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domenica 30 aprile 2023

Debt agency: la clausola vessatoria non vincola il consumatore

La pronuncia oggetto del nostro commento domenicale ha ad oggetto una tipologia di contratti che sono in continua diffusione, ossia quelli di consulenza finalizzata alla gestione dell'esposizione debitoria del consumatore.

La vicenda è molto interessate, in quanto abbiamo avuto modo di poterla affrontare, e riguarda l'ipotesi in cui il consumatore, indebitato, si rivolge ad una società che si propone di prendere in carico i suoi debiti, dietro il pagamento di un compenso, risolvendo le controversie con i banche, fisco ed altri debitori.

Usualmente, il consumatore chiede al consulente un aggiornamento sulla vicenda e dopo non aver ricevuto sufficienti rassicurazioni da parte del professionista, chiede che il contratto sia risolto con restituzione della somma versata.

Quest'ultimo aderisce alla risoluzione del contratto, ma invoca la clausola contrattuale che prevede, come nel caso affrontato dal Tribunale di Bolzano, il riconoscimento dell'intero compenso in favore del professionista: "### in ogni caso di rapporto fiduciario, e ferme restando le previsioni di cui al d.lgs. 206/05, è facoltà del cliente di recede dal presente contratto in qualsivoglia momento, anche successivamente al termine espressamente previsto dalla legge e riportato in appresso, sub 8., previa comunicazione a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento.

In tale ultimo caso, spirato il termine di legge ivi indicato, la società od i professionisti incaricati avranno diritto a pretendere dal Cliente l'intero compenso pattuito.".

Nel caso di specie, il consumatore aveva esercitato il diritto di recesso dal contratto, chiedendo la restituzione degli effetti cambiari inviati alla società di consulenza.

La società aveva opposto rifiuto alla restituzione delle cambiali invocando la clausola contrattuale sopra richiamata.

Il Tribunale di Bolzano, ai fini della decisione, è stato chiamato a valutare il carattere vessatorio della citata condizione contrattuale ed opera una ricostruzione del quadro normativo previsto in materia, ricordando che la clausola può essere classificata come vessatoria nel caso in cui, malgrado la buona fede, determini un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto in danno del consumatore.

Con la clausola vessatoria, di conseguenza, vengono ridotti i diritti del consumatore, oppure vengono "allargati" quelli del professionista, con limitazione nell'applicazione della normativa di settore.

Peraltro, al Professionista è data la possibilità di superare il limite normativo, facendo apporre la famosa doppia firma, previa dimostrazione che la seconda sottoscrizione è stata oggetto di specifica trattativa personale. 

Quindi? il professionista può superare le clausole vessatorie, facendo firmare al consumatore in modo specifico l'approvazione della condizione contrattuale, ma dovrà dimostrare di aver illustrato e negoziato in modo specifico la clausola con la controparte.

In materia di mediazione, appare opportuno richiamare la Corte di Cassazione (sentenza n. 22357/2010), la quale ha statuito che deve presumersi come vessatoria la clausola con la quale il mediatore attribuisca a se stesso la provvigione anche nel caso di mancata conclusione dell'affare oggetto del contratto, con applicazione delle regole sopra richiamate.

Peraltro, la valutazione della clausola e della sua applicazione nel rapporto tra le parti, non può non tenere in considerazione l'attività e l'organizzazione predisposta dal mediatore nella ricerca di arrivare alla conclusione dell'affare.

E ciò è avvenuto nel caso di specie? il contratto di consulenza/mediazione ha rispettato i principi sopra enunciati e la clausola vessatoria è stata oggetto di pregressa trattativa personalizzata? ed è stata svolta dell'attività tale da giustificare il compenso preteso dal mediatore?

Il Tribunale di Bolzano è, sul punto, inequivocabile e merita di essere richiamato: "La clausola prevede infatti una cd. “multa penitenziale” (art. 1373 co. 3 c.c.) e non attiene alla misura del corrispettivo delle prestazioni pattuite. 

