lunedì 21 aprile 2014

La Cassazione “riapre” la partita del diritto di ripensamento per gli investimenti fuori sede

La sentenza n. 7776/2014 pronunciata dalla Suprema Corte di Cassazione lo scorso 3 aprile 2014 potrebbe riaprire il forte contrasto creatosi tra banca e cliente per gli acquisti di strumenti finanziari avvenuti fuori dai locali dell’istituto di credito. 

La Cassazione pare voler tutelare i risparmiatori, prevedendo la possibilità per questi ultimi di poter contestare alla banca la violazione delle norme in materia di diritto di ripensamento per tutti gli investimenti effettuati prima del 1° settembre 2013.

a.- Il diritto di ripensamento per l’acquisto di titoli finanziari
La questione affrontata dalla Cassazione riguarda una particolare modalità di acquisto dei prodotti finanziari: l’acquisto fuori dai locali commerciali, come ad esempio nel caso del promotore finanziario che si presenta presso l'abitazione del cliente, offrendogli prodotti finanziari della propria banca. 

L’art. art. 30 del d. lgs. n. 58/1998 (Testo Unico della Finanza) stabilisce " L'efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede è sospesa per la durata di sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell'investitore. Entro detto termine l'investitore può comunicare il proprio recesso senza spese né corrispettivo al promotore finanziario o al soggetto abilitato; tale facoltà è indicata nei moduli o formulari consegnati all'investitore. La medesima disciplina si applica alle proposte contrattuali effettuate fuori sede". 

L’art. 30 comma 7 dispone che l'omessa indicazione del diritto di recesso nel contratto di borsa sottoscritto dall'investitore comporta la nullità dell'operazione di investimento" L'omessa indicazione della facoltà di recesso nei moduli o formulari comporta la nullità dei relativi contratti, che può essere fatta valere solo dal cliente" (vedi).

b.- Quando si applica il diritto di ripensamento? le Sezioni Unite chiamate a ricomporre il contrasto giurisprudenziale
Negli ultimi anni si era sviluppato un contrasto in merito alI’ambito di applicazione della norma appena richiamata, in quanto si erano formati due diversi orientamenti.

- Orientamento restrittivo: l'art. 30 TUF si applica solo al servizio di collocamento di strumenti finanziari
Un primo orientamento - maggioritario nella giurisprudenza di merito e seguito da una parte della Cassazione - ha sostenuto che la disciplina prevista ex art. 30 del TUF è circoscritta per i soli contratti di collocamento o di gestione di portafogli individuale, ove esiste uno specifico rapporto tra cliente e soggetto offerente (Cass. n. 2065/2012). 


In termini più semplici, la disciplina di cui all'art. 30 del TUF troverebbe applicazione solo in ipotesi marginali, ove l'intermediario finanziario offra uno specifico servizio finanziario in favore dell'investitore.

- Orientamento estensivo: il diritto di recesso dal contratto si applica per ogni servizio di investimento finanziario previsto ex art. 1, comma 5 del TUF
Un diverso orientamento ha, al contrario, sostenuto l'applicazione estensiva dell'art. 30 del TUF e quindi la previsione del diritto di recesso per ogni servizio di intermediazione finanziaria offerta in favore del piccolo investitore. 

Coloro che hanno seguito tale orientamento, hanno richiamato anche l'art. 36  del Reg. Conosb 11522/98, il quale prevedeva che: “Nell’ attività di offerta fuori sede di strumenti finanziari, di servizi di investimento e di prodotti finanziari disciplinati dall’art. 30 del Testo Unico, gli intermediari autorizzati si avvalgono dei promotori finanziari al fine di: la facoltà prevista dall’art. 30, comma 6, del Testo Unico;". Tale norma è rimasta pressoché invariata anche con il nuovo Regolamento Consob n. 17690/2007. 

