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domenica 30 giugno 2024

Non pago più rate del finanziamento se non mi consegnano la macchina

Questa domenica torniamo ad interessarci dei contratti di finanziamento finalizzati all'acquisto di un bene/servizio e al particolare collegamento che si crea tra i due rapporti.

Non di rado, infatti, accade che il bene o il servizio oggetto di finanziamento non viene consegnato, oppure risulta presentare dei difetti tali da renderlo non utilizzabile, cosicché il consumatore si trova costretto a pagare delle rate per un prodotto non ricevuto o non utilizzabile.

Nel blog potete trovare diversi nostri precedenti interventi (clicca qui), con i quali abbiamo chiarito come la normativa bancaria, in particolare l'art. 125 - quinquies con la riforma del 2010, ha disciplinato in modo specifico questo tipo di eventi, stabilendo che: "Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile.".

Quindi, nel caso di inadempimento da parte del venditore (fornitore di beni o di servizi), il consumatore può risolvere il contratto dopo aver formalmente messo in mora il professionista.

Il secondo comma dispone che: "La risoluzione del contratto di credito comporta l'obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l'obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l'importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso.".

Il consumatore non solo non deve pagare più le rate per l'acquisto del bene non ricevuto (o difettato), ma ha anche il diritto a farsi restituire le somme pagate alla banca.

Questo diritto, invero, è stato disciplinato anche per i contratti precedenti al 2010, grazie agli interventi dei giudici che hanno "creato" l'insieme di norme in seguito introdotto nel Testo Unico Bancario, come ci ricorda la Corte di Cassazione, Sezione I, con l'ordinanza del 29 febbraio 2024 n. 5365 che potete leggere di seguito, ed avente ad oggetto una vicenda precedente al 2010,  quindi prima dell'entrata in vigore dell’art. 125-quinquies TUB.

Nel caso di specie, il contratto di finanziamento era stato concluso per l'acquisto di un veicolo, il quale non era stato in seguito consegnato, costringendo il consumatore a chiedere l'interruzione del finanziamento.

La Suprema Corte ha ribadito i principi già sviluppati anche a livello comunitario, come ad esempio la Corte di Giustizia Europea (Causa C-509/2007 con sentenza del 23 aprile 2009), secondo la quale esiste il diritto per l'acquirente di far dichiarare risolto il contratto di finanziamento collegato a quello principale rimasto inadempiuto, anche nel caso in cui nel contratto di vendita non sia prevista una clausola di esclusiva tra venditore e finanziatore.

La Cassazione, richiamando i principi formati con gli interventi giurisprudenziali, individua un collegamento negoziale fondamentale tra il contratto di compravendita e quello di finanziamento, tant'è che la sorte del primo non può non riguardare anche il secondo.

Ne consegue che nel caso di inadempimento del primo, anche per omessa consegna del prodotto (macchina), il consumatore ha diritto ad interrompere il pagamento delle rate del finanziamento e chiedere la restituzione dell'importo già versato alla banca.

Corte di Cassazione - Sez. I^ Civ. - sentenza n. 5365/2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

venerdì 14 giugno 2024

Vicenda Euribor - nuovo intervento della Cassazione

Passo indietro nella vicenda Euribor da parte della Cassazione nella vicenda che ha riguardato coloro che hanno sottoscritto, o comunque pagato interessi, nel periodo 29 settembre 2005/30 maggio 2008.

Molti consumatori che speravano di poter ottenere un parziale rimborso degli interessi versati, anche alla luce della sentenza della Suprema Corte del 13 dicembre 2023, n.  34889 (vedi qui), provvedimento che ha riconosciuto il diritto ai clienti delle banche di avere un rimborso per i tassi variabili "gonfiati" a causa del cartello europeo bancario tra Crédit Agricole, Hsbc e Jp Morgan Chase che aveva manipolato i tassi di riferimento (qui un recente approfondimento).

Con la nuova sentenza numero 12007/2024 del 3 maggio 2024, che trovate di seguito, la Cassazione ha fatto un passo indietro, limitando fortemente il diritto di rimborso spettante ai consumatori, obbligando questi ultimi a dover provare che la banca mutante, nel caso in cui non rientri nel cartello sanzionato dall'Antitrust europea, fosse al corrente dell'esistenza dell'accordo manipolativo dell'Euribor. 

Questa prova è tutt'altro che facile, anche perché i privati consumatori non hanno i mezzi per trovare tale prova, tanto da rendere poco conveniente una azione legale verso la banca.

A ciò si aggiunga che, laddove sia accertata la condotta scorretta dell'intermediario bancario, l'eventuale rimborso dovrebbe essere calcolato nella differenza tra il tasso applicato dalla banca e il tasso minimo del BTP per un anno, così come disposto a mente dell'art. 117, comma 7 TUB, con evidente riduzione delle prospettive di soddisfazione per il ricorrente.

Cassazione Sez. III Civ. - sentenza n. 12007/2024 (visibile con browser Opera - VPN attivo)

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