Nel merito, la clausola prevede che, nel caso di recesso del consumatore in corso di esecuzione del rapporto contrattuale, il consumatore sia obbligato a corrispondere alla società di consulenza l'intero compenso pattuito. La clausola non prevede dunque alcuna modulazione o gradualità dell'ammontare della multa penitenziale, in funzione dell'attività fino a quel momento concretamente svolta dalla società professionista. 

In forza di una simile previsione contrattuale, pertanto, pur a fronte di prestazioni assai limitate o ridotte (o addirittura di nessuna prestazione) da parte del professionista, quest'ultimo ha comunque diritto all'intero compenso pattuito per il solo fatto del recesso esercitato dal consumatore. 

Ebbene in tal caso, secondo l'insegnamento della Suprema Corte sopra citato, il controllo del giudice impedisce tale automatismo, che si tradurrebbe altrimenti in uno squilibrio eccessivo delle prestazioni contrattuali a svantaggio della parte debole del contratto.".

Nel caso di specie, infatti, l'agenzia aveva svolto una limitata attività nei due mesi successivi al conferimento del mandato, e non ha dato prova di aver svolto dell'attività tale, con una organizzazione volta al raggiungimento degli obiettivi perseguiti con la conclusione dell'accordo tra le parti.

Il Giudice, quindi, non ritiene giustificata la condizione contrattuale, considerandola vessatoria nella misura in cui crea una carenza di equilibrio contrattuale tra le parti, non superata da alcuna trattativa personalizzata.

Il Tribunale di Bolzano conclude dichiarando la nullità della clausola contrattuale, con ordine di restituzione delle cambiali sequestrate in favore del consumatore.

Qui la sentenza del Tribunale di Bolzano.

martedì 25 aprile 2023

Mutuo fondiario & limite di finanziabilità: nuovo intervento della Cassazione

Il nostro intervento settimanale è focalizzato su una vicenda già trattata in questo blog, ossia la validità del contratto di mutuo fondiario ove sia superata la soglia di finanziabilità prevista ex art. 38 T.U.B. comma 2.

La vicenda è stata risolta, infatti, dalla Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza 16/11/2022, n. 33719, con la quale il Giudice di legittimità ha definitamente superato il contrasto creatosi sul punto, stabilendo che la norma non ha natura imperativa volta a tutelare la validità del contratto (vedi qui).

La Cassazione, con il provvedimento in commento, ha voluto dare seguito ai principi sanciti con la citata sentenza n. 33719/2022, stabilendo che l'art. 38 comma 2 del D. Lgs. 385/1983 è norma introdotta al fine di garantire il corretto esercizio dell'attività bancaria secondo un criterio prudenziale per la tutela del mercato.

Ne discende che, come osservato dalla Suprema Corte, la norma non incide sul rapporto contrattuale, non rappresentando un elemento essenziale ai fini della validità del contratto, la cui violazione possa comportare la nullità, parziale o totale, del mutuo.

La Cassazione si discosta, però, dalle Sezioni Unite nel momento in cui deve individuare gli effetti della violazione del limite di finanziabilità disciplinato ex art. 38 T.U.B. comma 2.

Mentre le Sezioni Unite hanno ritenuto che la violazione della norma di cui trattasi può al più trasformare il mutuo fondiario in finanziamento ordinario, perdendo così l'istituto di credito tutte le prerogative garantite dalla legge, diversa è la conclusione raggiunta dalla Cassazione con la sentenza n. 7949/2023.

Secondo la Corte, accertata la violazione della citata norma del Testo Unico Bancario, è escluso che il giudice possa riqualificare il mutuo fondiario in mutuo ordinario, ma si deve limitare ad interpretare la volontà delle parti, mantenendo l'applicazione delle norme previste ex art. 38 TUB e deliberazioni CICR.

