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sabato 26 settembre 2020

Come determinare il danno da errata segnalazione al Crif

Il soggetto che assume come illegittima la segnalazione del proprio nominativo presso la Centrale Rischi e, per l’effetto, si è visto rifiutare il credito deve allegare e provare con concretezza il proprio pregiudizio.

In prima approssimazione, è questa l’ennesima lezione che si ricava dalla sentenza in commento, la Cassazione n. 6167 del 5 marzo 2020, la quale ha dato il responso su una segnalazione  omonima: un errore identificativo del cliente, scambiato per un altro nominativo.

Questa lezione non è così facile da imparare, dal momento che dalla giurisprudenza di merito emergono poche condanne risarcitorie per danno patrimoniale

In questo campo, spesso nelle aule di giustizia ci si limita ad affermare che la segnalazione indebita ha inciso sugli affari (bancari e non) del cliente: ma il principale scoglio riguarda due elementi: 

(1)  l’indicazione di una inferenza causale, basata sul criterio del “più probabile che non”; 

(2) la quantificazione della perdita patrimoniale, fosse anche per fornire un appiglio su base equitativa.

A fronte di allegazioni poco o per nulla specifiche, i giudici ammettono a malapena le consulenze tecniche di natura esplorativa o i testimoni indicati dal cliente. E se il quadro fattuale è privo di ogni sostegno, nemmeno ci si può attendere sentenze di condanna.

Problemi di natura analoga si presentano sul versante del danno non patrimoniale.

Sotto questo profilo si cerca di eludere l’onere di specifica allegazione dei fatti, facendo leva su alcune pronunce che intravedono conseguenze automatiche sulla reputazione e sull'immagine del cliente.

Tuttavia, almeno dal 2008 la Cassazione – e la sentenza in commento non fa eccezione - continua a respingere questa tesi e a ribadire che i danni alla reputazione sono ‘danni conseguenza’, che come tali vanno allegati e provati. 

In altre parole, il risarcimento postula pur sempre elementi idonei a dimostrare, almeno su base presuntiva, il danno da risarcire.

Di là dalle formule utilizzate per descrivere i tipi di danno, ciò che davvero rileva in argomento è l’adeguata specificità e precisione dell’allegazione dei fatti rilevanti.

La lesione della reputazione personale, infatti, non deve essere trattata come se fosse un “fatto notorio”, tale da esimere il cliente dall’onere della prova; piuttosto, si deve (e si può, per pacifica giurisprudenza di legittimità) fare affidamento alle presunzioni semplici. Con questo strumento, si può partire da dati di natura statistica o logica – ovviamente diversi da mere generalizzazioni – dai quali si possono ricavare deduzioni e inferenze. Tanto più l’inferenza è serrata, quanto più è difficile che sia disattesa dal giudice. Per corroborare l’inferenza, poi, si può fare leva su prove testimoniali e documentali, purché coerenti e concordanti con i dati scelti.

Quanto ai criteri di stima del danno non patrimoniale, se non vi sono parametri risarcitori veri e propri (e nemmeno è richiesto all'attore di giungere a tale grado di dettaglio), parametri validi sono i seguenti:

(1) nei casi di segnalazione quantitativa, l’entità della somma per cui la segnalazione è avvenuta;

(2) la durata della segnalazione illegittima;

(3) se il segnalato è un imprenditore, il volume d’affari e il tipo di attività imprenditoriale concretamente svolta;

(4) se il segnalato è un consumatore, il volume delle linee di credito non concesse da altre finanziarie: nel caso affrontato dalla sentenza in commento, è stato negato un prestito finalizzato all'acquisto di un’automobile.

In conclusione, ad opinione di chi scrive è da privilegiarsi un approccio di tipo induttivo che, prima ancora di individuare le categorie di danno, deve soffermarsi sui fatti noti e su quelli ricavabili per via presuntiva, senza tuttavia indulgere verso generalizzazioni che possono persino spingere il giudice a non ammettere le prove.

Cassazione Civile - Sez. III^ Civ. sentenza n. 6167/2020.

martedì 1 settembre 2020

Banco Popolare condannato per la vendita dei diamanti: si al risarcimento del danno!

Questa domenica vi segnaliamo la recente sentenza con la quale il Tribunale di Modena ha riconosciuto il diritto di un consumatore ad essere risarcito dalla perdita per l'acquisto di diamanti intervenuto presso i locali di una filiale con promotori della società Intermarket Diamond Business. Abbiamo già trattato la vicenda (vedi qui), 

Nella vicenda affrontata dal Tribunale, il consumatore aveva acquistato euro 226.594,09 euro in diamanti, dietro la garanzia che l'investimento sarebbe risultato redditizio.

Il consumatore aveva, successivamente, fatto accertare il vero valore dei diamanti, risultato decisamente inferiore a quello di vendita (euro 78.508,00) e proprio per tale differenza che il cliente della banca ha agito verso la banca, lamentando il danno sofferto anche a causa della banca.

Il Tribunale di Modena ha ritenuto di accogliere la domanda risarcitoria avanzata dal consumatore, evidenziandosi che nel caso di specie la banca non aveva operato il corretto controllo del soggetto venditore, omettendo di informare il cliente dei rischi connessi a quel tipo di acquisto.

Osserva, sul punto, il giudice modenese: "la responsabilità della banca, nel caso di specie, deve ravvisarsi o nell'esistenza di obblighi di informazione e protezione in relazione ai quali il rapporto contrattuale tra la banca e il cliente si atteggia  a mero presupposto storico (art. 1173 c.c.) o addirittura nel rapporto stesso, in quanto l'attività di vendita di beni preziosi, a cui Banco BPM ha sicuramente contribuito, può ricondursi al novero delle attività connesse a quella bancaria che l'art. 8, comma 3, del D.M. Tesoro 6 luglio 1994 definisce come "attività accessoria che comunque consente di sviluppare l'attività esercitata".

E la banca non ha, nel caso di specie, controllato le informazioni fornite al consumatore che stava concludendo il contratto di acquisto di diamanti con IDB all'interno della filiale di BPM.

La brochure di Intermarket Diamond Business, infatti, era incompleta e non chiara, non consentendo all'acquirente di comprendere in modo pieno e trasparente la natura e tipologia di acquisto a cui andava incontro.

A ciò si aggiunga, come evidenziato dal tribunale, che "l'obbligo del cui inadempimento i ricorrenti si dolgono è l'omessa informazione in ordine al fatto che il valore delle pietre acquistate non era (neppure lontanamente) pari al corrispettivo versato, tenuto conto dell'incidenza dei servizi pure elencati nelle condizioni di vendita, allegate alle proposte di acquisto, di cui Banco BPM verosimilmente aveva contezza, se doveva "segnalare" l'interesse del cliente a IDB".

E la banca non ha assunto le giuste informazioni sul valore dei diamanti, nè ha fornito corrette informazioni al cliente, così come accertato dal giudice, il quale ha condannato Banco BPM al risarcimento del danno in favore dei consumatori.  

Potete leggere, qui di seguito, la sentenza n. 1036/2020 del Tribunale di Modena.

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