danno da risarcire va liquidato nella osmma complessiva di euro 5.000,00.
In tema di obbligazione risarcitoria da fatto illecito, la quale costituisce un tipico debito di valore, è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del danno da ritardo conseguente alla mancata disponibilità per impieghi remunerativi della somma di denaro in cui il suddetto debito viene liquidato, da corrispondersi mediante i cd. interessi compensativi. Pertanto, su tale somma progressivamente rivalutata anno  per anno dal giorno dell'addebito sul conto corrente dell'attrice, spettano gli interessi in misura legale.

omissis

venerdì 1 aprile 2011

Zopa autorizzata da Bankitalia a svolgere attività bancaria quale istituto di pagamento

Comunicato stampa Zopa SrL

"In data odierna Banca d’Italia ci ha comunicato l’autorizzazione ad operare come Istituto di Pagamento.

E’ il punto di arrivo di un percorso lungo e faticoso a cui Banca d’Italia ha dato il suo positivo contributo: il social lending è ora un’attività riconosciuta e regolamentata.

Il punto di partenza della nuova Zopa è dietro l’angolo, dobbiamo espletare alcuni passaggi previsti dalla normativa (la registrazione del nuovo statuto societario e l’iscrizione all’albo degli Istituti di Pagamento), portare a termine l’aggiornamento della parte informativa del sito e, prima della partenza vera e propria, far migrare i Prestatori esistenti al nuovo regime contrattuale.

Vi terremo aggiornati, per adesso lasciateci condividere con voi questo momento di grande soddisfazione.


Maurizio Sella
Amministratore delegato
Zopa Italia srl"



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