La questione viene così chiarita dalla Corte: "Sotto il secondo profilo, pur convenendo sull’astratta appartenenza del mutuo fondiario al genus tipologico del mutuo ordinario, il massimo consesso della Corte di Cassazione ha ritenuto che, una volta esclusa la nullità, il contratto, in quanto valido, deve produrre gli effetti preveduti e voluti dalle parti, per modo che non è consentito all’interprete intervenire (d’ufficio) sugli effetti legali del contratto per neutralizzarli, facendo applicazione di un diverso modello negoziale (mutuo ordinario) non voluto dagli stipulanti, ancorché appartenente allo stesso genus negoziale.

Pertanto, qualora la volontà dei contraenti – incontestata o comunque accertata dal giudice a seguito di contestazione – sia stata diretta alla stipula di un finanziamento corrispondente al modello legale del mutuo fondiario, non è consentito al giudice riqualificare d’ufficio il contratto per neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo negoziale prescelto, riconducendolo a quello generale del mutuo ordinario o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione  della  validità  del  negozio  sotto  il  profilo  del superamento del limite di finanziabilità; contestazione, che, anzi, implicitamente postula proprio la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario.".

Di seguito il testo completo del provvedimento della Corte di Cassazione Sez. Civ. III^ - sentenza n. 7949/2023

lunedì 10 aprile 2023

I principi della Lexitor non si applicano ai mutui

E' già stata etichettata come la sentenza "salva banche", in quanto ha evitato agli istituti di credito di avviare una massiccia operazione di rimborso in favore dei consumatori che abbiano estinto in anticipo il mutuo.

La Corte europea, chiamata ad esprimersi dopo il caso Lexitor, ha stabilito che il principio del rimborso in favore del consumatore di tutti i costi sostenuti per il mutuo, nel caso di  estinzione anticipata non può trovare applicazione per i contratti di mutuo.

Per i finanziamenti, quindi, il consumatore può esigere la mera riduzione degli interessi e dei costi che dipendono dalla durata del credito, mentre non può recuperare, ad esempio, le spese di istruttoria.

Abbiamo trattato la questione anche di recente (vedi qui), richiamando i principi emersi con la sentenza Lexitor e il tentativo legislativo, bloccato dalla Corte costituzionale, di salvare il sistema bancario (vedi qui).

Nella vicenda decisa dalla Corte di giustizia, un'associazione dei consumatori austriaca, Verein für Konsumenteninformation (VKI), ha convenuto in giudizio Unicredit Austria, contestando alla banca la clausola contenuta nei contratti di mutuo e che disciplina l'ipotesi di rimborso anticipato del credito da parte del mutuatario.

La norma pattizia prevede che nel caso di conclusione anticipata del rapporto, la banca rende gli interessi e i costi dipendenti dalla durata del credito, mentre nulla la banca deve al consumatore per le spese non connesse alla vita del contratto.

VKI contesta la clausola e chiede che ne sia dichiarata la nullità, richiamando i principi della pronuncia Lexitor e della Direttiva n. 2014/17/UE che disciplina i contratti di credito ai consumatori per l'acquisto di immobili residenziali. 

L'art. 25 della direttiva prevede che: "Gli Stati membri assicurano che il consumatore abbia il diritto di adempiere in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano da un contratto di credito prima della scadenza di tale contratto. In tal caso, il consumatore ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito al consumatore, che riguarda gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto.". 

La vicenda è terminata avanti alla Corte di giustizia, chiamata dal giudice austriaco a comprendere se possa essere prevista la sola riduzione di interessi e costi dovuti per la parte restante del credito e il giudice comunitario ha risposto in senso positivo, osservando che la norma comunitaria non impedisce all'esistenza di una norma nazionale che preveda, nel caso di estinzione anticipata, la sola restituzione al consumatore degli interessi e delle spese collegate alla residua durata del contratto.

Allo stesso tempo, il giudice europeo evidenzia che la Direttiva n. 2014/17/UE mira a tutelare i consumatori contro le condotte scorrette degli operatori di settore, facendo in modo che al consumatore sia riconosciuto, in caso di conclusione anticipata del mutuo, il diritto a tutte le somme versate alla banca per il credito e non più giustificate.

Qui di seguito, il provvedimento della Corte di Giustizia.

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