Il diritto di ripensamento, quindi, non riguarderebbe il solo servizio di collocamento, ma tutte le attività di intermediazione finanziaria realizzate dalla banca fuori dai locali commerciali. In tutti questi casi, l'intermediario deve rendere noto al cliente dell'esistenza del diritto di ripensamento (jus poenitendi) e l'ordine di borsa deve rimanere sospeso per i 7 giorni successivi, in attesa di un eventuale disdetta da parte dell'investitore. Il contrasto veniva devoluto alle Sezioni Unite della Cassazione, chiamate a chiarire quando la norma dovesse trovare applicazione (vedi).

c.- La Cassazione si esprime in favore del consumatore/investitore
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse lo scorso mese di luglio 2013, con sentenza n. 13095, facendo proprio l’orientamento estensivo sopra richiamato, e quindi sostenendo che il diritto di ripensamento ex art. 30 TUF debba trovare applicazione per ogni ordine di investimento disposto fuori dai locali dell’intermediario finanziario (vedi).

d.- Il Governo si esprime in favore delle banche
L’effetto innovativo, e negativo per il sistema bancario, ha suggerito un intervento legislativo “correttivo” da parte del Governo, il quale ha ben pensato di annullare ogni effetto della sentenza n. 1305/2013, prevedendo, all’art. 56 quater, che l’obbligo di informativa del diritto di ripensamento trovi applicazione solo a partire dal 1° settembre 2013Ferma restando l'applicazione della disciplina di cui al primo e al secondo periodo ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettere c), c-bis) e d), per i contratti sottoscritti a decorrere dal 1° settembre 2013 la medesima disciplina si applica anche ai servizi di investimento di cui all'articolo 1, comma 5, lettera a)”. 

Era evidente che la finalità di tale norma era quella di “bloccare” ogni effetto retroattivo della sentenza pronunciata dalle Sezioni Unite della Cassazione, e, attraverso una norma di interpretazione autentica, evitare l’aumento del contenzioso civile su tale punto (vedi).

e.- La Cassazione “riabilita” il diritto di ripensamento anche per i casi anteriori al 1° settembre 2013?
La partita sembrava chiusa con l’intervento del Governo, salvo interventi della Consulta, e quindi pacifico che non vi sarebbe stato ulteriore conflitto giurisprudenziale sul punto, in particolar modo per tutte le vicende anteriori al 1° settembre 2013. 

Ed invece la recente sentenza della Corte di Cassazione, che potete leggere di seguito, ha riaperto la problematica, negando qualsiasi valore retroattivo alla norma introdotta con il Decreto del Fare. La Cassazione Civile, Terza Sezione Civile si è pronunciata con sentenza n. 7776/2014, affermando che il citato art. 56-quater del d. l. 21 giugno 2013, n. 69 (decreto del fare), convertito in legge 9 agosto 2013, n. 98, non sarebbe norma di interpretazione autentica, e perciò non sanerebbe alcuna nullità dei contratti di negoziazione di strumenti finanziari sottoscritti fuori dai locali commerciali prima del settembre 2013, e privi dell’avviso del recesso accordato all’investitore. 

La Corte spiega, a tal proposito, che “il presupposto che legittima l’intervento del legislatore attraverso una norma di interpretazione autentica è la situazione di incertezza che il legislatore intende eliminare. Nel nostro ordinamento questa situazione di incertezza non solo non esisteva, ma anzi era stata esclusa proprio dall’intervento delle Sezioni Unite, cui l’art. 65 dell’Ordinamento giudiziario attribuisce il compito di rimuoverle, le incertezze e non crearle. Né, ovviamente, potrebbe spacciarsi per “incertezza del diritto” l’eventuale malumore ingenerato da una decisione della Corte di cassazione confliggente con (pur legittimi) interessi od aspettative privati. Dunque l’art. 56 quater d.l. 69/2013 non può ritenersi una norma interpretativa perché dell’interpretazione autentica mancava il primo e principale presupposto, ovvero la possibilità di letture contrastanti”. Dalla lettura della sentenza, di cui questa Associazione ne condivide integralmente l’iter argomentativo con il quale la Cassazione è giunta a negare il valore di norma di interpretazione autentica, i giudici di legittimità hanno analizzato anche tutto il percorso parlamentare con il quale si è giunti all'approvazione della norma sopra richiamata. 

Nella sentenza viene evidenziato, in particolare, che nemmeno dalla discussione parlamentare sia mai emerso alcun contrasto che la norma era tesa a superare, o alcuna finalità interpretativa volta a superare l’incertezza di diritto creatasi.

Trasforma questo post